Solo un giocattolo

Una grossa e pesante scatola grigia spuntò tra vecchi abiti e valigie vuote, tristi cimeli dei miei viaggi in giro per il mondo alla ricerca di una chimera. Della mia infanzia restava ben poco, racchiuso in quel pacco; il resto era finito nelle mani di mia sorella minore, prima, e poi di qualche cugino più piccolo. Mia madre aveva però conservato gli oggetti che le rammentavano i momenti più significativi della mia crescita ed io le fui molto grato per questo. La mia è stata una infanzia serena, almeno fin ad un certo punto, fatta di coccole e balocchi, dolci nenie e favole; certo, una volta uno zingaro rubò il mio palloncino, talora i miei genitori litigavano; il cagnolino morì di cimurro, le caramelle erano sempre poche, ma ero felice.
Levai il coperchio. Un simposio di ricordi: pistole che non hanno mai sparato, numeri ormai da collezione di fumetti, anche una massa informe di plastilina. Qualcosa turbò, ad un tratto, il mio viaggio contro la freccia del tempo. Quell'oggetto non era mio. Rammentavo la sua esistenza, ora che me lo ritrovavo tra le mani, ma non riuscivo ad intenderlo come parte della mia vita. Non volevo ricordare, ma lo stavo facendo. A volte la mente ci protegge, altre volte corre inarrestabile verso strade sbagliate.
Un'automobilina di metallo azzurra, un vecchio maggiolone con la chiavetta per la carica sul cofano. Avevo 5 o 6 anni ed ero un bambino felice; dopo non lo sono mai più stato veramente. Era lì, tra tanti giocattoli; ero fortunato ad averne una tale quantità. Forse l'aveva dimenticata qualche amichetto, o era il regalo mai usato di passate Epifanie, non sapevo. E poi, a quell'età non ci si pone tanti problemi. Provai a ruotare la chiave, ma sembrava bloccata. Peccato, era un bel gioco. Sono sempre stato testardo; mi impegnai di più, fino a piegarmi per lo sforzo e infine la chiave cedette. Solo un poco, ma con il senno di poi dico che era troppo. Deluso, posai l'automobile sul pavimento, convinto che con così poca carica non si sarebbe mai mossa. E invece cominciò a camminare.
Non ricordavo altro, se non una grande sofferenza. Ma il mio dolore era stato davvero causato da quel piccolo maggiolone, un innocente giocattolo di metallo pressofuso dimenticato tra i miei giochi?

Sudavo freddo. Provai a ruotare la chiave, ma non voleva saperne; alla fine, però, come quel giorno cominciò a cedere. Se da bambino ero riuscito a ruotarla solo di qualche grado, adesso potevo fare di più, ma avevo paura. Una piccola rotazione aveva sconvolto la mia esistenza; cosa poteva accadere sfruttando la mia forza di uomo adulto? "Cavolate", mi dissi; qualcosa di più reale era accaduto quel giorno.
Una rotazione di una decina di gradi poteva essere sufficiente. Continuavo a sudare, e tremavo perfino. "Devi vincere le tue paure. I traumi vanno dominati".
Dovrei essere un po' meno cocciuto. Posai il maggiolone sul pavimento, come quel giorno. "Non può camminare con così poca carica..." E invece si mosse, emettendo un sibilo. Non mi sembrava di aver notato una sirena o qualcosa del genere... Si muoveva lentamente e il suono cresceva. Cresceva. "Non è possibile, non può fare tanto baccano". E intanto tornavo con la mente a quel pomeriggio, tutto uguale. Mi rifiutai di ricordare ancora; in fondo non serviva rammentare, il passato era tornato con tutta la sua irruenza, con gli interessi degli anni trascorsi. Il suono cresceva di intensità, facendomi lacrimare gli occhi per il dolore alle orecchie; non si trattava di un fischio acuto, ma di un rombo cupo che impregnava ormai ogni cosa; e la luce del giorno si incupiva, come se un forte temporale fosse alle porte. La bufera che avrebbe sconvolto di nuovo, di più, la mia esistenza. Presente e passato si confondevano in una indistinta dimensione onirica. Non era un incubo, altrimenti mi sarei svegliato.
Ad un tratto il silenzio più assurdo. Non c'era più luce, ma non era buio. Mi sembrava di essere in un limbo dove nulla esiste, anche se potevo vedere gli oggetti a me familiari. Li vedevo ma non c'erano; e altre cose invisibili invece mi circondavano.
L'automobile si fermò. Non era più un giocattolo, ma non era neppure grande. Non capivo se fossi io piccolo o il resto maestoso; era tutto della stessa dimensione, con prospettive che neanche Escher sarebbe riuscito a dipingere e neppure ad immaginare. Lo sportello si aprì lentamente. Mi aspettavo un creeeeek dovuto alla ruggine, e invece il silenzio totale. E infine lei fece la sua comparsa. Adesso la ricordavo.
L'avevo incontrata quel giorno, da piccolo, e aveva fatto la sua comparsa un'altra volta, in seguito. Era notte, e passeggiavo in auto con un mio amico per desolate stradine di campagna, chiacchierando di questioni pseudo filosofiche. La filosofia dei giovani, come in una vecchia canzone che racconta di quattro amici al bar. Spegnemmo le luci dell'auto perché solo la luna illuminasse il nostro cammino. Le strade di campagna rischiarate dall'astro d'argento hanno sempre qualcosa di spettrale, inquietante e affascinante. In quel mentre, una bianca figura di donna comparve al centro del viottolo. La riconobbi e urlai, ma quando il mio amico levò lo sguardo ormai assonnato non c'era più nulla. Pensai che fosse la stanchezza. Lei, in realtà c'era stata per davvero.
La puoi incontrare nei momenti meno opportuni e la vedi solo tu; ma lei è reale quanto la tua colazione al mattino e se non la eviti ti distrugge. Mi sono imbattuto in lei tre volte, e solo in campagna mi salvai, forse perchè non ero da solo.
Era uscita dal maggiolone, Regina dell'Oblio, bianca e solenne nella sua veste di luna. Mi salutò con il suo falso sguardo innocente; sembrava che mi desse il bentornato nel suo mondo. "Bravo, sei di nuovo qui, ma la tua permanenza non sarà breve come allora...". Dischiuse le labbra e soffiò una bolla di sapone. Avrei continuato a vivere la mia esistenza di uomo soltanto fin quando la bolla non fosse esplosa. Respirai l'ultimo sorso di vita, così come la intendiamo noi, poi il mio corpo si accasciò nel vuoto.
Lei si avvicinò e puntò un dito verso la mia fronte. Ero cosciente ma impossibilitato a muovermi. La mia mente, nella sua parte più materiale, si distaccò dal corpo. Una musica di numeri e parole impregnava l'aria, mentre la materia grigia di distendeva come quando sfili un gomitolo di lana; i neuroni danzarono infine nell'aria, liberi l'uno dall'altro, privi dei vincoli sinaptici. E' incredibile di quante cellule neurali sia composto il cervello umano; si dice qualcosa come 10 elevato alla 24. Erano tutti lì che invadevano lo spazio del mio studio. Sono certo che qualcuno di essi è rimasto tra le pagine dei miei libri, oppure tra la polvere degli scaffali. Ho timore oggi di pulire quella stanza, non vorrei gettare qualcosa che mi appartiene; magari quei neuroni smarriti potrebbero essere responsabili di ricordi importanti e chissà se un giorno qualcuno non potrebbe recuperarli e metterli a posto...
Una macabra e assurda danza, mentre la carica del maggiolino si stava esaurendo. Se avessi dato meno corda, certamente la bianca signora sarebbe andata via molto prima e magari i danni sarebbero stati minori. E se avessi dato tutta la corda? Forse i neuroni si sarebbero scissi nelle loro componenti più intime, in atomi o forse saremmo arrivati ai quark. E magari tutto il mondo, o l'universo, si sarebbe scisso. E il regno della bianca signora sarebbe giunto. Credo che aspetti qualcuno tanto forte da dare alla chiave un giro completo.
La musica finì. La signora tornò in auto e la vita ricominciò.
Ero diverso da quel che sono. Mi preferisco così? Non saprei dire. Non sono quel che mia madre e mio padre hanno generato, e non potrò esserlo. Nessuno ha capito cosa sia successo ed io non posso spiegarlo. Il maggiolone non c'è più e qualche altro bambino lo troverà, prima o poi. Forse non sarà più un'automobile a corda.
Quel che è potrebbe non essere stato.

Luigi Civita