Le stagioni della caccia

Una fioca luce che illumina la stanza spoglia. Nella notte solo un cane che abbaia rauco in lontananza. Nella mano una penna che scarabocchia un foglio vuoto; gli occhi indolenziti e la mente ingarbugliata tra mille pensieri. Guarda l'orologio: le 3 e 20. Si strofina vivacemente gli occhi alzandosi poi con lentezza dalla sedia. Si infila le scarpe, prende il cappotto ed esce di casa. L'aria fuori è fredda mentre una leggera nebbia aleggia sulle case. Si guarda attorno ma è circondato solo dalla quiete delle vie vuote. Tutti dormono nella città di Salem. Lo sguardo perso nel vuoto della strada mentre prosegue senza una meta. La nebbia lenta scende nascondendo ogni cosa. La figura imprecando ad alta voce giunge infine davanti ad un cancello socchiuso. Riconosce quel posto, è il cimitero. Pensa che tutto sommato è di buon umore e con un sorriso sarcastico apre il cancello entrando. Cammina lento per il selciato, gli occhi curiosi saltano da un nome all'altro. Poi ad un tratto si ferma, chinandosi su una piccola lapide. La scritta riporta "Reverendo Samuel Parris" senza data e con una piccola croce sotto la scritta. Gli occhi la osservano con attenzione, le dita ne sfiorano il nome, per poi scendere sulla piccola croce. Al tocco tutto intorno a lui si ferma oscurandosi. Ritorna al tempo in cui è vissuto Samuel Parris. Si guarda attorno spaesato, vede il reverendo giocare con due bambine. Le chiama per nome rincorrendole per gioco: Elizabeth e Abigail. Dietro di loro una schiava di colore che li guarda sorridendo. Il giorno e la notte si alternano come secondi davanti ai suoi occhi. Ora si trova accanto alla schiava di colore e alle due bambine che chiamano per nome Tituba, la schiava della loro famiglia, pregandola di raccontargli una storia. La schiava sorridendo narra alle ragazzine sedute attorno al fuoco di una storia del suo popolo, piena di magia nera e riti vodoo. Le bambine gradiscono la storia e Elisabeth, lasciandosi un po' andare, confessa di essersi innamorata di John Proctor, un giovane del paese e che vorrebbe vedere sua moglie morta. Tituba ride di gusto a quella affermazione dicendo semplicemente che c'è tempo per crescere. Ascolta le loro parole in silenzio. Sa che nessuno le sente e nessuno le vede. Di colpo si ritrova in casa del reverendo Parris. Tutti dormono tranne le due bambine che si trovano nel salone. Si guardano negli occhi una di fronte all'altra. D' improvviso si gettano in terra iniziando ad urlare ed a muoversi freneticamente. I genitori svegliati dalle urla scendono rapidi nel salone.

Samuel: " Figlie mie, cosa succede?" si avvicina a una di loro tentando di tenerla ferma con le mani. Le figlie urlano come in preda ad un fortissimo dolore.
Elisabeth: "Padre aiutaci! Lei ci sta uccidendo!" urlando dal dolore.
Samuel: "Lei chi?" chiese preoccupato il padre con gli occhi di fuori dalla rabbia.
Elisabeth: "Tituba! Tituba la strega!" rotolando sul pavimento urlando sempre più. Il padre disse alla moglie di occuparsi delle figlie mentre lui avrebbe avvertito la città per aiutarlo a catturare Tituba. L'ombra va ad oscurare quella nuova visione, per riportarlo poi in una cella. I mattoni luridi e sporchi con un letto di paglia in un angolo. Sdraiato su di esso a pancia in giù Tituba. Il volto sofferente e stremato. Il suo vestito strappato sulla schiena e la sua pelle rigata da innumerevoli frustate. Il sangue sgorga ancora fresco sulle ferite scivolando lesto sulla pelle. La serratura scatta, entrano due persone nella cella. Una di queste è il reverendo Parris. Tituba si volta guardandolo.
Samuel: "Visto che non vuoi confessare mi costringi alle maniere forti" sorridendo verso di lei. L'altra persona incappucciata si avvicina a lei e prendendola da una mano la trascina fuori con forza. Le incatenano le mani con i polsi uniti l'uno all'altro e le incatenano i piedi facendole unire le caviglie per poi farla inginocchiare, come in posizione di preghiera. Fatto ciò l'uomo incappucciato andò dietro di lei sciogliendo la frusta.
Samuel: "Confessi di essere una strega e di aver avuto rapporti carnali col demonio?"
Tituba non rispose, abbassando semplicemente il capo. L'uomo incappucciato facendo schioccare la frusta iniziò a frustare la schiena di lei. Finì molto tempo dopo, non per pietà, ma semplicemente perché era stanco. La schiena di lei era tutta rigata dalle frustate ed il sangue sgorgava dalle ferite come un fiume in piena.
Samuel: "Ebbene? Ancora ti ostini a non confessare?"
Tituba continuava a rimanere in silenzio.
Samuel: "Bene allora... assaporerai il tuo sangue!" rivolgendosi poi all'uomo "Segnala sul soffio".
L' uomo incappucciato prese un lungo coltello affilato, alzò il capo di Tituba e la sfregiò sul naso e sulla bocca con profonde ferite. La schiava si dimenò dal dolore urlando con tutto il fiato che aveva in corpo. Il reverendo sorrideva soddisfatto all'udire di quelle grida.
Samuel: "Confessi infine di essere una strega?"
Ma Tituba, stremata dal dolore e dalle ferite, restava ancora in silenzio. Il sangue aveva coperto tutto il suo muso.
Samuel facendo un altro cenno all'uomo incappucciato disse: "Passiamo alle turcas" sogghignando.
L'uomo incappucciato posò il coltello e prese delle pinze. Afferrò con forza la mano destra di lei ed iniziò a strapparle le unghie, una per una. Tituba si dimenava selvaggiamente a quel dolore e le sue urla erano una dolce melodia per il reverendo. Appena tutte le unghie furono strappate Samuel disse: "Ebbene mia cara? Confessi di essere una strega?".
Tituba alzò il capo, scossa da quel dolore lancinante disse: "Sì confesso...".
Samuel sorride apertamente, dicendo: "Brava, ti sei risparmiata un sacco di dolore dicendo la verità. Ora devi fare i nome dei tuoi complici" sorride avvicinando il volto al suo: "Clauda la levatrice non è forse tua complice?" chiese il reverendo.
Tituba: "No mio signore. Lei non ha fatto nulla..." disse lei con un filo di voce. Le forze iniziavano a mancarle.
Samuel disse stizzito: "Bugiarda! Lei è tua complice e tu la difendi!" facendo poi un altro cenno all'uomo. La figura incappucciata prese dei lunghi aghi e li infilò uno per uno nelle estremità delle unghie strappate. Il dolore era immenso e Tituba urlava a squarciagola dal dolore che provava. La sua voce risuonò limpida nella prigione. Il reverendo avvicinandosi di nuovo al suo volto disse: "Ebbene?"
Ma Tituba stava ricurva a capo basso senza rispondere. Samuel allora spinse con la mano gli aghi ancora più in profondità. Tituba digrignò i denti dalle torture a cui era sottoposta.
Samuel: "Clauda è tua complice?" domandò ad alta voce.
Tituba guardandolo in voltò annui.
Samuel: "Bene, hai fatto la cosa giusta confessando i tuoi complici. Ora pentiti dei tuoi peccati".
L'uomo incappucciato prese un lungo bastone attorcigliando i lunghi capelli neri di lei allo stesso, ed iniziò a ruotare l'attrezzo in modo veloce. Tituba urlava e si dimenava dal dolore. Il suo viso era rigato da lacrime, ma non per il dolore che le veniva procurato, piangeva perché sapeva di aver condannato un'altra donna a subire quel terribile quanto inumano supplizio. L'uomo incappucciato continuava a ruotare veloce ed infine annodando con grande forza quei capelli arrivò a togliere lo scalpo alla donna lasciando il cranio scoperto. Il reverendo fece il segno della croce in sua direzione. Guardava la scena disgustato; gli occhi sgranati guardavano quei due uomini e la donna in terra con le cervella di fuori. Chiuse gli occhi voltando la testa per il troppo disgusto. Appena li riaprì si trovo anche lui incatenato. Le braccia alzate erano incatenate al muro ed ora l'uomo incappucciato e il reverendo lo guardavano.
Samuel: "Ora è il tuo turno. Confessi infine di essere complice del demonio?".
Rimase in silenzio. La paura bloccava la sua lingua; dimenava le braccia nel tentativo di liberarsi. Mille pensieri attraversavano la sua testa tutti confusi tra loro.
L'uomo incappucciato prese un ferro rovente e lo avvicino a lui poggiandolo sul suo fianco destro. Lanciò un urlo disumano stringendo le catene. Sobbalzò poi dal letto; le lenzuola sudate ed il cuore che batteva all'impazzata. Piano riacquistò lucidità. Un sogno, solo un sogno. Si alzò dal letto stiracchiandosi un poco. Alzò la maglietta che indossava per controllare il suo fianco destro, ma non vide nessuna ferita. Si sedette alla scrivania prendendo in mano la penna. Inizio a scrivere su un foglio scarabocchiato: "Idee varie per il nuovo romanzo - 'La stagione della Caccia' - Una fioca luce che illumina una stanza spoglia..."

Simone Bruni