Il solito treno

Acquistò il giornale e si diresse verso il primo binario, per salire sul solito treno, quello delle 6.25. Ogni mattina, da tre anni, prendeva sempre quel treno, per raggiungere il suo ufficio. Aveva trent'anni e poteva dirsi fortunato: un impiego statale, di questi tempi, è davvero una rarità. Come vincere un terno al lotto. Uno dei pochi posti di lavoro veramente sicuri, al riparo da crisi e flessioni di mercato.
Salì sul vagone di testa. Vuoto. Strano, pensò. Forse perché non funzionava il riscaldamento. Faceva un po' freddo, in effetti. Ma preferiva la solitudine al caldo soffocante e all'odore sgradevole delle carrozze affollate.
Il treno partì in perfetto orario. Dopo circa mezz'ora alzò gli occhi dal giornale. Avrebbe dovuto fare una fermata. Invece continuava a correre.
Guardò fuori dal finestrino. Il paesaggio scorreva rapido. Ma era sempre lo stesso. Mutava rapidamente, colori, aspetto, vegetazione, ma tutto il resto era sempre uguale. Come se vedesse passare le stagioni in un quadro che cambiava aspetto a velocità impressionante. Si alzò dal sedile. Il vagone era ancora vuoto. Si diresse verso le porte automatiche che lo separavano dalle altre carrozze. Vide un vecchio avanzare verso di lui. Istintivamente si spostò per farlo passare.
Soltanto allora si accorse con orrore che il vetro della porta scorrevole stava riflettendo la sua immagine.

Pierluigi Porazzi