Ivan il terribile

Una pugnalata dritta sullo stomaco, inferta con inaudita violenza: un gesto efferato e tuttavia vero... Rabbia, amore e disperazione. Ivan sosteneva ancora il corpo con l’avambraccio sinistro mentre, con la mano destra, restava irrigidito nell’impugnare il manico del coltello. Aveva occhi azzurri, lucidi e spaventati, da sempre persi in una schizoide follia che rantolava nel buio dei meandri della sua mente. In bocca, a suggellare un possibile contorno di un rituale come tanti altri, il mozzicone della sigaretta che continuava a consumarsi, inesorabile, bruciando fino alla carta pressata nel filtro. Quante volte, al bagno, sfogliando pigramente riviste, si era ritrovato con quello stesso filtro che, prossimo alla combustione, produce un orribile olezzo...
Luisa, ormai senza vita, rigurgitò un breve conato di sangue dalla bocca ed Ivan, con pacata compostezza, stette ad osservarlo, fin quando, deciso, le prese la testa, riversa su di un lato dal suo stesso peso, ed iniziò a baciarla per poi, avidamente, leccare ogni residuo che le colava oltre il mento. Era un’ambrosia, l’ultimo nettare scorso in un’incontenibile passione a coronare l’eros in morte.
Tolse la mano, a rilento, dalla testa di lei per accostarla alla sua bocca; compì la sua abluzione sfregandola per tre volte e sporcandola dello stesso sangue. Il sibilo seguito da un greve tremolio del pavimento annunciò il passaggio di una corsa della sottostante metropolitana: il tempo sembrò, a questo modo, sentenziare il suo implacabile scorrere in avanti. Non c’era più tempo... tutto era accaduto e la paura, sotto forma di adrenalina, improvvisa saliva ed inondava ogni sentimento in un inconsapevole, e del tutto nuovo, istinto a salvaguardarsi.
In quel momento Ivan meditava come ovviare, nascondere, disfarsi di quel cadavere.

Mille pensieri ed altrettante associazioni piovvero, improvvisi, nella sua mente per appianare la situazione. Nulla garantiva certezze e, sempre più urgente, incombeva la spinta all’azione sollecitata dalla paura. Adagiò, in tutta fretta, il corpo di Luisa in terra e corse in cucina agguantando quanta più carta scottex possibile... Nel giro di pochi minuti sfregò ovunque il pavimento e, con l’ausilio di alcuni sacchetti dei rifiuti, avvolse il cadavere sigillandolo con del nastro adesivo da pacchi. Prese le chiavi della macchina, nell’intento di effettuare un primo sopralluogo e, proprio in quell’istante, trillò il telefono innescando un profondo sobbalzo nel suo cuore. Attese, impietrito, due squilli poi, d’istinto, strappò il filo dalla presa ed uscì in una contenuta fretta. Aveva gli occhi di fuori ed il suo viso era di un pallido prossimo al diafano. Procedeva, tuttavia, sicuro, anestetizzato da quello stesso dolore nel coinvolgimento provato precedentemente. Non impiegò più di tre minuti nel prendere l’ascensore, scendere in garage e predisporre l’auto a portata di mano guardandosi discretamente intorno. Agguantò, rapido, il pacco contenente il corpo senza vita. Il pensiero era svanito, sostituito da un implacabile agire. Si voltò indietro, per non più di una manciata di secondi, il tempo di effettuare un ultimo controllo. Chiamò di nuovo l’ascensore e, sgattaiolando, dopo essersi accertato del suo arrivo, mise il pacco dentro. Nei pochi secondi scorsi per scendere, provò ancora un gelido senso di panico: si aprirono le porte e, riaprendo anche lui le palpebre tenute socchiuse, corse al vano bagagli dell’auto per inserirvi il corpo di Luisa all’interno. Prese posto alla guida; tirò giù un grosso sospiro nell’introdurre la chiave nel cruscotto per avviare il motore. Emergeva un’inaspettata euforia, la soglia di una compiuta liberazione.
Prese dritto il viale che puntava alla tangenziale, tragitto di tante giornate di lavoro, diretto verso un inconsapevole percorso e noncurante di non avere ancora una meta. Gli occhi, contratti tra due profonde occhiaie, si riflessero nello specchietto retrovisore, colmi della propria immagine. Il piede, di colpo, s’irrigidì sull’acceleratore. Il cuore smise di pulsare e l’anima, in un vortice, iniziò ad ululare: impazzita.

Enrico Pietrangeli