Il gufo parlante

Più penso a quella notte e più mi convinco: la mia esistenza è solo parte di ciò che sono realmente. Mondi paralleli varchiamo senza saperlo e la coscienza percepisce appena improvvise mutazioni dello spazio tempo.
Il venerdì raggiungevo la mia casetta in campagna. Una sera estiva del 1995 vi arrivai a mezzanotte. Gli occhi per poco fissarono la sua foto sul cruscotto. Era morta un anno addietro: dovevo vivere sempre con lei, senza di lei. Lasciai la macchina nel viale e mi avviai con la torcia accesa verso la sommità del colle. Da piccolo conoscevo il sentiero che attraversa la mia proprietà contornato da querce e siepi centenarie. A circa una ventina di metri dalla casa di campagna, illuminando davanti a me, vidi brillare un oggetto tra le frasche basse di una quercia con tentacolari rami sovrastanti il viottolo. Puntai la torcia e vidi un gufo che più illuminavo e più era lucente. Più tardi mi chiesi se non si fosse trattato di un ologramma proveniente da un parallelo mondo dove spazio e tempo diversa valenza hanno. Il gufo disse con roca voce: “Buona sera, dottore.”
Raggelato gli risposi non so cosa, forse gli dissi: “Salve.”
Corsi verso casa. Pensai: “Che mi succede.”
Temetti che stavo male.

Dovevo reagire a quelle assurdità. Mi ricordai del fucile in cantina e corsi a prenderlo. Tornai sul posto stavolta armato. Illuminai la quercia. Il lucente gufo appollaiato mi fissava con occhi come abbaglianti fari. Mi parve lo sguardo di una persona furba che non mi temeva. Disse aprendo il becco: “Buona sera. Sono la parte di te che hai dimenticato.”
D’istinto puntai il fucile e sparai per ucciderlo, scomodo testimone del mio inconscio. Sparai a ripetizione diversi colpi che rimbombarono in valle squarciando la notturna pace. Mi fermai e feci luce. Il gufo era ancora lì appollaiato tra i rami non scalfiti dalle pallottole. Realtà cangiante. Realtà illusoria. Realtà fluttuante nei flussi della mente.
Il gufo prese forma di una donna. Era lei, morta un anno addietro. Lei amata più di ogni altra al mondo. Ridendo mi aveva detto: ”Sono la parte di te che nella notte buia, vola.”
Spiccò il volo verso l’alto, sparendo nella vastità notturna. Caddi a terra svenuto. Rinvenni che il sole tramontava. Ero rimasto senza sensi per oltre venti ore. Mi pesava la testa, ma riuscii a stare in piedi e ricordai tutto ciò che mi era accaduto la notte prima. Macchie di sangue di sole morente sulle creste boscose del fondovalle. A terra c’erano le cartucce di fucile esplose e sotto il ramo dov’era stato appollaiato il lucente gufo, penne di volatile e macchie insanguinate. E lei, lei che tanto amo pur morta, che mi manca e rende i giorni vuoti, sparita senza tracce. Forse le macchie insanguinate nel prato erano le sue? E come poteva essere se lei giaceva in cimitero?
Prima di riprendere in macchina la strada per la città, andai in cimitero a deporre un mazzo di fiori sulla sua tomba. Dovevo vivere sempre con lei, senza di lei. Accartocciata foglia sulla lapide si posò. Sollevai lo sguardo e nell’incerta luce del crepuscolo su un ramo c’era il gufo che mi fissava. Per telepatia mi sussurrò: “L’invisibile nel visibile appare con la sua realtà sfuggente e misteriosa.”

Io faccio parte di questa realtà. Io sto nella realtà. Entità aliene in mondi paralleli fluttuanti di tanto in tanto ci sfiorano, umano contatto anelanti. Realtà plananti tra opposti mondi.

Giuseppe Costantino Budetta