La follia degli Arcuati

- Quando Ubaldo degli Arcuati scendeva dal torrino l'orologio del palazzo municipale batteva la mezzanotte. Era così tutte le sere. Ubaldo degli Arcuati era l'ultimo discendente di un'antica famiglia per secoli dedita all'esercizio delle armi: sia in pace che in guerra. Solo Ubaldo, figlio degenere, poco amante della vita del campo e della guarnigione ed alieno da strane avventure nel cuore della notte tra i vicoli e gli antri più cupi della città, alle armi aveva preferito la freddezza dei codici e il maleodorante olezzo delle pandette. Lui era l'avvocato e in quel di Serralunga era il migliore. In fondo l'avito spirito battagliero in Ubaldo era diventato logica ferrea, dialettica dirompente nella potenza oratoria dell'arringa. Già! ma che ci faceva tutte le sere sopra il torrino? - Chiedeva sempre zio Gustavo mentre con l'indice della mano destra indicava, per l'appunto, il torrino. E noi ragazzi, mentre la luna illuminava i pipistrelli e una falena roteava come scioccata intorno all'unica lampadina del portico, rispondevamo in coro: "Già, cosa ci faceva?"

- Ubaldo degli Arcuati cercava e cercava, tra le carte e la polvere dell'archivio di famiglia, la storia di Sulaima, una bellissima femmina cairota che Sigismondo degli Arcuati, ufficiale napelonico, condusse con sé all'indomani del rinvenimento della stele di Rosetta. Sigismondo amava Sulaima ma l'animo di lei era malvagio. Ella conosceva i segreti del mondo infero e confezionava filtri e pozioni. E nè mentre si concedeva in lascivi amplessi, tracciando nella penombra dell'alcova misteriosi segni, pronunziando mezza voce i numeri della cabala, invocando con la forza del pensiero il demonio Asmodeo, faceva precipitare Sigismondo nel più profondo nero sito nel mezzo della salata depressione del Mar Caspio.
Sigismondo degli Arcuati finì in preda alla follia... Urlava di notte sul torrino mentre inquietanti uccelli neri, come inchinandosi di fronte ad un'enorme regina dal corpo di civetta, lanciavano il loro richiamo verso sperduti branchi di cani randagi. Sigismondo morì. Di Sulaima non si seppe più nulla.
Ma la storia dei due amanti, varcando le mura di Palazzo Arcuati, raggiunse Serralunga dove, per le piazze e per i vicoli, ognuno ne parlava segnandosi rapido con un dito.
E Ubaldo cercava cercava. Quando una sera di un venerdì santo, nell'aprire un quaderno pieno di polvere e ragnatele, Ubaldo cominciò a tossire. Era una tosse secca, fastidiosa, che gli squassava il petto. Ubaldo si accasciò. sentì il bisogno di sedersi... Il rombare del tuono infranse il silenzio della notte. Un lampo di luce blu illuminò il torrino. Sulaima era lì, di fronte a Ubaldo. Non era sola. Asmodeo le dava il braccio. Ubaldo urlò e si precipitò giù dal torrino... - Udimmo il verso della civetta. Rabbrividimmo. Zio Gustavo, improvvisamente serio e accigliato, si accese la pipa.

Cesare Placida