Un omicidio come tanti

Stanotte mi sono svegliato che era già mattina. Alzo le tapparelle. Entra il sole. È primavera. Non riesco a capire se ho sonno per cause fisiche o se per mancanza di obiettivi motivanti. Vado in bagno. Abbondanti dosi d’acqua schiaffate contro la faccia intorpidita dalla notte. Frammenti di sogni multicolori inghiottiti nello scarico del rubinetto. L’altro ieri ho perso un altro lavoro. Naturalmente non è vero, il lavoro non si perde. Si perdono le chiavi di casa. Si perde la pazienza. Col lavoro è diverso: o ti licenziano o te ne vai o termina il periodo stabilito da questi bellissimi contratti a tempo determinato. Mi guardo allo specchio (chiedendogli scusa) e scorgo alle mie spalle i gemelli-pannocchia uniti per il pene che mi osservano. I loro sorrisi a trentatré chicchi di grano mi danno sui nervi. Sanno che molto probabilmente verranno assunti dalla Monsanto come responsabili della qualità, per questo da un po’ di giorni se la tirano che non vi dico. Hanno filamenta biondastre dappertutto. Non fosse per il tubo carnoso che li unisce (il prepuzio occhieggia molliccio al centro di metà di esso), per i chicchi biancastri atti alla manducazione e per i due girini che sporgono oscillando pigramente dalle loro sommità fungendo da occhi, e prescindendo ovviamente dalle loro dimensioni, si direbbero due pannocchie qualsiasi.

Non mi stanno semplicemente guardando: mi stanno scrutando attentamente. Mi esaminano, capite. Si allenano. Verificano quali e quanti parametri di qualità in questo momento io soddisfo. Visti il mio stato semicomatoso e il mio umore ringhioso suppongo di non aver superato l’esame.
Caffè. Vestizione. Poi esco. È giorno di mercato. Io gli passo accanto, sfioro appena l’imboccatura di quel dissennato brulichio carnoso, ma faccio in tempo a sentire le grida di un tizio a proposito dei suoi belli grossi succosi limoni! Bé, tizio! Mostramela, la succulenta succosità dei tuoi belli grossi succosi limoni! Aprine uno a metà! Piazza una metà fra le tue chiappe! In modo che galleggi allegra tra le deretane carnosità! Comprimi le chiappe! Spremi il limone!
Un nero color nero senegalese vende corone d’aglio. Il bianco della sclera, il bianco dei denti, il bianco dell’aglio, il nero dominante. Via dal mercato, via dai colori troppo forti, via dalle voci troppo alte, via dal brulicare dei corpi.
Nel parco. Poca gente. I miei pensieri sono molto più reali di loro. Il cervello genera spettri. Alberi pinete pigne. Un giorno è scoppiata una pigna. Mi sono spaventato. Sono andato a pisciare. Tutto molto bello. Qualche anno fa un commentatore televisivo mi ha consigliato dalla TV di andare a letto. Ci sono andato. Mi sono svegliato la mattina dopo. Così. Preciso. Come il lavoro. Ti dicono: contratto di sei mesi, poi dopo, forse... Dopo, forse sempre fuori dai coglioni e avanti un altro. Tutto chiaro. Dicono: metti nel tuo curriculum tutte le esperienze, perché è importante. Lo faccio. Vado ai colloqui e mi dicono con espressione stronzomorfa: come mai ha cambiato tutti questi lavori? Ma lo sapete o no cosa cazzo significa “tempo determinato”? Ma, oh sì, io lo so cosa sta succedendo. Il tempo dell’olocausto cosmico è ormai prossimo. L’Orco ha divorato gli spazi tra le cose. La Regina di Cuori ha il rene mobile. L’intestino del mondo si dissolve in una diarrea di stelle. Dietro un cespuglio un’ombra sghignazza. Una volta, in metrò, ho visto la testa alata di un angelo sulla spalla di un uomo. Nelle grotte del cuore si celano messaggi demoniaci. Gli avvenimenti circostanziati sono di una precisione letale. Mi siedo su una panchina. L’istinto è un vampiro che disegna bagliori biancastri nel buio di una notte senza sepolcri. Strane immagini popolano la TV di questo inizio Millennio. Un principe dissoluto si crogiola godendo dentro un castello dissennato. Io sono il principe del mio castello. Lasciatemi in pace. Alzo gli occhi verso il cielo azzurro e penso alla notte e ai pianeti e al silenzio. Ed ecco che il cosmo si raggruma nella forma di un cervello che emette un ringhio cupo e prolungato; ma è solo un istante. Torno in me, nel parco. Mi alzo, diretto non so dove. Tanto, ogni luogo è a tempo determinato.
Sto camminando lungo il vialetto quando avverto una presenza davanti a me. Diciamo un anziano. Vestito di tutto punto. Magro. Il volto e i pensieri rancidi.
«Fammi passare» mi dice. Io mi limito a guardarlo. La differenza tra uno stronzo giovane e uno stronzo vecchio consiste nel fatto che il secondo ha appestato l’aria per molto più tempo.
«Ah, i giovani d’oggi... Fammi passare, scansafatiche!». Ok, questo è decisamente troppo. Estraggo il mio coltello a serramanico e zac! zac! spash! ammazzo il simpatico omino. Nessuno vede. Strano come in questa società dell’immagine nessuno veda certe cose. Torno nel mio appartamento. Bevo un poco di gin, mi appisolo e quando mi risveglio accendo la TV. Telegiornale. Questa mattina, nel parco, hanno ucciso un uomo. Commenti: non si può stare tranquilli da nessuna parte... sarà stato uno dei soliti balordi... e la polizia, cosa fa la polizia?

Luca Baroni

Tra il 1989 e il 1991 collaboro con un'agenzia di cinema e pubblicità. Seguono due anni di lavori vari. Poi per più di cinque anni lavoro per il reinserimento lavoratico e altri servizi rivolti a persone con problemi psichici. Intanto mi laureo in Filosofia e quindi mi perfeziono in bioetica e critica letteraria. Tra il 1998 e il 2000 svolgo le seguenti attività editoriali: - Articoli su lavoro e disturbi psichici - Pubblicazione di una favola per ragazzi - Collaborazione (ricerche storiche e scrittura di due brevi capitoli) a un saggio sull'Inquisizione. Da tre anni lavoro nel campo della formazione e dell'orientamento.