Le voci dei lampi

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Le spire di pioggia si contorcevano nel vento freddo dell’inverno, e il loro urlo sembrava capace di attraversare il tempo e lo spazio. Sul vetro della finestra si allungavano strisce d’acqua sottili come piccoli fiumi di un altro mondo. Scorrevano lente, disegnavano venature e ricadevano come lacrime dove gli occhi del ragazzo non potevano vederle.
Seduto su una sedia bianca, in una stanza grigia, aveva lo sguardo perso e gli occhi spenti. I capelli rasati mettevano in rilevo le sporgenze del cranio, e il corpo era avvolto in un lungo vestito grigio che gli teneva le braccia raccolte contro l’addome, come una cintura. Non poteva muoversi e sul volto gli occhi erano circondati da un alone violaceo.
Un fulmine guizzò nel cielo.
Come penetratogli nella mente, lo riportò a ricordare.
C’era un’altra finestra quel giorno, e un altro temporale, ma a lui parevano gli stessi.
I tuoni scuotevano i cuori delle persone nelle case facendone tremare le pareti.

“Le voci dei lampi” le aveva chiamate suo nonno.
Lo aveva intravisto come un’ombra più densa delle altre, era sgusciato nell’oscurità e lo aveva avvolto prima che lui potesse fare o dire qualcosa. Gli era penetrato nella mente indicando quale via avrebbe dovuto seguire.
“I lampi”, aveva detto suo nonno, “sono come le vite delle persone. Piccoli o grandi, contorti come un albero o dritti come la punta di una freccia, lasciano un'eco dietro di sé. E anch’esso, sia forte o un sussurro appena, finisce per scomparire nella pioggia”.
L’ombra l’aveva guidato nel buio della notte, e gli aveva fatto prendere il fucile. I tuoni si erano mescolati con il rombo dei colpi, e si erano portati via la vita di tutta la sua famiglia.
Una lacrima gli scese dal volto. Luccicò e gli si spense sulle labbra.
E la pioggia cadeva.

Filippo Bernardeschi