Il vento del sud

E' impossibile dire attraverso quale senso, o combinazione di sensi, io seppi che Qualcuno stava arrivando, era già vicino; ma probabilmente era il profondo sottostante “senso madre”, comprendente tutti i sensi, che portava il delicato avvertimento. In ogni modo gli scenografi della mia anima lo sapevano poiché molto velocemente prepararono lo sfondo; poi, invisibili e in punta di piedi si misero da parte per aspettare.
Mentre scendevo le vie del villaggio per andare a letto dopo mezzanotte, l’alta valle Alpina si stendeva silenziosa nella gelida quiete. Per giorni era stata così con le foci delle cateratte bloccate dal ghiaccio; e per giorni, anche, il gelo secco e rigido aveva teso i nervi degli uomini a un acuto vertice di tensione che incominciava ad aver bisogno di conforto e rilassamento. La nota era stata un po’ troppo acuta, il rigore interiore troppo prolungato. La tensione di quell’implacabile vento di nord est, la Tramontana Nera, aveva tirato i suoi fili contorti per troppo tempo dentro i nostri corpi. Tutti noi sospiravamo per uno scioglimento dei legami, per il confortante tocco di qualcosa di umido, morbido, meno penetrante e acuto.
E ora, mentre procedevo nel mio piccolo viaggio dalla taverna alla mia stanza sopra La Poste, questo improvviso avvertimento che Qualcuno si stava avvicinando, ripeté il suo silenzioso messaggio, e io mi fermai per ascoltare e per osservare.
Però, sulle prime cercai inutilmente. La via del villaggio si stendeva vuota, un nastro bianco fra i muri neri degli chalet con gli alti tetti; non c’erano luci in nessuna casa; gli hotel si levavano brutti e scarni con miriadi di finestre chiuse; e la chiesa, sovrastata dalla Corona di Savoia, era così ingolfata dalle ombre delle montagne che sembrava farne parte.
Al di là si ergeva l’immensa contrafforte del Dent du Midi, terribile e possente contro il cielo, con la base affondata fra la selva dei pini, con i precipizi striati e inclinati a angoli acuti verso le stelle. Le distese di neve, che circondavano i suoi enormi fianchi, scintillavano come gli anelli di Saturno. Alla destra potevo distinguere i pinnacoli del Dents Blanches, crudemente appuntito; e, ancora più oltre, il Dent de Bonnaveau, simile a ferro e cristallo, che spingeva la sua scarna e terribile piramide fin dentro le inesorabili profondità della notte. Dappertutto nell’aria dura, nera e scintillante c’era il rigido incantesimo dell’inverno. Sembrava che la valle non potesse mai più sgelarsi, mai più sentire correnti di vento caldo, mai assaporare il sole nè produrre i suoi milioni di fiori.

E ora dietro di me, immerso nell’oscurità il Nuovo Arrivato si muoveva preceduto dal sottile ma forte avvertimento che mi aveva fatto fermare lungo la via. Poiché, proprio mentre mi avvicinavo alla porta scalciando la neve schiacciata dagli stivali contro il gradino di granito, io seppi che, dal cuore di questa gelida notte invernale, Qualcuno, il cui messaggio aveva viaggiato delicatamente in anticipo, si trovava ora improvvisamente alle mie spalle. E mentre alzavo gli occhi per scrutare la strada fra l’oscurità e la neve, divenni consapevole che Lui era già arrivato alle porte del villaggio. Correva su piedi di piuma, premeva contro i muri e allo stesso tempo si spargeva da tutte le parti, sfiorando le finestre, frusciando contro le porte, investendo perfino i tetti splendenti nella sua avvolgente venuta. E lui arrivò anche... contro vento.
Mi volò vicino e mi sorpassò, cantando debolmente, mentre correva giù fra gli chalet e la chiesa, veloce, molto veloce nè uomo, nè animale, né donna, ragazza, nè bambino; superò l’angolo della strada nevosa (oltre la casa del curato) con movimento vivace e precipitoso che mi fece pensare di un Corpo d’acqua, qualcosa della forma fluida e generosa, troppo potente per venir confinato entro forme comuni. E, mentre passava mi toccò, toccò attraverso la pelle e la carne i miei nervi nudi, sciogliendo, risollevando, liberando le sorgenti congelate della vita che la tramontana aveva per tanto tempo spietatamente imprigionato, cosicché le magiche correnti fluendo e rilassando, percorsero tutte le segrete regioni dello spirito e inondarono nuovamente con alta marea le mille prosciugate cisterne del cuore.
Il brivido che provai non è comunicabile con le parole. Corsi di sopra e spalancai tutte le finestre, sapendo che il Messaggero presto sarebbe ritornato insieme ad altri milioni. Il suo sapore era nell’aria, fragrante e vivo; era nella bocca, mentre tutte le correnti della vita interiore scorrevano di nuovo dolci e possenti.
Niente nel villaggio era rimasto come prima. Perfino i paesani profondamente addormentati dietro finestre chiuse e porte sbarrate; il curato, i servi alla taverna, l’uomo tubercoloso nella casa di fronte, i bambini nella casa dietro la chiesa, l’orda di turisti nella carovane, tutti sapevano, più o meno secondo la delicatezza del loro apparato percettivo, che Qualcosa carico di fresca forza vitale aveva percorso con piedi invisibili le vie del villaggio, era passato senza rumore fra le fessure di porte e finestre, aveva toccato nervi e palpebre, liberandoli. In risposta al comando di liberazione che il messaggero aveva portato in ogni luogo, perfino i sogni dei dormienti erano saliti verso toni più morbidi e fluidi.
E la Valle... anche la Valle lo sapeva! Infatti, mentre osservavo dalla finestra, qualche cosa liberò gli alberi e le pietre e le rocce; sulle nevi ammassate e sopra i grandi pendii; alla base dei pinnacoli di ghiaccio che ornavano e rivestivano le rupi nere; e giù nei letti profondi delle sorgenti morte e silenziose. Laggiù, sopra quelle squallide e desolate montagne, si diffuse una improvvisa morbidezza, simile al flusso della vita che si risveglia... e poi andò via. Un tocco flessuoso di rugiada, come di seta e acqua mescolati, cadde morbidamente sopra tutto... e, in silenzio, senza opporre resistenza, la Tramontana Nera completamente sbaragliata si ritirò nelle caverne di ghiaccio di nord est, per dormire, odiata dagli uomini, e per sognare i suoi penetranti, neri sogni di morte e desolazione...
E cinque ore più tardi, quando mi svegliai e guardai l’alba, vidi le strisce grigio perla appena tinte di rosso, che il Messaggero aveva richiamato... cariche della tiepida umidità che porta sollievo. Sulle ali del nascente Vento del Sud il tepore venne giù dalle cime delle montagne e slegò le forze della vita che erano prigioniere; poi si mosse con voli di vapore sopra la nostra valle, assorbendo dai boschi assetati i loro più ricchi profumi...
E ancora più oltre, laggiù, nei morbidi campi bagnati, stavano i pioppi senza foglie, con piccole pozze di acqua che scintillavano fra l’erba, si riversavano in una musicale inondazione dentro ruscelli pieni di nere foglie putride, e ingrossavano i torrenti provenienti dalle montagne. Poi attraverso tutta la valle magicamente fluì quel dolce e benvenuto messaggero di sollievo, che Giobbe conosceva bene quando mise tenerezza e passione nelle sue parole:
“Egli confortò la terra con il vento del sud”.

Algernon Blackwood

Racconto raro dell'orrore scelto e tradotto da Sergio Bissoli.