Fame chimica

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

In quel momento l’unico mio pensiero era colmare la fame chimica. Ero solo, sperduto nei vicoli della mia città, infreddolito, bagnato dal temporale in corso, ma soprattutto affamato. E pensare che solo poche ore fa mi trovavo alla stazione, al coperto, in compagnia dei miei amici e del fumo, quel fumo che ti entra nei polmoni e ti fa provare sì una bella sensazione, ma anche inquietudine, depressione e soprattutto fame. Troppo distante da casa, troppo distante dal mondo, in quel momento non sentii alcun bisogno se non quello di accasciarmi rifugiandomi sotto il sottopassaggio. Le mie palpebre facevano fatica a restare aperte, sentivo la febbre attanagliarmi, e una fame che non mi dava tregua. Ero solo, sotto quel sottopassaggio; l’unico rumore che a stento sentivo era lo scroscio violento e prepotente della pioggia; proprio in quell’istante, mentre i miei occhi facevano per chiudersi, udii dei passi.

Riuscii a distinguere la figura di un ragazzo, forse aveva la mia età, forse aveva i miei problemi, ma di sicuro non aveva la mia fame. Si chinò verso di me, forse voleva aiutarmi, forse parlarmi. Non capii il motivo, non capii la circostanza, non capii chi fosse, ma lo afferrai per le braccia, spalancai la bocca e lo inghiottii. Aveva smesso di piovere, mi alzai in piedi, non sentivo più la fatica, non avevo più freddo, ero quasi completamente asciutto, ma avevo ancora fame; le strade deserte, neanche un cane in giro. A giudicare dallo schiarire del cielo doveva essere quasi l’alba; vidi davanti a me un uomo, un netturbino che spazzava per terra. Chiese se poteva essermi utile, gli risposi che avevo fame: lo afferrai e lo inghiottii. Mi sentivo sazio, e ora la mia unica preoccupazione era tornare a casa, probabilmente mamma aveva già preparato la colazione.

Federico Castellani