L'attacco al castra

Il generale Augusto Antonio Metronio stava sognando quando qualcuno bussò violentemente alla porta.
“Augusto! Augusto! Eminentissimo! Apra la porta!”. Una voce maschile rotta dall’ansia.
Antonio si alzò dal giaciglio seccato per quell’interruzione notturna. Prese una tunica di foggia gallica e si avviò verso la porta. Un uomo nerboruto dalla mascella squadrata gli si parò davanti.
“Generale Augusto! Siamo sotto attacco!”. Le parole del centurione lo sferzarono con violenza.
“Radunate le due coorti urbane e fate preparare i legionari della Sesta Augustea!”. Le parole uscirono come un fiume in piena.
Preoccupato delle sorti del piccolo castra non si curò più del centurione e corse in camera.
Stava chiamando a gran voce il suo servo Valerio quando il primipilo lo chiamò ancora.
“Eminentissimo, le coorti sono già pronte ma il legionari si rifiutano di respingere il nemico!”.
Augusto lo guardò in tralice.
“Cosa vuol dire si rifiutano?” sbraitò livido per la rabbia.
“Generale... la prima linea che ha respinto subito l’attacco è stata... decimata”. Antonio a quelle parole impallidì.
“Galli?” si informò indispettito.
“No signore... non... saprei”. Il generale irritato da quelle parole indossò velocemente l’armatura, indossò l’elmetto piumato e corse fuori dalla domus. Quando arrivò nello spiazzo quello che vide lo paralizzò.

Almeno duecento legionari erano riversi a terra morti. La coorte urbana a fatica riusciva a coprire l’avanzata dei legionari.
Cercò di guardare in faccia il nemico. Una freccia colpì la lorica e si ruppe per l’impatto.
“Generale! Cosa facciamo?”. Il centurione lo guardava spaventato. Antonio si buttò nella mischia brandendo il gladio urlando parole incomprensibili. I legionari vedendo il loro generale incominciarono a formare una linea compatta con gli scudi.
Un animale, mezzo uomo e mezzo lupo balzò su Augusto trascinandolo a terra. Il soldato si rialzò ed affondò il gladio
nel petto della bestia. Guardò quella cosa accasciarsi nel suo stesso sangue. Per la prima volta Augusto Antonio Metronio ebbe paura. Un legionario lo spinse verso il centro della battaglia.
Urla e grida bestiali si mischiavano al sangue, alla puzza di quelle belve. Scartò di lato una zampa piena di artigli che lo graffiò ad un braccio. Si girò di scatto e trafisse quell’abominio della natura all’altezza del cuore.
Gridò per incitare i suoi uomini. La coorte urbana si sistemò dietro la prima linea dei legionari i quali avanzavano con rinnovato rigore grazie al generale Augusto. Circa dopo mezz’ora la legione Augustea era al completo.
Cinquemila uomini accecati dalla furia e dall’estasi della battaglia. Quando tutto sembrò volgere per il meglio, un lampo accecante che, sembrò provenire dal centro della battaglia, abbagliò Antonio.
Rimase stordito per qualche secondo. Quando riaprì gli occhi lo scenario era cambiato.
Si trovava con i suoi uomini su di un altura ricoperta da cenere. Il cielo nero li copriva come un mantello.
Attonito e spaventato guardò i suoi uomini. Si avvicinò ad un centurione quando una figura avvolta in un mantello nero si avvicinò al generale. Augusto, con mano tremante scostò il cappuccio. Urlò per lo spavento.
Una faccia animalesca gli si parò davanti al viso. La bestia ringhiò. Uomini-bestia iniziarono a riversarsi sull’altura.
I legionari rimasero paralizzati dalla paura. Circa diecimila uomini-lupo fecero scempio di quei corpi paralizzati dal terrore. Nessun legionario si salvò. Augusto, steso a terra in un bagno di sangue alzò lo sguardo al cielo.
Pregò in silenzio i suoi antenati. Il capo branco si chinò sul corpo del generale. Alzò una zampa artigliata verso la volta celeste. Con un ringhio disumano squarciò il ventre del generale trapassando la lorica come se fosse fatta di burro.

 

Antonio riaprì gli occhi spaventato. Ansimante si guardò intorno ma non vide altro che buio.
“Un incubo” pensò. Passò la mano tra i capelli. Si paralizzò per il terrore.
Si guardò la mano e quando video il pelo e gli artigli gridò nella notte che lo avvolgeva.

Claudio Bertolotti