La scolopendra

- Tua nonna era una famosa strega, Nathanson, - disse Bilsen. - Lo sai che solo a pensarci mi si rivolta lo stomaco?
- Famosa! - confermò l'ebreo come se avessero reso il più grande omaggio alla sua ava.
- È più di un quarto d'ora che quel sozzo animaletto ci tiene incantati a contemplare il suo milione di zampe, - brontolò Schlechtweg, il terzo studente.
E poichè Bilsen e Nathanson erano scoppiati a ridere clamorosamente si corresse: - Non parlo della nonna di Selig, ma di quella abominevole scolopendra.
La tetra camera prendeva luce da una via così stretta che si sarebbero potuti rompere con un bastone i vetri della casa dirimpetto. Ma nella scarsa luce di quel pomeriggio di ottobre i tre studenti stavano semplicemente osservando sulla facciata di quella casa la lenta marcia di un gigantesco millepiedi.
- Mia nonna diceva che tre volte sette ore dopo la morte l'anima del defunto va, sotto l'aspetto di quell'orrendo animale, a fare un giro d'ispezione per la casa, e in quel momento diventa pericolosa. Ora, sono esattamente 21 ore che la signorina Sturmfeder è morta.
- È un animale di dimensioni spaventose, - mormorò Bilsen. - A proposito, c'è ancora del kummel in ghiaccio?
Ce n'era una bottiglia piena, e ne versarono abbondanti razioni nelle tazze di ceramica nera.
- ... E perchè mai quel millepiedi mi fa pensare senza tregua alla Sturmfeder?
- Suggestione, - disse Schlechtweg.
- No, - ribatté Nathanson.
Per un po' fumarono in silenzio, un silenzio così pesante che sembrava gravare sul fumo delle pipe che girava lentamente intorno alle tazze. Poi cominciò a piovere con un rumore regolare e meccanico di macchina da cucire. Dalla finestra, nello specchietto sudicio dello spioncino, si scorgeva la via lunga e diritta, esasperatamente diritta, perdersi nei vapori della pioggia. Sembrava che la vita l'avesse abbandonata. Solo un corvo nero si era per un attimo conficcato nella nuvola come un cane in un viso grasso, e un volo di piccioni era passato con un fremito argenteo sui tetti lucenti.
Bilsen distinse per primo la cosa che usciva dalla nebbia; ma il riflesso dello specchio la rendeva stranamente lontana.
- È un brutto animale, - disse. - Cammina così adagio che ci vorranno due ore perché arrivi fin qui.
Allora videro tutti e tre una specie di immenso insetto che avanzava dal fondo della viuzza procedendo a piccoli balzi sulle zampe gracili.
- Due ore a bere e a fumare tabacco nero prima di affrontare quel verme sconosciuto.
L'insetto avanzava faticosamente lungo le case flagellate dalla pioggia.

- Non si distingue bene di che specie sia, ma è orribile. Perchè mi fa pensare di nuovo alla scolopendra e alla signorina Sturmfeder? - disse Bilsen in tono lamentoso.
- Logico, - ribatté l'ebreo.
- Ascoltate, - interloquì Schlechtweg bevendo a piccoli sorsi il kummel mescolato all'acquavite bianca - dovete mettervi bene in testa che la casa di faccia è completamente vuota, ora. Gli altri inquilini hanno caricato sui carri i loro mobili e sono partiti a passo di corsa. Non c'è più che una camera ammobiliata in quella casa, la camera dove la Sturmfeder giace morta nel suo letto. E di vivo c'è soltanto... la scolopendra.
- Infatti è rientrata da quella fessura, - confermò Selig.
- E l'altra cosa che viene avanti, mi domando cosa può essere, - continuò Bilsen che fissava ostinatamente lo spioncino.
- Ascoltate!
Il silenzio della casa dirimpetto si era spezzato come una bacchetta di vetro dando origine a un rumorio confuso e sgradevole.
- È la Sturmfeder, - mormorò Schlechtweg. - Sì, sono i rumori della sua cucina.
Giungeva fino a loro, infatti, un rumore familiare di acqua versata in abbondanza, di vasellame urtato, di oggetti riposti in fretta. Si udì il piccolo scoppio di un fornello che veniva acceso e, pochi minuti dopo, un bollitore cominciò a gorgogliare.
- Le tende sono ben tirate, - disse Bilsen - eppure sento che dietro a quella tela sudicia c'è qualcuno che scruta la strada e vede certamente anche quella cosa che viene avanti adagio adagio.
- Oh, l'odore del suo caffè! Lo riconoscerei tra mille. Eppure lei è morta! - disse Schlechtweg quasi piangendo.
- Questo non prova niente, - obiettò l'ebreo.
Nella lugubre dimora regnava ora un silenzio che pareva carico di attesa; poi i rumori ripresero con ritmo accelerato come se un'invisibile bisogna dovesse essere terminata ad ogni costo.
- Oh, adesso so, - disse Selig puntando il dito giallo di nicotina verso la strada.
Tre uomini magri come stecchi si dirigevano verso la casa di faccia portando la bara della signorina Sturmfeder.

 

***

 

Erano, tuttavia, tre camerati allegri e simpatici. Strizzarono l'occhio agli studenti affacciati alla finestra e aprirono la stretta cassa gialla: vi giacevano tre grandi bottiglie di acquavite nel loro involucro di paglia.
Entrarono nella casa della morta e poco dopo furono uditi inchiodare rumorosamente la cassa e quindi scambiarsi brindisi clamorosi.
- Prosit! - urlarono a loro volta gli studenti riempiendo e poi vuotando le tazze di ceramica nera.
- Tre bottiglie intere! - disse Schlechtweg ammirato. - Ascoltateli!
Dal buio della casa macabra veniva una canzone improvvisata:

 

"Pan! Pan! dice il martello
Oh! Oh! Oh!
E una bottiglia di acquavite!"

 

- Sono allegri, - disse Bilsen. - Hanno trovato del caffè appena fatto e si erano muniti di tre grandi bottiglie. Cantiamo anche noi come loro.

 

"Pan! Pan! dice il martello
Oh! Oh! Oh!
E una bottiglia di acquavite!"

 

Gli uomini uscirono.
- Era un ottimo legno - gridò uno di essi nell'ombra della sera.
- Vi avevo preso per una scolopendra a sei zampe, - spiegò loro Schlechtweg con voce contrita. - Dovete scusarmi.
Risposero cortesemente che non doveva rammaricarsi per così poco.
- Ci sono scolopendre a sei zampe degne di tutto il rispetto, - soggiunsero.
Poi fu la notte col suo silenzio profondo.

 

***

 

- Avete osservato che il ritmo dei rumori precipitava a mano a mano che la bara veniva avanti?
- Risparmiatemi di pensare, Selig. Ci sono quattro bottiglie vuote sulla tavola e questo boccale è pieno di ottimo kummel grigio di Finlandia. Se cantassimo?
Ripeterono la canzone degli operai tre, quattro volte. Non riuscivano più a smettere e gridavano in falsetto.
A un tratto nella casa dirimpetto si levò un fracasso enorme. I vetri tremarono. Si udirono colpi di martello e un brontolio sordo di tuono risuonò nel vuoto di quella casa dove viveva soltanto una scolopendra.
- Uno, due, tre!

 

"Pan! Pan! dice il martello
Oh! Oh! Oh!
E una bottiglia di acquavite!"

 

Pan! Pan! fece l'eco della casa dirimpetto.
- Ah! Ah! Sono ubriaco morto! Ah! Ah! E lei è morta ma non è ubriaca! - sogghignò Schlechtweg.
- È un giuoco di parole, vero? - domandò Selig. - Ma bisognava dirlo, caro amico.
- Sì. Alla pia memoria della fu Sturmfeder.
Fu come se un antico ariete si lanciasse contro i mobili squarciando armadi, riducendo gli specchi a stridule cascatelle di frantumi.
- È la bara! - mugolò Bilsen applaudendo freneticamente.
- È legno buono! Legno che tiene!
La bara saltava, saltava; sembrava di udire un palombaro che saltasse a piedi giunti.
- E poi, è inchiodata a dovere! Pan! Pan! Pan! Anche il boccale di kummel grigio di Finlandia era vuoto.

 

***

 

- Oh!
Una porta aveva sbattuto violentemente nella tenebra fitta.
- La porta della Sturmfeder!
Un'altra porta si aprì all'istante sotto una spinta poderosa. Un fracasso inaudito, il fracasso di una folla enorme, inverosimile, saliva. La scala scricchiolò.
- La scolopendra!
- Viene da noi.
Un millepiedi! Vuol dire mille volte il peso di un piede. Chi sa se la scala resisterà, pensò Selig.
Prese la lampada e fece due passi incerti verso la porta. Ma dovette posare di nuovo il lume sulla tavola e sedersi. Si udì la balaustra di legno andare in pezzi sotto una spinta violenta.
- Oh! Prima che "essa" entri...
Bilsen aveva afferrato la sua pistola.
- Prima che "essa" entri, - ripetè - voglio esser morto. - Appoggiò l'arma al petto e si accasciò lentamente.
Il fracasso che veniva dalla scala era tale che non si udì lo sparo.
- Prima che "essa" entri... - Schlechtweg fece un gesto disperato. - Non avrò mai il coraggio. Fammi questo favore, Selig, implorò.
Senza far motto l'ebreo tirò.
L'uscio si flesse come fosse di latta.
Nathanson alzò rapidamente l'arma verso la tempia.
Il chiavistello volò lontano.
Lo studente cadde sopra i corpi immobili dei compagni.
La lampada si spense.

Jean Ray

Racconti rari dell'orrore scelti da Sergio Bissoli.