L'isolato Fabio

Ore 14. Anonima spiaggia sul mare Adriatico. Siamo ai primi di maggio, è un giorno feriale. Dopo il lungo intervallo invernale i bagnanti si avvicinano timorosi all’acqua, come se essa fosse per loro quasi sconosciuta e ignorassero le sue caratteristiche. Degli amici, suddivisi in due squadre, giocano a pallavolo. L’impatto con il pallone è violento, gli arti dei contendenti si piegano e si flettono freneticamente, sprigionando un’energia da tempo compressa. Ad un certo punto, come da rituale, la sfera viene scagliata contro l’isolato Fabio, la cui struttura fisica (1m e 67 di altezza per 98 kg ) lo rende inabile a qualsiasi attività sportiva. Fabio restituisce prontamente il palone, scusandosi coi suoi “amici”per averne interrotto la traiettoria. Fabio sa che in capo ad un paio ore si stancheranno di quel giorno e inizieranno a tormentarlo con un altro più efferato. Tutti ridono, tranne l’isolato, che vede le loro bocche aprirsi sguaiatamente e ostentare denti d’oro, protesi d’avorio, canini con sopra inciso il simbolo del dollaro. Le ragazze della compagnia ballano accanto al corpo tumefatto di Fabio, lanciandosi in un’irridente danza del ventre.

E’ notte. Fabio sta combattendo l’atrofia dei propri muscoli. Sta palleggiando in acqua, ma invece di un pallone impiega degli altri oggetti: i teschi di quelli che fino a poche ore prima erano i suoi “amici”, i suoi ludici compagni. Fabio non intende separarsi da coloro che l’hanno fatto sentire “importante” per tanti anni, affliggendolo con migliaia di angherie ed umiliazioni. Quando rientrerà a casa, seppellirà i loro resti nel suo giardino, eternando così quel magico legame affettivo.
L’isolato si tuffa in acqua. Non riesce ancora a ripulirsi di tutto quel sangue che gli stria il corpo.

Giuseppe Acciaro