Melma

Racconto creato dai 30 scrittori dell'OSSARIO di Scheletri

Incipit

 

Il sole stava morendo dietro le colline quando il vecchio e il ragazzo terminarono di riparare la porta della casa. Erano passati già quattro giorni dal momento in cui, quella vecchia e fatiscente costruzione ai margini del bosco, era diventata il loro ultimo rifugio dal caos che dilagava ormai ovunque.

 

1.

 

< Forse queste assi reggeranno...>, sussurrò Adelmo volgendo lo sguardo verso il centro della stanza dove suo nonno, trepidante, reggeva la lanterna a petrolio.
< Speriamo, ma adesso ti prego, allontanati subito dalla porta!>.
Improvvisamente gli occhi del ragazzo oltrepassarono la figura del nonno.
< Cosa c’è?>, borbottò il vecchio Azio, accortosi dell’espressione di terrore comparsa sul volto di Adelmo.
< Lo senti questo rumore? La melma ha ricominciato a muoversi e questo significa che le creature stanno tornando!>. Azio si avvicinò guardingo ad un piccolo spiraglio concesso dalla lignea barricata ed attraverso la fessura guardò fuori.
Quello, un tempo, era stato un bosco meraviglioso. Azio ricordava quando da giovane ci andava a cercar castagne, ma adesso tutto era cambiato: le foreste, la sua vita e l’intera popolazione della zona erano state avvolte dalla melma nera. Nessuno sapeva come fosse iniziato, ma in soli quattro giorni la viscida sostanza aveva preso il controllo di ogni essere vivente, mutandolo! Nonostante tutto, però, Azio non era spaventato. L’unica cosa che gli interessava era proteggere Adelmo, perché i suoi tredici anni erano troppo pochi per essere orribilmente mutato da quella poltiglia giunta da chissà dove.
< La melma gli ha già preso mamma e papà e tu, Dio, rimani a guardare!>, ringhiò Azio.
< Nonno spostati!>, esclamò Adelmo impugnando chiodi e martello, pronto a chiudere l’ultima breccia di quel patetico rifugio.
< Credi che là fuori qualcuno sia stato risparmiato dalla melma?>, chiese il vecchio all’intraprendente nipote.
< Vallo a sapere...adesso la cosa importante è coprire questa dannata fessura prima che le creature arrivi>.
Sibili, rantoli e melmosi fruscii...
Azio e Adelmo rimasero immobili. Entrambi sapevano che nessuno sarebbe giunto in loro soccorso. Sapevano di essere soli, mentre dal vischioso mondo esterno giungevano i sordi lamenti di informi creature...

 

2.

 

Non avevano scappatoie, non questa volta. Erano già sfuggiti alla melma il giorno in cui la mutazione era avvenuta per i genitori di Adelmo, e il vecchio pensò che non sarebbero stati ancora fortunati.
“Forse avremmo dovuto ripararci altrove, qui ci troveranno subito”. Come conferma a quelle parole, sentirono la fanghiglia sibilante percorrere le pareti esterne della costruzione in cerca dei loro corpi.
“Percepiscono l’odore della paura” – mormorò Adelmo. Il vecchio si girò a guardare quel nipote così coraggioso nonostante la giovane età e provò compassione per lui.
“Non merita di diventare come loro” – si disse Azio.
Non sapeva come comportarsi con il bambino. Lo vedeva seduto immobile in un angolo della costruzione, con la schiena appoggiata al muro vischioso e con le gambe rannicchiate sotto al mento, aveva gli occhi dilatati e fissati su un punto preciso del muro di fronte, in attesa. Le pareti del rifugio tremarono forte come sotto la furia di un terremoto. Il vecchio perse l’equilibrio e cominciò a rotolare verso la parte opposta, in direzione del nipote. Una forza improvvisa lo sospinse indietro prima che il suo corpo si accasciasse contro quello del bambino e urtò violentemente la schiena.
“Nonno, nonno, stai bene?” – si informò Adelmo con un filo di voce.
Il vecchio non si curò di rispondere, tratteneva il fiato con la paura che le creature di melma e fango avessero sentito del rumore all’interno del rifugio.
Non si sarebbero salvati, non questa volta. I due sentirono i muri tremare forte ancora per parecchi secondi, poi, come in risposta alle loro preghiere, il rifugio smise di far scuotere i muri decrepiti.
“Sono ancora qui” – pensò il vecchio – “sono ancora qui ma non sanno come entrare. Non ci vorrà molto prima che capiscano come fare”.
Adelmo guardò il nonno e indovinò i suoi pensieri. Decise che non si sarebbe lamentato dei dolori che sentiva lungo la spina dorsale. Trattenne a stento le lacrime per quella assurda situazione, in preda alla valanga di melma, seguiti da creature oscene e rivoltanti, creature come i suoi genitori. Provò una pena infinita per sua madre e suo padre e diresse lo sguardo al suo accompagnatore, riflettendo.

 

3.

 

Eppure una scappatoia doveva esserci. Certo, e lui l’avrebbe sfruttata a modo suo, sposandone la causa e salvando la pelle di entrambi, perché nel caso contrario la sua pelle l’avrebbero presa loro per appenderla a un faggio o per stendersi alla sera dopo aver mangiato. Vediamo: poteva lasciare lì il vecchio uscire di corsa senza chiudere la porta e Dio solo sa quello che sarebbe successo dopo e correre verso la strada provinciale a dieci chilometri da lì, sperando poi che si fermasse qualcuno, oppure tagliare per il sentiero dietro casa attraversando i campi e parte del bosco fino alla pompa di benzina di ‘Fredo che aveva un vecchio pick-up verde; più corta, ma anche più rischiosa.
Intanto suo nonno se ne stava seduto in un angolo come un condannato a morte o uno che si aspetta di ricevere da un momento all’altro il telegramma di partecipazione al programma più seguito in tv. Niente di tutto questo, ma lui aveva reagito secondo la strategia del «riccio», aumentando le difese e la sua scorza era divenuta più secca e callosa che mai.
E va bene, si disse il ragazzo. Si mise a cercare qualcosa di non ben preciso fra gli attrezzi: un cacciavite, pinze, una mazzuola e un piccolo falcetto; prese tutto e fece un bel fagotto, tra meno di due ore sarebbe stato buio e il rischio di fare brutti incontri là fuori sarebbe aumentato notevolmente. Bisognava prendere una decisione. E in fretta, possibilmente.
Io vado nonno.
Prima di andarsene trovò fra le cassette di legno uno scolorito berretto rosso di una nota marca di gomme da masticare di quando era bambino e passava ore a giocare nel bosco; lo prese e lo calcò sulla testa cresciuta: adesso era davvero pronto.

 

4.

 

Adelmo stava con la mano sulla maniglia quando suo nonno disse,
- Dove vuoi andare?
- Devo fare qualcosa. Non posso più restare qua dentro ad aspettare. Soffoco.
Non aveva finito di pronunciare l’ultima parola, che maniglia, la porta, le pareti intere si scossero con violenza. La vecchia costruzione sembrava esser presa d’assalto da uno stormo di gabbiani impazziti, un branco di lupi affamati che raspavano con le unghie sul legno delle pareti. Molle, collosa, da ogni fessura trasudava una melma grigiastra, dall’odore nauseante. E pensare che quelli erano i suoi genitori mutati! Cosa l’aveva ridotti in quello stato? Perché l’amore che avevano per lui e suo nonno s’era tramutato in tanto, inimmaginabile odio? Come se avesse ricevuto una scossa elettrica, tolse la mano dalla maniglia e s’allontanò dalla porta. Improvvisamente, il vibrare delle pareti, del tetto, delle persiane chiuse cessò. Il graffiare, i rantoli si placarono. Adelmo diede uno sguardo al nonno che restava in un angolo senza sapere cosa fare. La melma non colava più dal tetto e le pareti. Quel silenzio e quella calma erano ancora più terrificanti. Passarono così alcuni secondi, finché, senza credere ai propri occhi, il ragazzo ebbe l’impressione che i pochi mobili della stanza leggermente, lievemente affondassero. Com’era possibile? Il tempo di rivolgere uno sguardo al nonno e lanciò un urlo: il pavimento si stava trasformando in un pantano dal quale emergevano due tentacoli che gli s’avvinghiavano alle caviglie! Adelmo sentì il contatto molle, freddo, viscoso di quella materia e una forza sovrumana attirarlo verso il basso. Stava sprofondando nel pavimento diventato sabbie mobili! Una seggiola era già completamente inghiottita, d’un tavolo restava solo il ripiano che quella melma nauseante invadeva, ricopriva. Il ragazzo era sprofondato fino alla cintola. Il nonno, dov’era suo nonno? Si girò là dove l’aveva visto l’ultima volta e...

 

5.

 

Azio correva senza sosta e senza voltarsi mai, volando su quelle vecchie e fragili gambe che lo avevano salvato in più di un occasione durante la Guerra. Gli occhi sbarrati e lucidi condensati in piccole lacrime. Era sopravissuto a tre lunghi anni di prigionia e alle torture inimmaginabili dei nazisti, non sarebbe morto in una baracca di legno, assediata da abomini senza nome. Il ragazzo, il figlio e la nuora erano già un ricordo sbiadito tra i suoi neuroni invecchiati. La luna piena ricopriva con la sua gelida e lattiginosa luminescenza la campagna circostante rendendo irreale il paesaggio. Le luci del paese scintillavano sempre più lontane e immobili alle spalle del vecchio fuggitivo. Il silenzio eterno della notte era interrotto a momenti da un lamento cupo e lontano, simile al rumore di un motore, forse i soccorsi.
La provinciale era troppo lontana. Non c’è l’avrebbe mai fatta, il suo cuore sarebbe scoppiato prima se avesse continuato a quel ritmo ma forse avrebbe potuto raggiungere la casa di qualche contadino. Forse la melma si era propagata attraverso le fogne infettando così solo il centro urbano, forse avrebbe trovato un qualche mezzo per andarsene lontano da quella follia, forse sarebbe sopravvissuto sebbene fosse un vecchio inutile e forse, non lo meritava affatto.
Ora le gambe gli dolevano, i bronchi erano trafitti da lame d’acciaio e il respiro cominciava a venirgli meno. Azio si sedette contro un vecchio faggio inspirando avidamente l’aria della sera campagnola. La baracca era un piccolo punto tra le ombre, circondata soltanto dalle tenebre. Pensò che i mostri se ne erano andati portandosi via suo nipote. Tutto ciò che gli rimaneva della sua famiglia. Incominciò a piangere tristemente, pieno di rimorsi, mentre il rumore che aveva sentito si faceva sempre più vicino.

 

6.

 

Oltre le montagne viola scendeva una notte gelida. Non meno spaventosa delle creature di melma che assediavano i sopravvissuti. Nel cielo fuochi lontani. Oltre la strada, un tempo percorsa da fragili umani schiacciati nelle loro scatole di metallo arroventato, sorgeva, forse ultimo baluardo, la vecchia città di Grozer. Il rumore strisciante e subdolo della sostanza acida si faceva sempre più vicino e il vecchio cercò di tirasi su, la mano stretta attorno ad un ramo basso, lì vicino. Gli scarponi affondavano nel fango, sul viso l’ustione molliccia del sole. Gli occhi dolenti, come se qualcuno gli avesse trafitto le palpebre con un lametta. La tempesta d’acciaio forse l’avrebbe salvato. Parti metalliche triturare come polvere arrivavano portate dal vento da chissà dove. Lontano i cingoli e gli ingranaggi grandi come il cielo continuavano il loro lento movimento. Graffi sul ferro, lamina persa nell’aria un tempo respirata da tutti gli uomini di buona volontà.
Lo sento in fondo ai polmoni, pensò Azio.
La notte l’avrebbe difeso dall’attacco dei morti ridotti in melma. Strinse i denti. Direzione Grozer.

 

7.

 

Non sapeva cosa fosse, sentiva solo che si avvicinava inesorabilmente, e più quel rumore s’avvicinava, più la disperazione continuava ad allargarsi nel suo animo… Aveva paura, ma nonostante questo non riusciva a muoversi, il suo corpo si rifiutava di obbedirgli. Non aveva più nulla per cui combattere chiuse gli occhi aspettando che l’Oscura Signora abbattesse la sua falce argentata sulla sua testa, ma ciò non accadde. Una violenta luce viola ferì gli occhi di Azio ed una voce, talmente bassa da sembragli proveniente dagl’inferi, gli chiese “chi sei vecchio?” Azio terrorizzato non sapeva che fare, dirle la verità o mentirle? Temeva che scegliendo la seconda ipotesi potesse definitivamente abbandonare l’idea di sopravvivere, per quanto all’apparenza giovane e fragile, i suoi occhi verdi tradivano un’età ed un’intelligenza superiore a quella dimostrata dal corpo… I lunghi capelli carmini le incorniciavano i dolci lineamenti del volto e la sua pelle lattea risplendeva alla luce di quella strana torcia che teneva in mano, ma l’espressione del volto si faceva sempre più truce ed indispettita dal silenzio del vecchio. “Mi chiamo Azio, sto fuggendo da quei mostri di melma, tutta la mia famiglia è stata assorbita ed è mutata a causa loro, sono rimasto solo con il desiderio irrealizzabile di riavere indietro i miei cari..”
“Capisco, ciò che dici non è propriamente esatto, ma ne parleremo poi più avanti, io sono Akaly, come te ho perso parte del mio popolo nel tentativo di distruggere quei mostri, ma le riserve di kandraker, l’unica sostanza che può minimamente indebolirle ed allontanarle, si stanno esaurendo e quelle infide melme si riproducono ad una velocità impressionante!!! Ora dobbiamo andare, purtroppo questa piccola Kandra non ci proteggerà a lungo da quegli esseri corrotti, abbiamo perso fin troppo tempo con le spiegazioni… Ora è il momento di trovarci un rifugio. Seguimi”.

 

8.

 

Che errore stupido era stato combattere contro la melma, cercare di sfuggirle! Tranne la sensazione di freddo glaciale che aveva provato quando ne era stato ricoperto, in essa il ragazzo aveva provato solo pace e amore, l’amore dei suoi cari che aveva finalmente ritrovato.
Certo, non erano più fatti di carne e sangue, ma in pochi secondi anche lui aveva perso le fattezze umane e si era fuso nel fango. Fuso, ma non perduto: la sua coscienza era vigile e distinta dalle altre, anche se tutte avevano un unico scopo: avvicinare e avvolgere chi non era ancora come loro.
Nella melma non c’erano più dolore né fame, nemmeno odio e rancore. Per questo aveva perdonato il nonno che l’aveva abbandonato nella capanna. No, non gliene faceva più una colpa e la sensazione di essere stato tradito che aveva provato era solo un lontano ricordo. Glielo avrebbe spiegato la prossima volta che l’avrebbe rivisto – “percepito”: la melma non aveva occhi, però non le sfuggiva nulla –, emergendo dalla melma quel tanto che sarebbe bastato per afferrarlo e trascinarlo dentro con sé, ricongiungendolo alla sua famiglia.
Non c’era niente di sbagliato in tutto questo, nulla di mostruoso. Era la normale evoluzione della specie umana, di ogni specie senziente che aveva sviluppato sistemi di comunicazione di massa così sofisticati da collegare tutti gli individui che la componevano.
La Melma non era altro che una forma di Rete più progredita. Ogni pianeta in cui c’era vita prima o poi ne sviluppava una. Solo pochi riuscivano a resisterle, ma non duravano molto: i ribelli erano presto assimilati.

 

9.

 

Da una fessura tra le assi della baracca Terry aveva seguito il susseguirsi degli avvenimenti. Prima la fuga a gambe levate del vecchio, poi la melma che inglobava in sé il ragazzo.
L’agonia del ragazzo era stata stranamente passiva. Quando infine la melma parve ruttare, Terry sorrise di disgusto scoprendo i denti gialli e grossolani. Alto e segalino aveva chiazze di sofferenza epatica cosparse sulla carnagione chiara come il ventre di un pesce. Ora non gli restava altro da fare che cercare di raggiungere il vecchio. Per due notti aveva trovato rifugio presso la pompa di benzina abbandonata, poi la melma era giunta anche li. Si era svegliato di soprassalto nella più totale oscurità con nel naso un odore di trementina, birra scura e torba. Raggelato dall’improvvisa consapevolezza di quello che stava accadendo era rimasto immobile mentre - tra un incessante ribollire - tentacoli gelatinosi gli si insinuavano sotto i vestiti. La melma però non lo aveva voluto, sembrava quasi aver capito quanto lui fosse speciale, diverso da tutti gli altri. Se ne era infine andata strisciando e ribollendo lasciandolo, esausto ma incolume, ad ascoltare il picchiettare monotono della pioggia contro il lamierato della tettoia. Il mattino seguente, spinto anche dalla fame, aveva deciso di tentare di raggiungere la provinciale e da lì, la città di Grozer.
Prima che le batterie si scaricassero del tutto aveva seguito dalla sua Sanyo a transistor il susseguirsi concitato dei notiziari. Chi era quella strana gente con il mento a punta ed i grossi occhi celati dietro le lenti scure dei Reyban, che ora, in accordo con il prefetto, presidiava la città di Grozer divenuta una sorta di ultimo baluardo? C’era chi sosteneva che venissero dai boschi, chi addirittura dalle stelle. L’unica cosa però che alla fine sembrava davvero importare era quel che avevano con loro: quella sostanza, il kandraker (una specie di cryptonite ) capace di disattivare il potere fagocitante della melma.
Terry, all’idea di incontrare qualche membro di quella strana gente, sorrise. Poi si accese l’ultima Camel, lanciò lontano il pacchetto e si incamminò nella direzione presa poco prima dal vecchio.

 

10.

 

Mentre camminava sfilò dalla tasca posteriore dei pantaloni un libretto tutto spiegazzato. Come ultimo arrivato doveva farsi un’idea della situazione prima di agire. Lesse le prime pagine con un sorriso sulle labbra.
“Sono capitato in un remake di Blob”, pensò. Lesse tutto con diligenza. C’erano i classici buchi presenti in ogni sceneggiatura che si rispetti, ma lui non poteva farci nulla. Alzò la testa e guardò il fioco bagliore della città di Grozer in lontananza. Stando al libretto era popolata da gente con i Reyban. Si augurò di non dover incontrare Neo di Matrix. Ah, ah.
Almeno non era il classico eroe bello e impossibile. Magro, denti gialli e macchie sulla pelle. La bella Akaly non l’avrebbe filato neanche di striscio. Ah, ah. Era immune al tocco della melma, si era scritto.
Si fermò, si piegò sulle ginocchia e allungò le mani verso la gelatina nera che lo circondava. Piccole dune scure si sollevarono verso le palme per farsi accarezzare, spingendo verso l’alto come fanno i gatti in cerca di coccole.
“Diamo una scossa a questa storia”, sussurrò alla melma che fremeva tra le sue dita. A Grozer potevano anche avere il Kandraker, ma lui, di quella roba, se ne sbatteva le palle. Il Signore del Fango non poteva essere fermato.
Sollevò il libretto e lesse le ultime parole stampate: ‘Il Signore del Fango non poteva essere fermato.’ Le altre pagine erano bianche. Ghignando, gettò i fogli in pasto alla melma e ricominciò a camminare verso l’ultima città che ancora gli resisteva. Aveva morte in serbo per tutti.

 

11.

 

Riprese a camminare, pestando coi piedi la melma che gli accarezzava languida gli stivali. Protuberanze ed escrescenze melmose a forma di bocche e lingue si formavano qua e là al suo passaggio e lo baciavano, lo leccavano, lo adoravano.
Terry non se ne curò. Era incazzato.
Una risata gigionesca lo fece fermare d’improvviso.
“Dove credi di andare?” disse una voce.
“Ma che cazzo... che diavolo, dove sei? non riesco a vederti!” disse Terry. “Mi hai fatto prendere un colpo.”
Cercò di aguzzare la vista ma non riuscì a vedere nulla tra le fronde dell’albero da cui veniva la voce.
Nulla tranne un sorriso.
“Lo sai che non puoi liberarti di quel libretto.” disse ancora il sorriso.
“L’ho già fatto amico, l’ho buttato nella melma.”
“Ne sei certo?”
Il dubbio s’insinuò nella mente di Terry che portò la mano alla tasca dei pantaloni e da cui, con suo sommo stupore, ne tirò fuori di nuovo il libretto.
“Sorpreso, eh?”
“Ehi, come diavolo hai fatto? Come cazzo ci sei riuscito?”
“Non sono stato io. Non ti torna in mente nulla?”
Terry guardò il sorriso con aria confusa, poi aprì il libretto e vi lesse, in caratteri stampati: ‘Non sono stato io. Non ti torna in mente nulla?’
Quelle parole riecheggiarono nella mente di Terry più e più volte. Ed ogni volta che rimbalzavano dentro la sua testa toccavano corde profonde del suo Inconscio. Ma il suono che ne scaturiva era troppo debole per armonizzare un ricordo.
O forse no.
“Ricordo...” farfugliò. “Ricordo che... che... Che mi sono rotto il cazzo di essere diventato il servo di tutti per trecentosessantaquattro giorni all’anno! Con quasi cinque miliardi di esseri umani sto diventando pazzo! Una festa di qua, l’altra di là, basta perdio!”
“Ti annoiano le feste?”
“No, non le feste, i... i...”
“I... cosa?” lo sollecitò il sorriso. “Coraggio!”
“I...” sbuffò adirato. “I rompicoglioni come te, ecco chi!”
“Proprio non ricordi chi sei, eh?”
“Sono Terry.” fece l’uomo magro titubante. “Terry, sì, almeno credo.”
“Terry, eh?” sghignazzò il sorriso. “Certo che ne hai di fantasia.”
“Perché, chi diavolo dovrei essere, eh?”
“Se non lo sai tu.”
“Cos’è, uno scherzo del cazzo, eh? Ti metti a fare i giochetti con me? Mi hai rotto i coglioni, perché non scendi da quell’albero che ti do una lezione, eh? Maledetto stronzo, che hai da ridere tanto?”
“Rido di tristezza. Rido perché piangere non serve. Rido perché trovo buffo che io non ti possa aiutare di più. Ma le regole sono queste. E le hai stabilite tu, amico mio.”
“Ma di che cazzo parli? Perdio, ora t’insegno a prendermi per il culo!” sbraitò mentre s’arrampicava sull’albero.
Quando giunse sul ramo, tra le fronde da cui giungeva la voce, non trovò nulla e non sentì più nulla.
“Ehi, dove cazzo sei? Guarda che scherzavo, fatti vedere, voglio solo guardarti in faccia.”
Nessuna risposta.
“Cristo, troppa solitudine deve avermi fatto male, ora comincio a sentire le vocine.” disse. “No, un momento, non era troppa solitudine erano troppi non... non... troppi non...” si zittì, riflettendo. “Cazzo! Non riesco a ricordare, perdio! Aveva a che fare coi trecentosessantaquattro giorni all’anno, ma che cazzo era?”
La melma gli strinse gli stivali come per richiamarlo alla realtà di un compito che aveva da svolgere.
“Ma sì, vaffanculo ai ricordi.” sbottò Terry. “Tanto per vendicarmi non servono. Ricordo perfettamente l’odio e questo e’ sufficiente.”
Quando l’uomo che non ricordava affatto il suo vero nome riprese a camminare con l’ira nel cuore, il sorriso ricomparve sull’albero, divenne mesto e attorno a lui il corpo d’un gatto prese forma pian piano.
“Ah, dio... Mi sa che stavolta il cappellaio matto ha dato di matto sul serio.” sghignazzò il Gatto del Cheshire triste. “Sarà meglio avvisare il Bianconiglio.”
Poi scomparve di nuovo tra le fronde dell’albero su cui stava appollaiato.
Assieme al sorriso.

 

12.

 

Il ponte Mcollins che congiungeva la Baia South Epon con la città di Grozer era un enorme dinosauro arrugginito di cavi d’acciaio e ferro ricoperto dall’asfalto sbriciolato e lattiginoso sul quale la melma aveva lasciato la sua nauseabonda scia di morte.
Terry vi giunse da sud percorrendo la riserva naturale lungo la statale fino ad arrivare nella scogliera della baia.
Da lì poteva vedere le vaghe silhouette di due figure umanoidi che percorrevano il ponte verso la città.
Accelerando il passo, Terry si accorse che una di quelle due persone la conosceva già… era il vecchio della capanna.
Ad un tratto il vecchio e l’altra figura si fermarono di colpo, indietreggiando poi di qualche metro e correndo, infine, verso il lato del ponte da cui erano giunti.
Terry si mise a correre verso la loro direzione.
Avvicinandosi, riuscì a vedere meglio l’altra figura vicino al vecchio, sembrava una ragazza, una splendida ragazza con i capelli rossi.
<non male!> gracchiò Terry tra i denti marci.
Giunse all’imbocco della statale che si congiungeva al ponte appena in tempo, la melma aveva già quasi completamente circondato il vecchio e la ragazza.
<Tu! Tu ! aiutaci ti prego> era la ragazza, Terry non fu sorpreso da quella richiesta, anche se non ne comprendeva la ragione.
<Io….? E come potrei aiutarvi, io?> fece Terry retorico e titubante…conosceva già la risposta a quella domanda, la melma aveva paura di lui, solo il perché ed il percome gli sfuggivano.
-Magari lei è una di quegli alieni…- rifletté - o chissà cosa cazzo sono… forse lei sa… sa perché la melma non mi prende, perché mi teme… e cosa mi è successo prima, quelle voci, quelle emozioni… e…- continuò a pensare, ficcandosi i pugni in tasca ed uscendone il logoro libretto stropicciato- forse sa anche che roba è questo…-.
<A te non farà nulla…> rispose la ragazza alzando la voce, <Tu sei uno Stander di questo pianeta…l’ho percepito subito, credimi… sei una delle poche cose che teme… Aiutaci te ne prego!> continuò con la voce quasi rotta dal pianto.
<D’accordo… ci proverò>.
Terry si avvicinò alla melma con passo incerto e lo sguardo affogato nei suoi pensieri: - Cos’è che sarei io? Un che? Stander….uhm?-
Appena le Clarks che portava ai piedi giunsero a pochi centimetri dall’oscura cosa strisciante, questa si ritirò, rimescolandosi a ritroso con un borbottio sommesso.
Si mise semplicemente a percorrere la strada in lungo ed in largo, osservando con soddisfazione gli sguardi pieni di riconoscenza della ragazza e del vecchio e la melma che si contorceva, ribollendo di rabbia e di nauseanti odori.
Quando la melma si fu ritirata fino al centro del ponte, rivolse uno sguardo interrogativo e perentorio alla ragazza < Cosa sarei io? Un che?>.
< Uno Stander> iniziò lei, con calma, <uno dei protettori del pianeta… l’anello di congiunzione tra l’evoluzione del pianeta stesso e le sue origini primordiali, ogni pianeta ne ha diversi, sotto molte forme… e tu sei uno di loro…>, poi gli rivolse un sorriso cinico ed ironico e, continuando, aggiunse: <…certo, a giudicare dal tuo aspetto questo pianeta non è che stia troppo bene…>, abbassando lentamente gli occhi, come vergognandosi per la cattiveria che aveva appena detto, concluse: <ma…forse, ce la caveremo lo stesso…>.

 

13.

 

Azio guardò negli occhi la donna, e quindi il giovane che gli aveva appena salvato la vita. Per la prima volta, da quando aveva perso i suoi cari, riuscì a sorridere. Sorrise dell’evidente ironia insita in quella coppia di pazzi. Non sapeva dove lo avrebbero guidato, ne per quanto ancora avrebbe camminato in loro compagnia, ma accettò i fatti per come gli si presentavano.
Durante la fuga notturna, aveva ottenuto da Akaly, più risposte di quante ne desiderasse. Tra queste, il fatto che la melma non proveniva da altri pianeti, e che non era neppure un arma batteriologica sfuggita al controllo di qualche esercito sbandato. Era sempre stata lì, era impressa nel codice genetico della razza umana esattamente come lo era in quello di tutte le razze dominanti dell’universo. Era una sorta di punto d’arrivo impostato miliardi di anni prima da quello che, fino a qualche ora prima, avrebbe definito “Dio”.
Ora non poteva più permettersi né il lusso di credere nel paradiso, né l’illusione di un padre amorevole pronto ad abbracciarlo tra le nuvole.
Akaly gli aveva rivelato la natura della vita, l’unica vera realtà delle cose. Gli aveva raccontato della Volontà Universale, una sorta di mente comune senza corpo né spirito. Questa volontà, a dire della donna, era qualcosa di incomprensibile ed astratto. Era qualcosa di somigliante all’istinto, solo che a possederlo non era qualcosa di vivo, ma piuttosto l’insieme di tutto ciò che esisteva nell’ovunque. Quella forza, a causa della sua maternità, era la causa della somiglianza tra la gente di tutti i pianeti popolati. Era, in un certo senso, la vita stessa.
Ora si trattava di ribellarsi alle sue decisioni e Azio sperava con tutto il cuore che i suoi nuovi compagni di viaggio ne avessero le capacità.

 

14.

 

Nel caleidoscopio di menti comunicanti tra loro, la coscienza di Adelmo sfrecciava da un punto all’altro della foresta in cerca del nonno. Per un attimo sentì di trovarsi sull’orlo di un abisso nero, un qualcosa di inconcepibile per lui, come una frattura nella realtà in grado di annullare lui e tutta la Coscienza Comune. Indietreggiò spaventato, ma prima di andarsene vide un libretto volare fuori dall’abisso nero e depositarsi tra le spire gelatinose della sua coscienza. Come il suo Io lo accolse, qualcosa di universalmente inaspettato accadde. Ancora per un attimo percepì la Coscienza Comune scostarsi disgustata al passaggio dell’abisso nero che si allontanava. Poi venne trafitto da un dolore indicibile mentre la Coscienza Comune si spegneva di colpo e una nuova ed isolata individualità emergeva da quella che gli altri definivano banalmente solo come “melma”.
Adelmo si guardò il corpo nudo. Per un attimo avvertì una tristezza sconfinata per la perdita della Coscienza Comune. Poi venne invaso dalla gioia. E questo perché lui non era più quel ragazzino di nome Adelmo di chissà quanto tempo prima. O meglio, era anche quello; molto più forte in lui era però la consapevolezza di essere qualcosa di nuovo. Anche se non faceva più parte della Coscienza Comune, vi stava comodamente seduto in mezzo. Spire filamentose gli strisciavano sul corpo. Si passava alcuni filamenti gelatinosi da una mano all’altra sorridendo come se stesse giocando. E quella sostanza stessa sembrava giocare con lui.
A pochi metri da lì un sorriso apparve in cima ad un albero. – Ahi, ahi, qui mi sa che il cappellaio matto non c’entra proprio nulla. E chi poteva immaginarselo? Quando lo racconterò al Bianconiglio… – Il sorriso scomparve insieme allo sbiadito contorno del corpo di un gatto.
L’essere un tempo chiamato Adelmo si era alzato e si stava allontanando accompagnato da innumerevoli gorgoglii melmosi che tanto assomigliavano agli “osanna” rivolti ad un messia.

 

15.

 

Il Secondo Supervisore si passò una mano sulla fronte umida di sudore. Il Primo Supervisore lo guardò, ansioso di risposte.
<Allora? Come si mettono le cose?>
<Non bene. Terry sta riacquistando lentamente coscienza del suo essere. Ha incontrato Akaly, e lei gli ha rivelato che è uno Stander.>
<Dannazione! Tutta la fatica fatta per costruirgli un’identità e una memoria sta per essere vanificata!>
Il Secondo Supervisore si alzò dalla sua postazione. Si sentiva stanco. Lo sforzo compiuto per proiettare l’immagine del Gatto del Cheshire sulla Terra era stato notevole.
<Dammi tutti i particolari, a partire dall’individuazione dello Stander> gli ordinò il Primo Supervisore.
<Bene, le cose stanno così. Non appena ci accorgemmo che lo Stander era nato dovemmo agire in fretta. I tempi per lo sviluppo della Coscienza Comune erano maturi e non potevamo permettere che ci mettesse i bastoni tra le ruote. Lo rapimmo e gli creammo un mondo fittizio in cui vivere.>
<Peccato non averlo potuto eliminare.>
<Già, ma purtroppo non è facile ammazzare uno Stander. Con i mezzi di cui disponevamo al momento non era possibile.>
<E ora?>
<Neanche. La Coscienza Comune è ancora debole. Ad ogni modo eravamo riusciti ad imbrigliarlo per bene. Gli piaceva fare il Cappellaio Matto, organizzare tutti quei non-compleanni. Sa, lei era il Bianconiglio, io mi mostravo come il Gatto del Cheshire, ed era tutto a posto. Un mondo irreale innestato in quello reale, difficili per lui da distinguere. Ma poi le cose hanno iniziato a cambiare.>
<Quando ha iniziato a manifestarsi la Coscienza Comune.>
<Già. La sua essenza di Stander ha iniziato a reclamare spazio, a sgretolare la realtà che gli avevamo creato intorno.>
<E il trucco del libretto non ha funzionato?>
<Ha funzionato in parte. Abbiamo provato a ribaltare il suo naturale comportamento verso la Coscienza Comune. Avrebbe dovuto distruggerla, invece gli abbiamo fatto credere che era il Signore del Fango, il padrone della melma. Lui la guidava, così diceva il libretto, e lei lo amava. Avevamo convogliato i suoi poteri repulsivi in uno slancio affettivo, se vogliamo, un’empatia innaturale che avrebbe potuto pure durare abbastanza da rendere la Coscienza Comune sufficientemente forte da diventare inarrestabile.>
<E allora perché le cose stanno andando così male?>
<Ha gettato il libretto nella melma! La Coscienza Comune si è resa conto di chi fosse in realtà e ha cominciato a temerlo, come è giusto che sia. Non possiamo ancora pretendere che sia in grado di capire le nostre macchinazioni, le menti non sono ancora totalmente solidali.>
<Sta bene, la melma ne ha timore, ma non potevi indirizzare di nuovo lo Stander verso la sua vecchia identità di Cappellaio Matto?>
<Gli sono apparso apposta, ma i suoi ricordi fasulli si stanno scollando e a tratti si mescolano con le pressioni della sua vera essenza. Non sono riuscito a stabilire un contatto fruttuoso. Percepiva le mie parole in modo del tutto arbitrario e distorto, come se filtrasse ciò che dicevo. Riorganizzava le domande che gli ponevo o le indicazioni che gli davo in maniera autonoma, impossibile da predire. Non ha capito nulla di ciò che gli ho detto. Non abbiamo più nessun controllo su di lui.>
Il Secondo Supervisore fece una pausa, come a voler trovare il coraggio per annunciare un’altra brutta notizia.
<Inoltre abbiamo un altro potenziale problema.> disse, tutto d’un fiato.
<Di che parli?>
<Un ragazzo che era stato assorbito poco tempo fa è venuto a contatto col libretto ed è stato espulso. Per ora la Coscienza Comune lo accetta ancora. Non lo reingloba, perché in qualche modo lo percepisce come un elemento disgregante, ma nemmeno lo rifugge, dato che resta comunque un umano.>
<E che prospettive ci sono?>
<Difficile dire che cosa accadrà. L’effetto potrebbe svanire e il ragazzo verrebbe visto di nuovo come un elemento da riassorbire, oppure potrebbe durare ed allora dovremmo cercare di indirizzarlo ai nostri fini. Dovremo seguire attentamente l’evolversi della situazione.>
<Uhm, questo pianeta sta dando più problemi del previsto. E con Akaly e i Baluardi di Grozer?>
<Akaly era quasi stata assorbita, ma lo Stander, pur senza volerlo del tutto, l’ha salvata. Adesso credo andranno tutti e tre, con loro c’è un vecchio, a Grozer. Si sono asserragliati là i Baluardi, e non avrebbero potuto resistere a lungo col kandraker che avevano, ma se lo Stander li raggiungerà le cose si metteranno male.>
Il primo supervisore batté il pugno sul bracciolo della sua poltrona.
<Dannazione! E va bene, niente più Cappellai Matti, Bianconigli e Gatti del Cheshire. Ora si fa sul serio! Continua a tenerli d’occhio e informami subito se ci sono cose importanti che devo sapere. Io devo andare. Devo occuparmi anche di altri pianeti.>
<Sarà fatto, Primo Supervisore.>
“Le grane toccano sempre a me” pensò il Secondo Supervisore riprendendo la sua postazione di controllo.

 

16.

 

Freddo. Una sensazione quasi dimenticata, quella che gli faceva rizzare i peli e scuotere di brividi il corpo nudo. Adelmo si aggirava confuso per la foresta stringendosi il torace con le braccia diafane in cerca di un po’ di calore; aveva ancora appiccicate addosso ostinate bave di quella melma che fino a poco prima lo aveva avvolto e protetto come un utero e che ora sembrava lo avesse partorito così, nudo e solo, in quell’umida boscaglia. Il ragazzo camminava da tempo senza meta ma poteva ancora sentire, sentire la presenza della melma.
Ora che non faceva più parte della Coscienza Comune, si stava riaffacciando la consapevolezza del suo essere. Una volta era stato un ragazzo, un povero ragazzino di campagna di appena tredici anni, adesso era qualcosa di più. Una volta aveva degli affetti, ora era solo.
Affetti… Quella parola gli provocò un tumulto cardiaco. Qualcuno da amare e da cui essere amato… Ma chi? Adelmo non riusciva a ricordare più di tanto. Sapeva solo di dover continuare a camminare seguendo quella direzione.
Fame. Cibo, nutrimento. Il suo stomaco prese a brontolare e contorcersi per protesta contro quel prolungato digiuno. Oltre alla sempre più chiara percezione del suo essere umano, iniziò ad affiorare anche l’istinto primordiale della sopravvivenza.
Riusciva a percepire ogni minimo rumore, fruscio, sibilo, gettando sguardi qua e là come una bestia feroce in cerca della preda. Quando fu nei pressi di una radura, qualcosa gli suggerì di acquattarsi in un cespuglio di felci e attendere. E non fu un’attesa lunga; dopo pochi minuti, da una tana poco distante sbucò una lepre selvatica che con fare circospetto cominciò a perlustrarne i dintorni. Adelmo non pensò, non ne ebbe bisogno. Agì, come se per tutta la vita non avesse fatto altro. Istanti; con un balzo fu addosso all’ignaro animale e, prima che potesse rendersi conto della sua imminente fine, gli spezzò il collo. Aiutandosi con la punta di un ramo gli squarciò il ventre e si dissetò col suo sangue e si cibò delle sue carni ancora calde.
Calore… bisogno di calore. Infilare le mani nella pelliccia della lepre gli aveva ricordato anche quella, di sensazione.
Idea. Serviva un altro animale. Un animale più grosso. E la foresta ne era piena.
Lottare contro un lupo non è lo stesso che con una lepre ma Adelmo era consapevole della sua forza; sempre più consapevole di ciò che era diventato dopo che la melma lo aveva partorito.
La bestia non riuscì neanche a reagire, tanto fu lesto. Da un ramo gli saltò in groppa, afferrò il muso e tenendo una mano sul collo lo strattonò verso l’alto; l’animale stramazzò tra le foglie marcite senza un lamento. E nessuno, nessuno dei compagni di branco osò attaccare l’uomo, quell’uomo, ma si limitarono ad osservarne i movimenti a distanza di sicurezza.
Così, avvolto in una pelle di lupo, con la testa dell’animale sulla sua come un grottesco cappuccio, lordo di sangue tanto da sembrare lui la preda piuttosto che il cacciatore, Adelmo s’incamminò nuovamente verso non si sa dove o cosa.
Soltanto una parola gli balenava nella testa, a tratti ancora schiava della Coscienza Comune: Grozer.

 

17.

 

Il Secondo Supervisore osservò stupito ciò che aveva fatto il ragazzo. Era stata una reazione imprevista, che non aveva precedenti negli altri pianeti. E, cosa ben peggiore, non si poteva prevedere cosa avrebbe fatto una volta giunto a Grozer. Forse avrebbe dovuto avvertire il Primo Supervisore, che quasi sicuramente avrebbe deciso di eliminare il ragazzo. Sul viso del Secondo Supervisore comparve un sorriso malevolo. Stavolta nessuno gli avrebbe rifiutato la promozione, era un’occasione di quelle che capitano una volta nella vita, anche quando la vita dura diversi milioni di anni.

 

Tutto intorno ad Adelmo si era fatto il deserto. I pochi animali risparmiati dalla catastrofe erano fuggiti in preda al terrore, e il ragazzo, ancora grondante di sangue non suo, procedeva seguendo l’istinto. Si bloccò sentendo un fruscio sopra di sé. E, appollaiato sul ramo di un albero, vide un uomo. Era semplicemente disgustoso, i denti gialli e cariati, la pelle chiara e viscida come il ventre di un pesce, lo fissava con occhi acquosi e inespressivi. Poi, per la sorpresa di Adelmo, si portò le mani al petto e lo squarciò lentamente. Adelmo fissò con cupidigia il sangue che cominciava a sgorgare e a cospargere il corpo di Terry. L’istinto gli diceva che quel sangue lo avrebbe reso invincibile. Provò ad arrampicarsi sull’albero, ma l’immagine di Terry scomparve così come era apparsa. Nella mente confusa di Adelmo balenò una nuova convinzione. A Grozer avrebbe trovato la sua preda, e l’avrebbe uccisa.

 

Il Secondo Supervisore era esausto ma soddisfatto. Mostrarsi al ragazzo sotto forma di Terry, ed entrare nella sua mente, era stato più faticoso del previsto, ma era servito allo scopo. Sarebbe stato proprio Adelmo ad eliminare lo Stander dalla faccia della Terra...

 

18.

 

Il rombo di un motore distolse Azio dai suoi pensieri. Si girò di scatto e vide un grosso camion che a gran velocità correva verso di loro. <Sta arrivando qualcuno!> gridò il vecchio.
<Sono soldati di Grozer, vengono a prenderci.> fece la ragazza rivolgendosi ai due uomini.
La melma dietro di loro intanto continuava a ribollire furiosamente. Ad Azio sembrava di trovarsi davanti a una diga che stava per rompere gli argini da un momento all’altro. Aveva paura ma riponeva le sue speranze in quello strano individuo che li aveva salvati da morte certa.
Il camion si fermò sgommando. Cinque uomini armati fino ai denti saltarono giù dal veicolo e si diressero con i fucili spianati verso il centro del ponte.
<Che cosa sta succedendo qui?> disse uno dei soldati. Akaly si mise sull’attenti e rispose: <Signore! Stavo per rientrare in città con uno dei civili sopravvissuti alla melma… Quella poltiglia schifosa stava quasi per inglobarci, ma fortunatamente siamo stati salvati da uno Stander>.
<E cosi quello è uno Stander> mormorò il soldato guardando Terry, poi aggiunse: <È incredibile… Dobbiamo portarlo subito dai nostri scienziati. Muoviamoci!>.
Akaly raggiunse il vecchio e gli fece cenno di salire sul camion, poi si avvicinò a Terry .
<Cosa volete da me?> esordì l’uomo tenendo gli occhi sempre fissi sulla melma.
< Abbiamo bisogno di te. Hai visto cosa sei in grado di fare. Le riserve di Kandraker si stanno esaurendo . Tu sei la nostra unica speranza. Andiamo!>.
Terry annui e con un grande sorriso si avviò verso il mezzo militare. La melma dietro di lui ricominciò ad avanzare lentamente. I soldati la tenevano sotto controllo tenendo le armi puntate contro l’asfalto. Akaly guardò i loro fucili laser. Erano caricati con cristalli di Kandraker. Si rese conto di quanto era stata imprudente ad andare in giro solo con una piccola Kandra.
Stavano quasi per salire sul camion quando Azio cominciò a gridare e a piangere: <Quello è mio nipote Adelmo. È vivo! Guardate è laggiù, dobbiamo salvarlo!>.

 

19.

 

Lo vide da lontano. Guardava quello strano gruppo così male assortito con evidente sorpresa e paura. Lo sguardo era talmente tenero che Azio non riuscì a trattenere un sorriso, subito bagnato dalle lacrime che gli ricoprivano il viso. Suo nipote era vivo. Il senso di colpa in lui era ancora molto forte, ma sapere che il suo vile atto non aveva avuto conseguenze fatali lo rincuorava. E sperava che Adelmo riuscisse, col tempo, a capire i motivi del suo gesto poco amorevole.
Akaly si girò improvvisamente alle grida del vecchio. Durante quella notte le aveva a lungo parlato con enorme dispiacere di come era scappato dalla capanna lasciano quel povero bambino a chissà quale sorte. E sentire improvvisamente che Adelmo era sopravvissuto le provocò una gioia primordiale. I suoi occhi si volsero verso quella creatura. Lo sguardo di Adelmo era quello di un essere in trappola, di un animale, e l’intuito della ragazza, che in quei giorni si era misteriosamente acuito, la fece indietreggiare di qualche passo, senza che nessuno se ne rendesse conto. Nemmeno lei se ne accorse.
Terry stava tremando. In quei giorni il suo Io era cresciuto in maniera impressionante. Tutti lo ritenevano un salvatore, uno Stander. Colui che avrebbe salvato il pianeta insomma! Ed adesso stava tremando senza riuscire a controllarsi. Si guardò intorno e vide la melma ritirarsi da lui più di quanto avesse mai fatto nelle ultime ore. Forse fu solo immaginazione ma gli sembrò che anche i soldati lo scostassero improvvisamente. Si sentì solo, immerso nello sguardo del bambino. Nessuno lo aveva mai guardato in quel modo. Nessuno era mai riuscito a spaventarlo con uno sguardo. E Terry, l’unico uomo che da quando era emersa la melma non aveva mai avuto paura, cominciò a piangere.

 

20.

 

I soldati chiamarono un altro camion, che arrivò a raccogliere i tre fuggiaschi proprio mentre il primo partiva portandosi via Terry.
Adelmo osservò il vecchio uomo che lo abbracciava piangendo: era un volto forse conosciuto nella sua vita precedente, un volto a cui associò la parola nonno, senza curarsi del suo significato.
<Ciao nonno> disse inespressivo.
<So di non meritarmi nulla se non disprezzo. Non dovevo abbandonarti così> singhiozzò il vecchio.
Adelmo pensò a quel corpo ricurvo, a come sarebbe stato con il petto squarciato, immaginò di essere ricoperto del suo sangue e provò un profondo senso di disgusto che gli impose di scansare il vecchio con un violento spintone.
Osservò anche la ragazza che stava seduta con loro, immaginò le stesse cose, ma la sensazione disgustosa non lo abbandonò: era il sangue di uno solo quello a cui agognava.
Capì di aver bisogno di tempo per riflettere su come raggiungere la sua preda; si voltò verso il vecchio ed abbozzò un sorriso:
<Nonno non sono arrabbiato con te. Scusami, sono solo molto stanco>
Chiuse gli occhi mentre il vecchio lo abbracciava nuovamente bisbigliandogli ancora:
<Va bene figlio mio. Forse avremo tempo in seguito per parlarne, e forse potrai perdonarmi>
Akaly osservò la scena senza fiatare e con ancora gli occhi lucidi, poi si riscosse osservando fuori dal camion il profilo della città:
<Siamo arrivati! Siamo salvi!> strillò.
Un ghigno si disegnò sul volto di Adelmo mentre il camion varcava spedito le porte di Grozer.
In un altro luogo il Secondo Supervisore si rivolse al suo superiore:
<Posso comunicarle che il mio piano ha funzionato! Il ragazzo sarà il nostro cavallo di Troia!>
<Spero per tutti che sia così> commentò il Primo Supervisore.

 

21.

 

Non riesce a spiegarsi quello che ha fatto. Semplicemente, non si fida. Espressioni sul volto. Lo stupore misto ad avido interesse sul volto del soldato di fronte allo Stander. Il ghigno del ragazzo. Il gelo nei suoi occhi di fronte al nonno ritrovato. Il suo sorriso forzato che diventa un ghigno inquietante.

 

Il rumore dei freni del camion e le urla dei soldati che tentano di organizzare l’inseguimento sono un tutt’uno dietro di lei. Non la possono inseguire con il camion. Le vie di quella città sono un vero e proprio labirinto, tanto intricato quanto brulicante di esseri umani accampati ovunque, nelle piazze, nei vicoli, in ogni angolo. Il lezzo nell’aria è a volte intollerabile.
Ma che cosa sto facendo? Avrei potuto spiegare ai militari i miei dubbi sul ragazzo e farmi portare da loro al centro ricerche per avvertire Terry del pericolo.
No. Akaly si rese conto che stava facendo la cosa giusta, quando udì la prima raffica di spari e sentì l’aria sibilare tutt’attorno a lei.

 

Il soffitto grigio della stanza dove l’avevano chiuso al centro di ricerche riverberava della scialba luce del neon. Tutt’attorno, solo un letto e un corpo disteso per terra. Non aveva mai colpito nessuno in quella maniera. Sperava di non averlo ucciso. Dopotutto era solo un inserviente che gli aveva portato un pasto.
Aveva visto abbastanza. Aveva visto cos’era Grozer, l’ultimo baluardo. Aveva visto gli uomini con i Rayban. Erano dappertutto al centro di ricerche. Aveva visto l’umanità che doveva salvare. Ma non riusciva a sentirsi martire. Aveva paura di diventare martire, soprattutto se per la causa sbagliata. Doveva uscire da quel posto, anche se non sapeva come.
Ad un tratto, Terry si rese conto che forse la risposta stava in quella divisa da inserviente ed in quel mazzo di chiavi appeso alla cintura.

 

22.

 

Non c’era tempo da perdere.
Terry sfilò gli abiti all’uomo privo di sensi e li indossò sopra quelli che già portava. Prese le chiavi e si mise a cercare una via di uscita, muovendosi senza una meta precisa in quel labirinto di stanze. Sentì dei passi e si diresse nella direzione opposta. Entrò in un ufficio. Notò sulla scrivania un paio di Rayban e se ne impossessò. Da quelle parti potevano essere utili. Scese una rampa di scale e percorse un lungo corridoio nel quale la luce diventava sempre più fioca. Ai lati alcune feritoie permettevano di guardare entro locali dai quali uscivano respiri affannosi, lamenti sommessi e urla disumane.
Pur essendo vestito da inserviente Terry sapeva che doveva trovare subito un nascondiglio sicuro e soprattutto una via di uscita, ma la curiosità di capire dove si trovasse e cosa, o chi, fosse rinchiuso in quelle stanze era troppa.
Si alzò in punta di piedi per sbirciare attraverso una feritoia. Dentro era buio. Si vedeva poco, ma doveva esserci vita perché un rantolo proveniva dall’interno. Mosso da chissà quale ispirazione l’uomo dai denti marci inforcò gli occhiali, accorgendosi con sorpresa che l’oscurità si faceva meno profonda. Intravide qualcosa appeso ad un gancio: una creatura che si dibatteva e respirava con inaudita sofferenza. Su un lettino poco lontano un altro essere, una scimmia o forse un uomo, era legato a braccia aperte come un Cristo crocifisso e dal petto gli uscivano alcuni tubi. Un grido squarciò il silenzio e Terry cominciò a correre, come anche il suo cuore. Doveva lasciare al più presto il Centro Ricerche. Scese altre scale e si ritrovò nei sotterranei.
Intanto dall’altra parte della città, guidato da un cieco istinto di morte, un ragazzo vestito con la pelle di un lupo stava dirigendosi verso quello stesso labirinto.

 

23.

 

L’aria pesante, umida gli si incollò addosso, rendendogli più difficoltoso il respiro.
Capiva che probabilmente si stava cacciando in un vicolo cieco, ma era sicuro che da qualche parte dovesse esserci una via d’uscita; in una vecchia mappa di Grozer, che aveva avuto occasione di studiare quando ancora l’orrore doveva manifestarsi, aveva visto che alcuni punti dei sotterranei erano segnati in rosso, ed era certo che quei segni indicassero segrete vie di accesso alla città, probabilmente usate dai contrabbandieri per i loro traffici di libri, proibiti in tutto il Regno.
Avvertiva un senso d’angoscia, fin da quando lo sguardo del ragazzo si era posato su di lui. Non sapeva il perché, ma avvertiva in Adelmo una minaccia: la luce fredda dei suoi occhi lo aveva trapassato, agghiacciandolo. Era stato come se, per un attimo, qualcosa lo avesse attraversato, ma che, per qualche motivo, non fosse riuscita ad impossessarsi di lui…
Procedendo a tentoni nella fitta oscurità che regnava nel dedalo di corridoi, urtò col piede un oggetto solido che stava per terra. Si chinò a raccoglierlo, sperando che fosse un’arma da poter usare contro il ragazzo, in caso di necessità.
Non era un’arma, non nel senso comune del termine, perlomeno: era un grosso libro, dalla copertina di cuoio ruvida e sporca di terra.
C’era troppo buio per poter leggere qualcosa, ma Terry lo raccolse…

 

24.

 

Bella storia quella della Coscienza Comune. Adelmo avanzava spedito, senza pensare, senza la minima preoccupazione, senza un dubbio. Il calore della pelle di lupo era tutto ciò di cui aveva bisogno. A tutto il resto pensava la Coscienza.
Non doveva preoccuparsi di trovare la strada per il Centro Ricerche, non doveva, una volta entrato, vagare per quei mille corridoi sempre uguali cercando di orientarsi, non doveva nemmeno pensare a dove trovare quel vecchio gonfio di sangue. La Coscienza lo avrebbe guidato, come un nuovo, potentissimo senso.
Respirava piano, profondamente, senza fretta. Si muoveva con disinvoltura nei budelli del Centro Ricerche senza fare rumore, la pelle di lupo sola ondeggiando e gettando pallide ombre sui muri intorno. Si sentiva forte, deciso, solo.
Non faceva caso ai gemiti, alle urla, ai disperati singulti che le pesanti porte, in smisurata fila una dietro all’altra, non riuscivano a soffocare. Si limitava a registrarli, quasi con distrazione; la Coscienza gli aveva già spiegato tutto quanto, e non c’era altro da sapere. Non che gliene importasse troppo, ad ogni modo. Era nell’ordine delle cose, era giusto così. I pochi dubbi che, chissà poi da dove, gli erano venuti furono fugati da un breve colloquio col Bianconiglio: <Ecco la fine di chi ha provato a fare di testa sua – aveva detto, spolverandosi con insistenza il panciotto e lanciando occhiate nervose all’orologio da taschino – Tu fai quello che devi e non ti succederà nulla>.
Sparito il Bianconiglio (che andava molto di fretta), Adelmo continuò a camminare spedito, le spalle dritte e lo sguardo fisso in avanti.
Poi un odore. Quell’odore.
Si fermò di botto. Tremava per la fame e l’eccitazione. Anche per la paura, ma era più difficile accorgersene.
Qualche metro più avanti, rischiarato dalla luce lattiginosa di una lampada al neon, stava un vecchio seduto per terra. Un libro tra le mani, leggeva, dimentico di tutto quello che gli stava intorno.
Piangeva.

 

25.

 

Adelmo impiegò un po’ ad accorgersi che qualcosa stava cambiando. L’odore acre e forte che permeava l’aria sembrava in qualche modo un fluido che aveva iniziato ad avvolgerlo. Una rabbia assurda lo stava assalendo. Un odio cosmico. Sentì la saliva iniziare a scendergli dai lati della bocca. Gli sembrava di avere le convulsioni. Poi, l’odio raggiunse un livello impossibile e gli sembrò di iniziare ad odiare anche se stesso, i muri, le pareti, tutto. Si sentiva soffocare, sopraffatto. Poi, man mano che il tempo passava, si accorse che il pianto del vecchio, sommesso, e flebile, gli stava scavando una sensazione nuova dentro. Come il flauto per un cobra, ogni istinto veniva piano piano assorbito da quel suono, e tutto iniziava a spegnersi, cancellandosi. Sentiva poi che le istruzioni della Coscienza Comune che prima l’avevano sostenuto e guidato diventavano meno pressanti. Meno interessanti. Il pianto del vecchio in qualche modo lo stava ipnotizzando? O forse lo stava “pulendo”? Perché aveva in mente quel termine? Perché credeva che qualcosa lo stesse “pulendo”? Pulendo poi da cosa? Forse per la prima volta da un tempo che non riusciva a quantificare sentiva di essere sporco. Fuori e dentro.

 

Aldemo rimase quasi senza respirare per un tempo che gli sembrò lunghissimo. Poi il vecchio alzò lo sguardo dal libro, sempre senza smettere di piangere. Adelmo era in ombra, ma gli occhi del vecchio si posarono su di lui. “Sei tu?” disse, singhiozzando.

 

Il suo pianto echeggiava lungo le pareti poco illuminate di quella parte del Centro Ricerche. Adelmo non credeva di conoscere quel vecchio, ma la sua voce rispose sì ugualmente. E fece un passo avanti.

 

“Non ho molto tempo.” disse il vecchio cercando di calmarsi. “Avvicinati.”
Adelmo si mosse lentamente e come un automa si portò a due passi dall’uomo. Da vicino non sembrava poi così vecchio, pensò. E lo sguardo gli sembrava famigliare. Molto famigliare.
“Perché è capitato tutto questo?” Chi l’aveva chiesto? Lui o il vecchio? Un brivido scese lungo la spina dorsale di Adelmo. Che si sedette per terra. Esattamente come era seduto il vecchio.
“Tieni.” gli disse l’altro, passandogli il libro. “Leggi.”. Le parole gli sembravano essere uscite in simultanea anche dalla sua bocca. “Ma…” disse – sentendo lo stesso commento anche sulle labbra dell’altro. Il vecchio scosse la testa, e gli fece segno di non parlare. E gli indicò la pagina che prima stava leggendo.
Il ragazzo aveva la mente confusa. Ora che l’altro aveva smesso di piangere sentiva che stavano rinascendo in lui strani ricordi, strane sensazioni. E mentre scorreva con gli occhi le righe si rendeva conto di non riuscire a capire cosa c’era scritto. Scandiva le parole del libro sottovoce, ma non ne capiva il senso.
“Te le ricorderai – quando ti serviranno.” dissero insieme lui e il vecchio. “E ora fai quello che devi.”

 

Qualche minuto dopo Adelmo camminava sicuro di sé lungo un altro corridoio. La Coscienza Comune sapeva dove guidarlo. Solo non capiva come mai si sentisse addosso ancora quello strano odore. Lo stesso che aveva iniziato a sentire poco fa, quando aveva svoltato lungo quel corridoio completamente vuoto.

 

26.

 

Dove vai? – una voce tenue, ma decisa, gli giunse alle spalle. Adelmo si fermò e con lui l’ammasso di fanghiglia che lo seguiva ribollendo. Si girò e nel buio vide solo la canna di un fucile che lo puntava. Da dietro spuntò Akaly.
Adelmo sorrise vedendola sicura con la sua arma al kandraker. Forse una volta tutto questo avrebbe avuto un senso.
- Cosa credi di fare? – le chiese sereno.
- Tu cosa ne pensi? – rispose serrando con maggior forza e precisione il fucile. Tentacoli di melma si allungarono verso di lei, minacciosi. Puntò l’arma rapidamente contro di loro per spaventarli, poi rimirò Adelmo. Era agitata, ma non le sembrava il caso di darlo a vedere.
- So chi sei. Tu sai cosa sono io? – le chiese Adelmo.
- Sono curiosa, ma non è importante. Ciò che conta è che fai parte di quella robaccia e quindi sei dalla sua parte. I sospetti mi hanno avvinghiato dal primo momento che ti ho visto. Tu sei un nemico e per noi solo questo è importante. Cercavo Terry, ma uccidere prima te per me non fa alcuna differenza.
- ‘Noi’... parli al plurale... intendi voi del futuro? – sorrise, pregustando l’effetto sorpresa su Akaly, che non tardò ad arrivare.

 

- Davvero non capisci? – Terry continuava a piangere mentre la melma si agitava accanto a lui.
Adelmo ripeteva in continuazione le parole del libro come fosse un vecchio salmo, ma non le comprendeva. Era tutto scritto lì, cos’era lui, cos’erano tutti, ma quei concetti erano ancora troppo complessi per una mente giovane, per una nuova creatura come Adelmo, ancora una volta individuo, ma pur sempre parte della massa melmosa.
Chi aveva giocato con loro tutto il tempo, si chiese Terry, chi aveva scritto quel libro e fatto in modo che venisse trovato?
Non gli importava in fondo, gli importava solo ciò che ora poteva fare: essere finalmente non più solo un prodotto di scarto di quella fanghiglia, utile soltanto per assurdi giochi di guerra di biechi uomini neri, ma il punto di partenza di una nuova era.
“E’ giunto il momento”, pensò Terry. “Il sacrificio è l’unica strada”. Sfilò dalle mani di Adelmo il libro e lo lanciò nel fango, riportandolo a coscienza del suo essere e dei suoi scopi. In pochi secondi Adelmo fu un tutt’uno con lo Stander. Gli scivolò dentro come un liquido, attraverso i pori della pelle e lo squarciò dall’interno, assorbendone tutto il kandarker.

 

- Non puoi più uccidere Terry – le disse. – Terry è in me ed io in lui. La sua conoscenza ora è la mia, ed egli sapeva ogni cosa.
- Cosa diavolo blateri, fango? – Akaly non cedette. – Cosa puoi sapere tu?
- Ho incontrato Terry, seduto in un angolo, piangere le vostre stoltezze. Leggeva un libro che non comprendevo, così si è lasciato uccidere per aiutarmi a capire. Ora ho la sua mente ed anche il suo kandraker. So dei vostri sporchi esperimenti mirati all’estrazione della sostanza dalle uniche creature che la posseggono: gli Stander, residui organici della nuova razza-melma.
- Non vogliamo fare del male alla melma. Lei è nostra madre, noi lo ricordiamo, ma ce ne serve una certa quantità nel futuro da dove proveniamo.
- Per cosa? – Adelmo si adirò. - Sopraffazione? Conquista? Usarla come fosse un’arma non convenzionale?
- Non puoi fermarci! – rispose. – Abbiamo già abbastanza kandraker da fermare dieci volte la melma che ti porti dietro!
- Quale? Questo? – alzò un braccio e dalla punta delle dita scivolò del kandraker per terra. – Ne sono immune ora e la melma è con me – si avvicinò a passi spediti verso Akaly, mentre questa gli sparava addosso proiettili verdi.

 

27.

 

I proiettili di kandraker colpirono Adelmo al petto e agli zigomi, squarciandogli la pelle e rivelandone le ossa e le carni. Un sorriso sbocciò brevemente sul viso di Akaly, subito sostituito dall’incredulità. Adelmo marciava a passo spedito, e le ferite si rimarginavano a vista d’occhio.
Akaly indietreggiò, sparò altri colpi, inutilmente. Si voltò in cerca di aiuto. Quando tornò a guardare Adelmo, se lo trovò davanti a pochi centimetri di distanza, con un ghigno sulle labbra. Akaly, disperata sparò altri colpi in rapida sequenza, che andarono a colpire lo stomaco di Adelmo. Questi le afferrò la canna del fucile, e la piegò come se fosse stato un ramoscello.
“Ti avevo già detto che il kandraker non mi può fare nulla…esso scorre in me…guarda…” subito gli occhi di Adelmo si fecero verde fosforescenti. Era come un flusso continuo che passava sotto una cupola di vetro. La melma che circondava Adelmo cominciò a ribollire e ad agitarsi. Poi aprì la bocca per parlare, e la sua voce era il miscuglio di migliaia di voci, tutte che dicevano la stessa cosa contemporaneamente.
“Io sono qualcosa di nuovo…qualcosa che nemmeno puoi immaginare…sono oltre la vostra naturale evoluzione…sono oltre gli Stander, sono una…nuova…entità!” la melma ribollì violentemente, andando a circondare Akaly. Un vischioso tentacolo di fanghiglia la cinse per le anche e la sollevò. Lei strillò, al limite dell’isteria. Adelmo le si avvicinò.
“Un’ultima domanda…una curiosità, più che altro: perché avete distrutto tutti quei libri? Cosa contenevano?”
Akaly continuò a strillare. Adelmo ordinò al tentacolo di stringere più forte. La ragazza strillò ancora più forte.
“Non fa niente, ormai non serve più sapere queste cose…sei una bella ragazza, avresti potuto scegliere un destino diverso…” detto questo Adelmo ordinò al tentacolo di melma di abbassarsi, finché si trovò faccia a faccia con Akaly. Con un ruggito infilò il braccio destro nello stomaco della ragazza strillante. Dalla sua bocca cominciarono a fuoriuscire fiotti di sangue scuro. Spalancò ulteriormente gli occhi, e cominciò a rantolare. Altri due tentacoli sottili infilzarono petto e spalla. Adelmo estrasse il braccio insanguinato e osservò i tentacoli che gettavano nel mare di melma il corpo esanime della ragazza. La creatura che un tempo era un normale ragazzo umano, si voltò, e guidato dalla Coscienza Comune si incamminò tra i cunicoli bui.

 

Camminando con la melma appresso, Adelmo si fermò improvvisamente. Girò la testa a destra e vide la porta di una cella. Col pensiero ordinò alla melma di sfondarla. La pesante porta di acciaio si piegò, e infine cadde al suolo. Dentro alla piccola stanza stava un vecchio. Adelmo riconobbe immediatamente l’odore di Azio, suo nonno, colui che lo aveva abbandonato in balia della melma. Ma non riuscì a provare odio per quel vecchio spaventato, rannicchiato in un angolo. Gli si avvicinò.
“Non avere paura, nonno…” disse con la sua voce normale. Il vecchio alzò lo sguardo sul ragazzo dagli occhi fosforescenti. Poi, con un filo di voce: “Adelmo…sei tu?”
“Si…”
“Come…come sei…perché…?” balbettò.
“Non c’è tempo, nonno…perché sei qui?”
“Mi hanno imprigionato. Quando hanno capito che tu eri mio nipote, mi hanno portato qui.”
Forse volevano usarti come esca…pensò Adelmo.
“Piccolo…io…” cominciò a balbettare il vecchio.
“No, no…è tutto passato…davvero. Hai sbagliato, e ti perdono. È stato un attimo di debolezza. Ti perdono…”
Azio scoppiò a piangere, poi si sollevò e andò a braccia spalancate verso il nipote. Adelmo arretrò, con un’espressione amara in viso. Disse: “no, non abbracciarmi…mi disgusto da solo…la mia trasformazione mi sta portando a diventare una creatura repellente ai tuoi occhi…sai, nonno, tra poco tutto questo sarà finalmente finito. Ti prego: ricordati di me nel nuovo mondo che verrà dopo…”
“Dopo? Dopo cosa?”
Adelmo si voltò e scomparve con la melma al suo seguito. Avrebbe voluto piangere, ma non ci riuscì.

 

Vestito di bianco, lo scienziato stava percorrendo un corridoio male illuminato. Portava con se un fascicolo coi dati raccolti dall’ultima estrazione di kandraker. Improvvisamente, davanti a sé, vide due puntini verdi che si avvicinavano e un ribollire vischioso. Riconobbe il rumore prodotto dalla melma. Si girò di scatto, lasciando cadere il fascicolo, e corse più veloce che poteva, girando la testa a scatti, per vedere quanto distasse la cosa che lo inseguiva. Fece in tempo a fare alcuni metri che la melma lo afferrò per la vita e le braccia, sbattendolo a terra. Con la coda dell’occhio vide due occhi fosforescenti e udì mille voci assieme che dicevano: “Morirete…tutti…quanti…”.
Una mano gli afferrò la testa e la sbatté violentemente al suolo, schiacciandola.

 

Lo scienziato si portò di fronte allo Stander disteso sul lettino. Dal suo torace uscivano decine di tubi, e le mani e i piedi erano saldamente ammanettati.
Lo scienziato si tolse gli occhiali, e rivolto alla creatura, disse: “Sai, Stander…un tempo era stato previsto il vostro arrivo, tutto questo…se non avessimo distrutto tutti i libri, i documenti, le persone che sapevano, tutti avrebbero saputo di voi. E noi non avremmo più agito indisturbati. Ora…” strinse il pugno, “…ora siete nostri…”
Un segnale acustico attirò la sua attenzione. Poi, dalla porta della sala ricerche, entrò affannosamente un altro scienziato.
“Abbiamo un problema…”

 

28.

 

Il Secondo Supervisore osservava con soddisfazione gli esiti di questo ennesimo esperimento sulle Forme di Vita Corporee. Molte volte le cose erano andate per il verso sbagliato, e l’esito finale era stata la totale distruzione di ogni forma di vita di quei pianeti; questa volta però, complice anche il caso ed un pizzico di fortuna, gli sviluppi era stati diversi. Grazie anche ai suoi interventi.
Ora non doveva fare altro che aspettare e godersi l’ulteriore evolversi degli eventi. Qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe stato per merito suo. Stavolta avrebbe fatto le scarpe al Primo Supervisore.

 

Lo scienziato, attaccato al telefono, era in preda al panico:
- No, non capite! La melma non è solo là fuori, è anche qui dentro! Nei sotterranei, chiaro? Mandate giù qualcuno, per la miseria!
Un gorgoglio soffocato fu l’ultimo suono che emise, prima di cadere al suolo, privo di vita. La melma, che lo aveva ricoperto nel suo abbraccio mortale, abbandonò quel guscio vuoto.
Adelmo lo osservò, con lo sguardo carico di disprezzo.
- Non meritate neanche di entrare a far parte della Coscienza Comune.
Sentenziò.
Poi la sua espressione, posandosi sul povero essere ammanettato mani e piedi al letto, divenne di pietà.
Con calma, cercando di fargli meno male possibile, sfilò tutti i tubicini che succhiavano fuori il suo kandraker.
Gli Stander non dovevano avere necessariamente un aspetto umano. Questo era una scimmia, dal volto spaurito, ma dai cui occhi traspariva una grande intelligenza.
Lo scimpanzé percepì nel giovane umano davanti a lui la presenza di una ampia quantità di kandraker e si tranquillizzò. Come tutti gli Stander aveva bisogno di conoscere il perché della sua esistenza ed il suo destino.
Come tutti gli Stander prima di lui, trovò negli occhi di Adelmo la risposta. Ed accettò.

 

Un attacco dall’interno era del tutto inatteso, dagli uomini con i Rayban. Ci volle un po’ perché si riuscisse ad organizzare una resistenza anche sul fronte dentro Grozer, oltre che fuori. Furono richiamati anche tutti gli Scout, il corpo di cui Akaly faceva parte, che avevano il compito di scovare gli Stander in libertà e di portarli in città.
Quel tempo fu più che sufficiente per far sì che il Centro Ricerche fosse irrimediabilmente perduto.
Tutti erano asserragliati intorno all’edificio di tre piani, ma non sapevano cosa aspettarsi. Altri continuavano a tenere a bada la melma che circondava la città.
- Signore. – disse un soldato al suo superiore – Le comunicazioni con il Centro Ricerche sono interrotte. Temo che la dentro non sia rimasto più nessuno!
- Questo è impossibile! – urlò l’uomo – La melma non può penetrare là dentro senza bruciare per l’eccessiva presenza di kandraker!
- Non abbiamo idea di cosa sia successo là dentro. Le ultime comunicazioni parlavano di uno strano ragazzino dagli occhi verdi brillante proprio come il kandraker.
Un altro soldato urlò, riportando l’attenzione dei due sul palazzo:
- Guardate! Stanno uscendo!
Dall’edificio iniziarono ad uscire tutti gli scienziati ed il resto del personale. Anche Akaly era tra di loro. Si muovevano molto goffamente, con espressioni assenti, ma si dirigevano verso i soldati senza indugiare, come spinti da una volontà non loro.
Un tetro silenzio scese su Grozer.
Infine, sulla porta d’ingresso fece la sua apparizione il ragazzino dagli occhi verde kandraker, vestito di pelle di lupo.
- Voi venite dal futuro, – disse con le sue molteplici voci – dite di essere i nostri figli, ma non avete idea del messaggio di unità che portiamo dentro di noi. Avete distrutto il pensiero individuale per dare vita alla Coscienza Comune, per poi usarla per conquistare altri pianeti. Non è ciò che noi vogliamo.
Tutti ascoltavano in silenzio le parole del ragazzino, mentre il personale del Centro Ricerche continuava a fuoriuscire dall’edificio.
- Ciò che noi desideriamo è la pace. Inizialmente pensavamo che la soluzione ideale fosse proprio la Coscienza Comune, la melma, come voi la chiamate, ma ora sappiamo che c’è un’alternativa persino migliore. Non vi permetteremo di fermare la Nostra evoluzione!
Akaly si era ormai avvicinata alla prima linea di soldati piazzati davanti al Centro Ricerche.
Uno di loro notò lo squarcio nel suo ventre e si spaventò.
Partì una sventagliata di proiettili al kandraker.
Il corpo della ragazza esplose in mille frammenti rivelando ciò che nascondeva: un’ondata di melma assalì i soldati tutt’intorno, i quali iniziarono a contorcersi dal dolore e dalla paura.
Iniziò la sparatoria, ed altri corpi esplosero, liberando melma che penetrava nelle gole dei soldati, soffocandoli.
Adelmo si voltò indietro. Solo Azio, l’unico essere umano ancora in vita, era presente nell’atrio del Centro Ricerche. Guardava suo nipote con gli occhi pieni di lacrime.
Il ragazzino gli sorrise con affetto, poi si voltò verso la battaglia che infuriava di fronte a lui.
Spalancò le braccia e l’ultimo piano del palazzo esplose come i corpi dei suoi ex occupanti, liberando un’immensa ondata di melma.

 

29.

 

L’ondata di melma, ormai marea inarrestabile, aveva vinto ogni resistenza. L’umanità superstite era un vecchio tremante al centro dell’unico spazio lasciato libero.
Azio fissava il ragazzino che avanzava.
«Non temere, nonno. Il tuo destino non appartiene alla melma.»
«Sono morti tutti. Cosa può fare un vecchio?»
Adelmo sorrise e mosse un passo verso di lui. Azio si ritrasse spaurito.
«Diventare una guida. La nostra memoria.»
Azio vagò con lo sguardo sulle rovine intrise di melma, sulla desolazione del silenzio.
«La memoria di un mondo vuoto? Una guida per chi?»
«Presto una nuova umanità avrà bisogno di qualcuno che ricordi. Nuovi esseri legati da una comune coscienza, eppure individui.»
«Non ti capisco, Ademo. Dov’è questa nuova umanità?»
Il ragazzo si avvicinò al vecchio. Allungò una mano verso la sua spalla, in una carezza affettuosa. La melma ribollì alle sue spalle. Impaziente.
«Lo vedrai tra poco. Io ho il potere di liberare la Coscienza Individuale in quella Comune. Singole entità nasceranno dalla massa. Ognuno di loro imparerà da te ad avere una storia, dei sogni, dei limiti. Ognuno di loro sarà anche parte degli altri ma nessuno potrà conoscere il passato senza di te.»
La melma montava alle spalle di Adelmo. Come a volerlo abbracciare. Il suo ribollire si faceva frenetico.
«Perché io? Un vecchio vigliacco scelto come guida?»
«Perché sai cos’è la paura, hai saputo commettere errori ma hai insegnato ad amare, tanto che io ancora ti amo. Perché conosci il male, conosci la storia. La mia. Quella della nuova umanità.»
Azio sentì dalla carezza di Adelmo sulla sua spalla propagarsi un calore fatto di conoscenza. Nella sua mente divenne chiaro ogni singolo dettaglio di quanto era successo.
Seppe quale era il destino di Adelmo.
«Così è questo che mi si chiede, guardarti ancora una volta morire.»
«Non morirò, sarò il filo che lega tutti gli esseri viventi di questo nuovo mondo. Mi scorgerai in ognuno di loro.»
Adelmo allargò le braccia. Sorrideva con gli occhi fissi in quelli del vecchio.
La melma si sollevò a racchiudere il seme della rinascita.
«Vado nonno.»
Nell’ultimo istante la voce era tornata quella di suo nipote, del suo Adelmo.
Quelle ultime parole svanirono nel ribollire furioso. Azio rimase a guardare in attesa. Il verso indistinto calò di intensità e la melma cominciò a cambiare. La massa si contraeva restringendosi in singole pozze, frementi. Il vecchio osservava incantato come da quei singoli frammenti prendevano forma i nuovi individui.
In breve tempo molti sguardi incuriositi si rivolsero a lui.
Una ragazza gli si avvicinò e con voce esitante domandò, «Chi sei?» Sentiva come tutti gli altri che lui, pur senza essere in loro, era importante.
«Io sono qui per insegnarvi a ricordare, aiutarvi a capire e ricominciare.»
«Come?» Chiese la voce di un uomo che formava il piccolo gruppo che si era avvicinato.
«Sarò la vostra memoria, vi narrerò il passato per darvi un futuro. Ho molte storie da raccontarvi. Inizierò dall’ultima, la più importante.»

 

«Il sole stava morendo dietro le colline quando il vecchio e il ragazzo terminarono di riparare la porta della casa. Erano passati già quattro giorni dal momento in cui, quella vecchia e fatiscente costruzione ai margini del bosco, era diventata il loro ultimo rifugio dal caos che dilagava ormai ovunque...»

Questo racconto è stato creato da 30 scrittori che hanno partecipato all'Ossario, gioco di scrittura creativa organizzato da Scheletri.com: Simone Conti, Enrica Rizzi, Fabio Marangoni, Giovanni Buzi, Danz, Claudia Cavina, Biancamaria Massaro, Gino Spaziani, Laura Cherri, Giuliano Pistolesi, Ivan Iurato, Michele Bruzza, Diego Matteucci, Giuseppe Pastore, Simonetta Santamaria, Guido Del Duca, Stefano Scappazzoni, Devis Contarato, Sergio Luoni, Annamaria Esposito, Marco Gorra, Marco Giorgini, Seth Brundle, Smanioto Maxence, Fabrizio Vercelli, Massimo Guetti e Luisella Bacchiocchi.