I giorni dell'oca

Nella primavera dell’anno del Signore 1608 mi ero spinto con il mio carico di libri più ad est del solito, verso il confine con la Terra dei Laghi e più precisamente nella zona chiamata della Cascata vociante. Ma non fu questa la meraviglia che allora mi impressionò, bensì i fatti che in seguito mi accaddero in quel di Mürmensk nei giorni di festa organizzati per il santo patrono del paese. Posso sostenere oggi, con sincerità, che da allora ho perso molta della mia spavalderia nel viaggiare in lande sconosciute: adesso prendo accurate e preventive informazioni prima di inoltrarmi in regioni per me completamente nuove. Nonostante ciò, durante tutto il viaggio, non sono tranquillo almeno fino a quando non mi ritrovo sul sentiero del ritorno. Ma ecco quel che successe.
Ero appena arrivato sulla piazza principale del paese quando mi venne precipitosamente incontro un tipo grande e grosso con un cipiglio di severo rimprovero sul volto. Subito non me ne accorsi, ma sotto braccio aveva un’enorme oca che mi guardava con accondiscendente pazienza. L’uomo parlava in fretta e con un dialetto poco comprensibile tanto che ci misi un bel po’ a capire che mi stava chiedendo che fine avesse fatto la mia oca. Al mio tentativo di spiegargli che in realtà non ne avevo una, l’omone, prima si sorprese, poi mi farfugliò che comunque non sarei potuto restare a lungo in quel posto se non me la fossi procurata alla svelta. Quando se ne andò, con la stessa fretta con cui mi si era avvicinato, pensai che fosse un po’ debole di intelletto o, quanto meno, già ubriaco in quel primo scorcio del mattino. Ma, quando più tardi incontrai un bambino piuttosto sveglio che mi chiarì che quelli erano i Giorni dell’Oca e che la festa riguardava soprattutto quei simpatici pennuti, mi convinsi della necessità di comprarne una, anche perché, a suo dire, portava male aggirarsi per le vie del paese senza esserne dotati: oltretutto qualche esagitato sarebbe potuto anche andare in escandescenze facendomi passare qualche brutto momento. E, siccome era mia intenzione fare affari in quella zona, volevo evitare assolutamente di mettermi in urto con gli abitanti, che non mi avevano peraltro dato l’impressione di essere granché socievoli. Così il bambino, che mi disse chiamarsi Hans, mi accompagnò molto gentilmente da un Mastro Ocaio, che, per un prezzo ragionevole, me ne vendette una di color bianco, ma con un collarino di pelo nero appena sotto il becco. Il piccolo Hans mi chiarì che avrei dovuto tenerla sotto braccio insegnandomi persino la particolare e antica tecnica dell’abbraccio discreto. Dovevo, in altre parole, cingerla con una mano sorreggendola per il petto, in modo tale che, non solo fosse relativamente libera nei movimenti, ma anche che potesse far bella mostra di sé. Lo ringraziai molto per le diffuse raccomandazioni che mi aveva dato e, stavo giusto per andarmene, allorché lui mi tirò per la giacchetta per trattenermi.

Cominciai a preoccuparmi quando mi disse che, comprando l’oca, avevo in realtà assolto solo alla metà del mio compito. Mi diceva infatti che quelli erano sì i Giorni dell’Oca, ma anche e soprattutto il periodo della Rappacificazione e del Rinnovamento. Avrei dovuto cioè, nella celebrazione del rito, vestire il pennuto in modo tale che assomigliasse il più possibile al mio peggior nemico. Solo identificando l’animale con l’oggetto del mio odio, attraverso la preghiera e la volontà di superare i contrasti interiori, avrei riconquistato il mio posto nell’Universo ristabilendo l’armonia nel Mondo creato. Certo, il bambino non usò queste parole, ma sono sicuro che il senso fu quello. Rinunciando al desiderio di saperne di più, visto che oramai ero in gioco, mi vidi costretto a comprare anche dei vestiti per il mio pennuto così che lo stesso potesse ‘diventare’ tale Olsen, un tizio molto antipatico, che giunto, nel mio borgo qualche anno addietro, spesso mi angaria e mi umilia con le sue prepotenze esecrabili. Comprai la maglia, i pantaloni, le bretelle (persino il cappello e le scarpe apposite) in un negozio fornitissimo proprio in questo genere di vestiario. Il bottegaio fu davvero molto competente a mostrarmi gli indumenti che riteneva i più adatti alle mie necessità.
Per tre giorni rimasi a Mürmensk e per tre giorni mi portai a spasso l’oca senza essere mai in grado di liberarmene neppure per un attimo. Mi sentivo piuttosto ridicolo e goffo, ma ben presto mi tranquillizzai quando mi accorsi che non facevo che ricevere i complimenti da tutti per come avevo addobbato il ‘mio’ Olsen: gli abitanti mi trattavano cordialmente, quasi fossi diventato uno del posto, facendo a gara per offrirmi da bere quella loro birra forte e speziata che mi risultava però tanto pesante da digerire. Questo mi permise comunque di fare affari d’oro. Vendetti in quel breve periodo tantissime pubblicazioni, in particolare quelle che riguardavano animali da cortile e volatili. Fu un successone.
Poi, alla sera del terzo giorno, Hans mi venne a chiamare dicendo che finalmente era arrivato il momento più importante dei festeggiamenti. Dovevo assolutamente seguirlo e, ovviamente, portare con me l’oca. Risoluto ad adeguarmi fino in fondo alle usanze del luogo, seguii il mio prezioso e piccolo amico che, fendendo la calca, si diresse rapido verso la piazza del paese. Qui la gente si era radunata per cantare insieme attorno al fuoco che divampava furioso al centro sprigionandosi da enormi tronchi ammucchiati a catasta. Ognuno reggeva un grosso boccale di birra che faceva ondeggiare al ritmo della canzone di turno, senza mai abbandonare l’immancabile pennuto, sistemato com’era comodamente sotto l’altro braccio. Il clima era gioviale, la gente rideva e beveva paonazza in viso, tracannando la copiosa bevanda come fosse acqua; man mano che trascorrevano le ore, i canti si facevano sempre più alti e sonori e anche le preghiere, che intervallavano i canti con una certa cadenza e solennità, erano suggestive e piene di sentimento. Il Mastro Birraio, dal suo canto, non mancava di passare di frequente a riempire i boccali di ciascuno spillando il liquido biondo e spumoso da una grande botte trascinata su una carriola e spinta da un nerboruto giovanotto. Poi, quando il campanile della chiesa rintoccò mezzanotte, quello che sembrava essere, tra gli altri, il personaggio che riscuoteva maggior seguito e autorità, alzò al cielo il suo bicchiere gridando qualcosa di indecifrabile nel preciso momento in cui su tutta la piazza si era fatto un gran silenzio. Quindi, all’unisono, tutti i presenti ripeterono la stessa frase urlandola come fosse una parola d’ordine. Gli occhi della gente brillavano per i fumi dell’alcol e per le lingue alte di fuoco che si sprigionavano dal falò lambendo un cielo terso e immobile. C’era molta serenità che aleggiava su quello sfondo anche se una sorta di tensione era percepibile nell’aria quasi stesse per abbattersi un terribile sortilegio. Una leggera brezza spirò dal monte, piegando in modo innaturale le chiome degli abeti e facendomi rabbrividire. Notai che le donne avevano formato un gruppo a sé e se ne stavano in disparte a ridosso della grande ruota ferma di un mulino, come se si volessero mettere al riparo. Quindi l’uomo importante, dopo essersi accertato di aver catturato l’attenzione generale, si accucciò in modo lento e teatrale sulle proprie caviglie. Era il gesto che gli astanti, era facile capirlo, stavano aspettando da tempo. L’uomo, abbozzando un mezzo sorriso di compiacimento, spaccò con forza sul selciato il boccale massiccio. Si levarono attorno a lui mille frantumi di vetro, che presero subito il caldo colore del fuoco; quindi, con il moncone tagliente rimastogli in mano, sgozzò con un colpo secco l’oca che se ne stava ancora tranquilla, vestita a festa, sotto il suo braccio. Un istante dopo, coralmente, anche tutti gli altri uomini fecero la stessa cosa con la propria oca. Schizzi di sangue sprizzarono ovunque e un disgustoso odore di morte si sparse come una pessima notizia per le vie anguste del paese. Capii che l’oca sacrificata doveva servire a una sorta di calmiere sociale, in modo da poter consentire di scaricare sull’animale quella violenza, che altrimenti sarebbe stata esercitata sui propri simili. Ma la scena che mi si scolpì nella memoria era terribile, per l’espressione satanica che avevano assunto gli uomini nell’osservare il sangue che fuoriusciva a getto da quei colli spezzati a imbrattare vestiti e stivali.
Scappai terrorizzato con il mio pennuto, mentre alle mie spalle i canti, gli schiamazzi e gli applausi erano ripresi più fragorosi di prima.
A distanza di anni, l’oca Olsen continua ancora a vivere nel giardino di casa mia, forse ignara del massacro cui è sopravvissuta. E a Mürmensk non ci sono tornato mai più.

Briciolanellatte

Fin da quando ero bambino ho avuto la passione di scrivere. Oltre a una decina di libri e articoli a divulgazione scientifica pubblicati però con il mio vero nome, ho al mio attivo diversi romanzi (anche di letteratura per ragazzi) e racconti di genere vario (noir, surrealistico, fiabesco…). Ho vinto molti concorsi (sia con poesie che con racconti) anche a livello nazionale e attualmente è in fase di editing un romanzo, sempre per ragazzi, per i tipi della Fanucci Editore di Roma che dovrebbe essere pubblicato nei primi mesi del prossimo anno. È disponibile invece, sotto lo pseudonimo di Briciolanellatte e con la formula ‘print on demand’, una selezione di racconti edita dalla Jumper.it, in formato blogbook, intitolato ‘I racconti di Poggiobrusco’. Dal gennaio 2003 gestisco un weblog di miei brevi racconti consultabile all’indirizzo: www.briciolanellatte.splinder.com