Dura lex (94/2010)

L'agente Rodolfo Luciani odiava quella parte del suo mestiere. Avrebbe voluto lasciare certi ingrati compiti ai suoi superiori, così capaci di blaterare davanti alle telecamere, eppure così sfuggenti quando si trattava di dare certe comunicazioni alle famiglie.
Raggiunse il numero 23 di Via Moro, una di tante villette a schiera bianche, tutte uguali, messe in fila come soldatini sotto il caldo sole d'agosto.
Scese dalla moto. La tuta gli dava un fastidio infernale, non sapeva se più per il caldo o per quella sensazione opprimente derivante dal suo incarico. Sbuffando, mise il cavalletto e tolse guanti e casco, la sua testa rasata e sudata luccicava sotto i raggi del sole. Faceva davvero un gran caldo, quel giorno.
Raggiunse il cancelletto della casa, era aperto, segno che quello era un quartiere tranquillo e che vi era fiducia nelle Forze dell'Ordine. Bene!
Entrò nel vialetto, socchiudendo la porticina di ferro battuto, percorse i pochi metri che lo separavano dall'uscio di casa e si fermò. I suoi occhi caddero sul campanello di casa, c'era una targhetta: "Ferri R. - De Piero A.".
La signora Ferri era sicuramente in casa a quell'ora, mentre il marito era al lavoro. Un altro collega, in quel momento, stava andando a svolgere lo stesso pesante compito di Rodolfo.
Fece un profondo sospiro, la mano gli pesava tonnellate, mentre cercava di alzarla per suonare il campanello.
Premette brevemente il pulsante, come risposta ottenne un rapido ronzio elettrico.

Dopo pochi istanti udì un ciabattio dietro la porta.
- Chi è?
Chiese una voce femminile.
- Polizia, signora.
La porta si aprì e Rodolfo si trovò innanzi ad una donna sulla cinquantina, piuttosto sfiorita, non molto alta. Probabilmente era intenta in faccende domestiche, a giudicare dalla scopa posata accanto alla parete. Fissava l'agente con espressione interrogativa e leggermente preoccupata, tipico di chi riceve una visita inaspettata da un poliziotto.
Rodolfo assunse un'espressione formale, ormai non poteva più tirarsi indietro.
- La signora Rosanna Ferri?
- Sì.
Rispose con tono interrogativo la signora. Rodolfo estrasse il suo distintivo e lo mostrò a lei.
- Agente Luciani, Polizia di Stato.
La donna guardò per un attimo il tesserino, poi i suoi occhi ritornarono sull'agente.
- Di che si tratta?
Chiese lei, leggermente in ansia. Rodolfo sospirò pesantemente, guardando verso il basso, poi tornò a fissarla.
- Ecco... - disse grave - sono spiacente di informarla che, poche ore fa, l'auto su cui viaggiava suo figlio Germano è rimasta coinvolta in un grave incidente. Per lui non c'è stato nulla da fare.
Un istante di gelo.
A Rodolfo parve di udire il cuore della donna spezzarsi in due. L'espressione di preoccupazione del suo volto si trasformò di colpo in dolore. Un dolore incommensurabile.
La donna portò le mani al volto e scoppiò in un pianto disperato e inconsolabile. Si appoggiava allo stipite della porta per non cadere.
Rodolfo la osservò con profonda compassione: una notizia del genere era la peggiore cosa che una madre potesse udire. Aveva già visto lo stesso dolore decine di volte sui volti di altrettante donne a cui aveva dato la stessa tragica notizia.
- Signora - disse lui con tutta la delicatezza che possedeva - so che è un brutto momento, ma c'è una cosa che dovrei fare, una formalità.
A fatica, la donna alzò lo sguardo, bloccandosi come congelata alla vista della pistola dell'agente, puntata verso di lei.
I due colpi, in rapida successione, freddarono la signora Ferri sulla porta.
Rodolfo scosse la testa contrariato, si voltò rinfoderando la pistola e si diresse verso la moto. Mentre comunicava alla centrale la conclusione del suo incarico, osservò il monitor sul manubrio. Riportava ancora il testo della nuova Legge sulla Pianificazione Famigliare, la 94/2010. L'articolo quattro diceva: "Ai genitori di una persona deceduta in circostanze inattese deve essere data la morte immediatamente dopo che sia stata loro comunicata la notizia della scomparsa del discendente".
Rodolfo premette il dito sul monitor, sul pulsante "Ratio della Norma", apparve un'altra frase: "I genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai propri figli".

Fabrizio Vercelli