La profezia

Il nonno ed io eravamo seduti sotto il portico, al fresco, su una palla di fieno che avevamo appena imballato. Era un pomeriggio torrido, quel 12 agosto 1899; tra quattro mesi sarebbe iniziato il nuovo secolo, tutti ne parlavano, tutti ne erano terrorizzati. Si diceva che questa volta sarebbe stata veramente la fine di tutto: un essere immondo si sarebbe liberato dalla prigione di fiamme nel sottosuolo, e avrebbe portato morte e devastazione ovunque fosse passato. La scia di sangue e terrore che avrebbe lasciato dietro di sé "... segnerà la fine dell'era umana sulla Terra, e l'inizio di un'era nuova, dominata dal male e dalla desolazione."
Disse il nonno, visibilmente affranto.
"Come fai a credere a simili dicerie?" gli domandai.
"Edward..." cominciò lui "l'ultima volta che si è parlato di tutto ciò è stata più di un millennio fa.
L'anno 1000 era considerato come l'inizio della fine. Il terrore serpeggiava in tutto il mondo fino ad allora conosciuto; poi, una volta che quella data è stata superata, pian piano anche la paura è venuta meno. Ma come vedi si sta di nuovo ridestando; non è un caso, non può esserlo. Tutti lo sanno, nessuno lo dice; è una verità nascosta, presente nell'animo di chiunque."
"Nel mio di sicuro no" ribattei.
Ci furono un paio di secondi di silenzio. Poi il nonno parlò.
"Ci sono i segni." Sussurrò.
Lo guardai stranito.
Lui si voltò, e scrutò il mio sguardo con aria severa.
"Hai capito bene Edward. I segni."
"Quali segni?" chiesi, quasi stanco di quella conversazione a mio avviso priva di senso.
"I disegni sulla porta della chiesa; li ha visti tutto il paese, anche tu. Come puoi far finta di niente?".
"Nonno, ascoltami. Sono stupidi disegni fatti anche male, da un branco di teppistelli che non ha niente di meglio da fare che seminare panico tra la gente." Dissi serio.
Il nonno si alzò in piedi.
"Vieni con me" bisbigliò.
Lo seguii a malavoglia, l'afa era soffocante, e non volevo abbandonare quell'accogliente angolo di refrigerio. Percorremmo tutto il campo, per poi inoltrarci nel boschetto ai margini di questo. Un'arietta piacevole e fresca ci avvolse; almeno non stavo patendo il caldo, pensai.
Mi guardai intorno, era da almeno una decina d'anni che non mettevo piedi in quel luogo; a quell'epoca ero un bambino di cinque o sei anni impaurito. Ma impaurito da cosa? Non ricordavo. Cercavo di pensare, ma qualcosa me lo impediva; forse inconsciamente non volevo ricordare.
Nel frattempo, la vista del campo di foraggio era scomparsa: solo più alberi, cespugli e rami spezzati ci circondavano; anche il sole stava lentamente scomparendo, non potendo far penetrare i suoi raggi in quell'intricata selva desolata. Le foglie secche scricchiolavano sotto i nostri piedi; subito non ci feci caso, poi riflettei: che ci fanno delle foglie secche ad agosto? Era strano, ma neanche troppo. Era un qualcosa legato a quello che stavo cercando di ricordare, ma che non riuscivo a far riemergere.
"Dove stiamo andando?" domandai al nonno, leggermente agitato.
Probabilmente lui se ne accorse, perché rispose: "Non preoccuparti Edward. Non c'è nulla da temere." Sospirai.
"Almeno per il momento" aggiunse.
Passammo davanti ad un albero rinsecchito, con le radici fuori dal terreno, come un mucchio di braccia pronte a ghermirci. Rabbrividii. Quell'albero aveva fatto riaffiorare altri timori, altre angosce dal passato.
"Eccolo lì" disse il nonno, con voce ferma.
Mi voltai di colpo, respirando affannosamente.
Uno strana struttura di pietra emergeva da un terreno spoglio, al centro del bosco. Gli alberi non erano cresciuti lì intorno, solo sterpaglie e sassi. La porta di pietra era spalancata.
In quell'istante ricordai tutto. Fino a quel momento tutto era stato così confuso perché ero stato io a voler dimenticare, dieci anni fa. Quello che era successo nel bosco mi aveva terrorizzato, impedendomi di chiudere occhio per giorni interi. "Avevo scordato tutto" bisbigliai. "Come ho potuto?"
"Non affliggerti Edward. Tutti dimentichiamo le cose che ci fanno soffrire. È umanamente necessario farlo, altrimenti non potremmo vivere."
Mi portai le mani tremanti sulla bocca, per impedirmi di urlare.
Una paura remota e sepolta stava tornando a galla.
"Era stata quella notte, dieci anni fa, quando io e Steve Wellfan"... mio Dio, Steve... ti avevo scordato ... "eravamo finiti qui, giocando a nasconderci. Sei stato tu a trovarmi, da solo, impaurito."
"Finalmente ricordi."
"Steve era scomparso... non l'ho mai più visto."
"Nessuno lo ha mai più visto" mi corresse il nonno.
"Dietro la porta." Il nonno mi guardava con aria triste, ma consapevole. "Le urla... quei rantoli... cercava di uscire ... ma la porta aveva retto." Guardai avanti. Realizzai che la porta era divelta.
"È uscito..." sussurrai tremando. Un brivido gelido mi percorse la schiena.
"I segni..." gridai all'improvviso. Ricordai le strane forme sulla porta della chiesa; combaciavano perfettamente con le impronte sul terreno intorno a noi.
"Ce l'ha fatta quel bastardo."
Deglutii, accasciandomi a terra. Non avevo più forze, le gambe molli.
"Ce l'ha fatta a uscire."
"Non può essere vero. Non può!" mi scese una lacrima dall'occhio, rigandomi il viso impolverato.
"Si sta nutrendo per riacquistare le energie necessarie..."
"... ad avviare la fine del mondo" conclusi io la frase.
La bestia abominevole era fuggita dalla prigione in cui gli antenati erano riusciti a rinchiuderla. Aveva vissuto per un migliaio d'anni lì dentro, nutrendosi del proprio rancore, dell'odio verso chi l'aveva imprigionata, con la promessa di distruggere l'umanità una volta che ce l'avesse fatta ad uscire. E ora il destino sembrava doversi compiere inesorabilmente. La bestia era uscita.
"Nessuno sa da dove sia arrivata, pochi hanno avuto il coraggio di affrontarla, molti sono morti per salvare gli altri." Disse il nonno.
"Tutto si dovrà ripetere."
"Già..." osservai lo sguardo del nonno, sempre più cupo.
"... ma temo che noi non potremo partecipare." Sentenziò.
"Cosa stai dicendo?"
"Edward, noi saremo due vittime" sussurrò.
Mi alzai di colpo, appena sentii il rumore di foglie sbriciolate da passi pesanti e solenni dietro di me.
Eccola. La bestia.
Ci guardava con un ghigno famelico e crudele.
Il cuore mi batteva all'impazzata. Si battè il petto con i pugni, intonando un canto di morte, eccitata dalla nostra presenza.
Scese su quattro zampe, strofinandosi le labbra con una lingua crespa e bagnata.
Era la cosa più mostruosa che avessi mai visto.
Compì un balzo improvviso in avanti, scagliandosi sul corpo del nonno.
Le sue urla strazianti mi assordarono.
"Scappa, vattene, cerca di sopravvivere!" urlò, dilaniato dalla bestia.
Cercai di soccorrerlo, buttandomi sulla creatura, ma una zampata violentissima mi ferì il petto.
Un bruciore tagliente mi investì, facendomi urlare.
Quando vidi le braccia inerti del nonno essere sbattute in qua e in là dalla furia assassina della creatura, capii che per lui non c'era più niente da fare. Iniziai a correre, tenendo una mano premuta sulla ferita sanguinante.
Correvo, i rami mi graffiavano il viso, i sassi sul terreno mi ostacolavano la fuga; caddi due o tre volte, provocandomi altri tagli sulle braccia e sulle gambe, ma finalmente il sole tornò a scaldarmi il corpo.
Ero fuori, nel campo di foraggio.
Inspirai profondamente; un dolore lancinante mi tagliò il fiato. Stavo perdendo molto sangue dal petto.
Tutto si stava avverando, la profezia era vera. La bestia, l'anticristo si era liberato, pronto a portare distruzione e morte.
Guardai davanti a me, attirato dalle urla che erano giunte alle mie orecchie.
Crollai su me stesso, incredulo: la gente stava correndo ovunque, il caos regnava. Fumo e fuoco dalle case incendiate, carri rovesciati e distrutti.
L'impronta della bestia era comparsa sui muri di tutte le case del villaggio; la pazzia e la collera aveva colpito gli abitanti, portandoli a distruggere tutto ciò che capitasse loro a tiro.
"Alla fine tutto era esatto... La fine del mondo è iniziata."
Sentii all'improvviso le grida della bestia, in lontananza, nel bosco. Mi voltai, terrorizzato. Delle nubi oscurarono il sole; la temperatura si abbassò di colpo.
Tremando, vidi il vapore condensato uscire ad ogni mio respiro.
Cominciò a nevicare. Chicchi di grandine si mescolarono ai fiocchi di neve, impattando violentemente al suolo.
Mi distesi sull'erba tagliata, che si stava velocemente ricoprendo di ghiaccio.
Sospirai, sentendo il canto di morte della bestia che si avvicinava. Una lacrima mi scivolò lenta sulla guancia.
"Mi dispiace nonno, ma non penso che riuscirò a sopravvivere..." dissi tossicchiando.
L'ombra della creatura fu su di me.
"Eccoti, bastarda..."

Andrea Sartore