Voodoo

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Elena infilò con rabbia lo spillone nella testa della bambola. Non aveva mai creduto a queste cose. Il potere della disperazione. Ormai, dopo i pianti e le implorazioni, le erano rimaste solo le pozioni magiche e una folle brama di vendetta. Aveva speso i suoi ultimi risparmi per comprare da Madame Voodoo questa bambolina di pezza, a cui aveva cucito capelli e unghie di suo marito. Dell’uomo con cui era sposata da dieci anni e a cui aveva dato una bambina, Emma, la loro unica figlia, che amava più della sua stessa vita, anche se era down. Nonostante problemi e difficoltà – ma chi non ne ha, in fondo? – erano una famiglia felice. Almeno questo era ciò che credeva Elena, prima di sapere che suo marito voleva lasciarle per una ragazza di vent’anni che, oltretutto, era incinta. Gli avrebbe dato un figlio “normale”.
Da quando aveva comprato la bambola le emicranie del marito erano sempre più acute e frequenti, ma la sua mente, logica e razionale, si rifiutava di collegare le due cose. Per lei era un gioco, un modo per sfogare stress e rabbia, come quelle palline di gomma che si stringono in mano.
La porta d’ingresso si aprì. Suo marito la abbracciò, le disse che con l’altra era finita e che lei era l’unica donna che avesse mai amato. Si baciarono. Elena non perse tempo a farsi domande e si lasciò portare in camera da letto.
Emma aveva sentito arrivare qualcuno e si era svegliata. Vide la bambola sulla poltrona e la prese in mano incuriosita. Le piaceva soprattutto l’imbottitura. Era morbida. Sembrava che ci fosse qualcosa di vivo, dentro. Strappò la stoffa e guardò affascinata la sabbia che riempiva la bambola cadere sul pavimento. Non si accorse nemmeno del grido inumano che proveniva dall'altra stanza.

Pierluigi Porazzi