La piangorisata

Ripiegai il giornale in quattro e lo infilai nella tasca della giacca. Ero fiero di me: non trafiletti, ma intere colonne in prima mi venivano dedicate.
"Ormai sono una celebrità" pensai.
Era una bellissima giornata: seduto su una panchina del parco, mi crogiolavo al sole.
Una bambina con le treccine all'insù, il visetto tutto pieno di efelidi e le fossette sulle guance mi passò vicino.
- Hai un bellissimo vestitino - dissi. - Cosa sono, fiorellini o farfalle?
- Sono fiorellini - rispose. - Fiorellini di tutti i colori.
- Scommetto che sei la bambina più brava di tutta la classe.
- E tu come fai a saperlo?
Scrollai le spalle. - Certe cose io le so e basta - dissi.
Indicai con il dito la zona dove erano altalene e scivoli. Una ressa di bambini vi si affollava.
- Tutti amici tuoi quei bambini? - chiesi.
- Oh, no. Solo quelli che vengono a scuola con me.
- E quello? - Ne indicai uno che se ne stava un po' in disparte dagli altri. - Anche lui viene a scuola con te?
- No - rispose. - Quello non mi sembra proprio di conoscerlo.
- Bene, in questo caso possiamo stare tranquilli. Lo sai tu perché non gioca con gli altri? - le chiesi.
- Forse viene da un'altra città e non ha ancora amici - ipotizzò lei.
- Molto peggio - dissi io. - Non gioca con gli altri perché lui è un bambino malvagio. E il consiglio che ti posso dare è di startene sempre alla larga da lui.
- E'... pericoloso?
- Molto pericoloso - dissi. - Lui è un piccolo strangolatore.
- Un piccolo strangolatore? - ripeté lei.
- Proprio così.
Inghiottì a vuoto. - E... ha strangolato molte bambine? - chiese.
- Grazie al cielo ancora nessuna. Per il momento si è limitato a strangolare le loro bambole. Ma noi temiamo che prima o poi lui possa...

Ritenei opportuno non terminare la frase.
La bambina mi fissò con rinnovata curiosità.
- Ma tu chi sei? - chiese.
- Io? Diciamo che sono una persona molto celebre.
- E perché sei celebre?
- Perché sono quello che ha inventato la piangorisata.
- La... piangorisata?
- Non sai cos'è la piangorisata? - chiesi indignato. - Ma se tutti i giornali ne stanno parlando! - Indicai il quotidiano ripiegato che avevo nella tasca.
Lei abbassò lo sguardo mortificata.
- La mamma dice che sono ancora troppo piccola per leggere i giornali.
- Va bene... va bene... - tagliai corto io. - Cercherò di spiegartelo in poche parole. Rispondi attentamente a queste mie domande: hai mai visto una persona piangere?
- Sì, certo.
- E una persona ridere?
- Anche.
- Scommetto però che non hai mai visto una persona piangere e ridere contemporaneamente.
- Certo che non l'ho mai vista: è impossibile.
- "Era" impossibile. Io ho scoperto il sistema per farlo, e l'ho chiamato appunto la piangorisata.
- Davvero! Ed è difficile?
- Molto difficile. Per fare una piangorisata decente ci vogliono anni e anni di allenamento. Non per nulla sono l'unica persona al mondo capace di farla.
- Ti prego, fammela vedere.
- Davanti a tutta questa gente? Ma vuoi scherzare! Lo sai che è un segreto di stato?
Diventai improvvisamente serio mentre fissavo qualcosa oltre le sue spalle.
- Cosa c'è? - chiese.
Parlai a voce bassa: - Non voglio allarmarti piccola, ma ci sono problemi. Quel bambino di cui stavamo parlando, ricordi? Ci sta fissando con una certa insistenza.
- Pensi che ha sentito i nostri discorsi di prima?
- Temo di sì. So per certo che ha un udito eccezionale.
- Cosa possiamo fare?
- Allontaniamoci facendo finta di niente. Seguimi e non ti voltare mai dalla sua parte.
Camminammo per un poco.
Il parco digradò in boscaglia.
Una quiete diversa. Le grida dei bambini erano ora solo una eco lontana.
- Penso che possa bastare - dissi.
- Ora non ci può più vedere?
- Sì, ora non ci può più vedere. Nessuno ci può più vedere.
Un'improvvisa idea le illuminò il viso.
- Se nessuno ci può vedere, tu allora puoi fare la piangorisata?
- Ma sì, per una bambina molto studiosa come te è una cosa che faccio sempre volentieri. Guardami attentamente perché la cosa dura solo pochi secondi.
Mi si piantò di fronte.
Io mi concentrai.
- Dimmi quando sei pronta - chiesi.
Lei fissò i suoi grandissimi occhi verdi dritti nei miei.
- Sono pronta - disse.
Io allora scattai in avanti serrandole le mani attorno alla gola.

 

***

 

Osservavo affascinato quei lividi viola sul suo collo.
Giaceva su un letto di aghi di pino. Gli occhi, ancora pieni di un muto stupore, fissavano il cielo.
Come con le altre, la cosa era durata solo pochi attimi.
Uno stormo di passerotti si era alzò in volo da dietro un cespuglio.
Mi asciugai il sudore dalla fronte e mi diressi verso l'uscita.
L'indomani i giornali avrebbero ancora parlato di me. Intendiamoci: non trafiletti, ma intere colonne...

Gino Spaziani