Il sole si abbassa lento

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2010 - edizione 2

Il gracchiare del citofono fu un sollievo e lui corse a rispondere. Erano passate le undici ed i suoi rientravano a casa. Stiracchiò le membra alla luce calda dell’ingresso, come fosse il getto della doccia. Gli angoli oscuri dell’appartamento arretrarono e lo sguardo torvo della notte si diradò. Era salvo per ora, ma sapeva che non sarebbe finita lì. Dall’ascensore il padre uscì di schiena sfilando la carrozzina su cui sedeva la moglie che sorrise chiedendo comprensione.
- Ma dove eravate? – disse Denis.
- Non stare lì impalato, aiuta tua madre. – tagliò corto l’uomo.
Spinse la carrozzella nell’andito e le levò la giacca, il padre andò dritto in cucina e sturò una bottiglia.
- Perdonaci, non avremmo dovuto fare tardi. – disse la madre.
Era triste e molto stanca, ma Denis pensò solo alla sua attesa.
- Dovevate tornare prima del buio, l’avevate promesso. – disse.
Dalla cucina si sentì sbattere un bicchiere sul tavolo e l’ombra massiccia del padre si frappose alla luce del lampadario.
- Che hai da strillare? – disse, alitando l’odore acido del vino.
- Andiamo Tonino, devo darti le medicine. – disse la moglie.
La seguì in cucina strascicando i piedi, lei contò le gocce scandendole con le labbra e lui buttò giù d’un fiato.

La cosa era nel salotto, dietro i lampi blu del televisore, il suo nome era un brivido alla schiena, un alito freddo dietro alle orecchie. Denis sedeva ai piedi della madre, ogni tanto le volgeva uno sguardo implorante. Forse lei sapeva, ma gli era impossibile parlarne. Come avrebbe potuto spiegare cosa abitava l’ombra? Non poteva dirlo nemmeno a se stesso.
A notte fonda il suo spirito, espanso, ascoltava ogni debole rumore. Il caldo soffocante lo costrinse ad aprire un varco fra le coperte, un soffio freddo entrò e nell’oscurità Denis ripensò allo schiaffo ricevuto. La mano nodosa del padre gli era piombata sull’orecchio e lui era caduto nel vino che aveva gettato, così il padre aveva sfogato la rabbia per la malattia dell’amico. Erano rimasti al suo capezzale, per ciò avevano tardato.
Anche Denis provò rancore, tanto che la paura si perse in lui come una torcia in un pozzo. Allora il buio palpitò, odiò rabbioso con lui e qualcosa si mosse nel corridoio, al riparo dal fioco pallore che filtrava dalla finestra. Quando dal nero l’ombra guizzò dentro l’altra stanza, Denis col cuore gelato uscì dal letto e fece solo un passo. Dietro l’angolo avrebbe visto ciò che accadeva ai suoi, ma non ebbe il coraggio, la notte era a caccia e sul muro ombre si mossero convulse. Quando il respiro del padre si ruppe in un’apnea infinita, il suo sguardo avrebbe potuto fermare la cosa, ma Denis non ne fu capace, finché il gorgoglio non cessò. Allora vide gli occhi paterni fermi come biglie rotte sull’antico ritratto di santo appeso. Denis sapeva che quello inginocchiato all’altare non era San Vincenzo Ferreri, nel buio timido di una notte di mezza luna parve che anche quegli occhi di santo lo guardassero e sapessero di lui.

Davide Ferreri