Creeping death

Le immagini del telegiornale erano agghiaccianti.
Pur essendo degli scatti alquanto mediocri per un servizio di testa nel telegiornale delle otto, mostrati per pochi secondi avevano sicuramente impressionato un gran numero di ascoltatori.
Una ragazza di sedici anni giaceva in un lago di sangue, i suoi occhi erano spalancati, in modo decisamente innaturale, la mano sinistra, appoggiata alla guancia, non aveva più le dita.
A molte ragazze sarebbero stati ristretti gli orari da quella sera.
Il padre di Barbara aveva la pelle d’oca.
- Ecco cosa succede in quei posti che frequenti tu! -
Anche Barbara era molto impressionata.
Quella ragazza somigliava, o per lo meno le ricordava, la sua compagna di banco alle medie.
Per qualche interminabile secondo si fermò a riflettere. Sedici anni di ricordi, di gioie, di sofferenze, e soprattutto di speranze erano stati spazzati in pochi minuti. E, da quanto aveva detto il telegiornale, non si trattava di una sbandata, di una che se lo era in qualche modo cercato.
Poteva esserci chiunque al suo posto: lei o una sua amica.
Si allontanò dai suoi pensieri per ascoltare gli ulteriori dettagli della notizia.
- La polizia brancola nel buio. La confusione e la ressa provocata dal panico che ha seguito la scoperta del cadavere hanno cancellato ogni traccia. Gli unici indizi a disposizione degli inquirenti sono su quel corpicino martoriato da novantasette pugnalate inferte con un normale taglierino. Dopo aver interrogato amici e parenti della ragazza non sono emersi particolari che possano far luce sulla vicenda. Il mistero rimane fitto su come una ragazza possa essere stata massacrata alla presenza di venticinquemila persone, tante erano accorse infatti per ascoltare il concerto del gruppo rock “Creeping Death” -
Senza più dire una parola finì la cena ed andò a dormire.

 

***

 

Da un anno ormai lavorava come cassiera in un supermercato, di quelli non particolarmente affollati se non forse il sabato pomeriggio. Le giornate erano abbastanza noiose, non aveva un ragazzo a cui pensare mentre oziava alla cassa, e nei tempi morti (sei o sette ore al giorno) leggeva qualche romanzetto da quattro soldi e qualche rivista femminile.
Quella mattina fece una cosa che per chi la conosceva aveva dell’incredibile: comprò il giornale e lesse per tutta la mattina. C’era qualcosa in quella storia che non riusciva a farle smettere di pensarci.
Provò ad immaginare cosa potesse essere: forse il fatto che si trattasse di una sua coetanea, per di più fan del suo stesso gruppo preferito, forse una innata curiosità morbosa.
Quella musica le faceva paura. O meglio: che le faceva paura era l’impatto che quella musica aveva su di lei. Non era tranquilla al pensiero di sentirsi attratta verso un gruppo che cantava solo di morte, sangue, stermini e via dicendo. Ma era più forte di lei.
Durante il pomeriggio, prima che verso le sei cominciassero ad arrivare le impiegate all’uscita dall’ufficio, pensò molto alla vicenda: praticamente ripercorse ogni dettaglio letto la mattina sul giornale.
Le coltellate non erano state date con violenza. Le parole esatte dell’articolo erano state: - come una mano che taglia un foglio di carta -. La ragazza era morta probabilmente intorno alla quindicesima, ma l’assassino aveva continuato per almeno dieci minuti, prima di abbandonare il cadavere. Le dita erano state tagliate quasi con cura: prima era stata fatta girare in profondità la lama intorno all’osso, poi quest’ultimo era stato spezzato e strappato.
Chi aveva compiuto un simile rituale era sicuramente un folle.
Cosa poteva aver spinto una persona a compiere un simile gesto? La violenza contenuta nelle canzoni? Questa risposta le suonava troppo facile.
La verità poteva avere due facce: o una persona debole di carattere viene influenzata negativamente da certi argomenti, esposti con l’energia penetrante della musica rock, oppure un già potenziale assassino viene attratto da quell’ambiente, in cui la violenza è una bandiera, dove può finalmente dar sfogo al suo istinto.
Entrambe le situazioni avevano un punto in comune: il concerto. Come causa scatenante o come istigatore faceva poca differenza. Aveva paura, ma quella musica era stata per lei un sostegno importante. Era una ragazza sola, non particolarmente felice, desiderosa di sfuggire ad una realtà che non le piaceva.
Fosse stata un po’ più debole sarebbe sicuramente diventata una tossicodipendente, ma la sua droga erano loro, quei quattro demoni che con la loro musica avevano probabilmente tolto la vita ad una sua coetanea, ma che con la stessa musica avevano ancor più probabilmente salvato la sua innumerevoli volte.
La sera precedente era stata la prima di tre in cui i “Creeping Death” avrebbero suonato nella sua città. Lei aveva avuto, con molta fatica, i biglietti per quella odierna, e nulla l’avrebbe fermata, né suo padre (per tenerglielo nascosto aveva studiato un piano degno di un dirottamento), né la paura, la sua peggior nemica da quando era piccola, contro la quale aveva un’arma invincibile: aveva più paura di non andare, di privarsi di quella linfa vitale che la attendeva da quel palco e che le avrebbe consentito di tirare avanti ancora un po’.

 

***

 

La mattina la sua amica Gloria aveva telefonato a casa, spacciandosi per una collega, ed aveva pregato il padre di ricordare a Barbara che quella era la sera dell’inventario (che si era sempre protratto fino a tarda notte).
Quando Barbara arrivò a casa il padre le diede il messaggio.
- Che stupida, me ne ero scordata! –
- Sei sempre la solita! Non sei capace di prenderti responsabilità! Fila adesso! –
Barbara sorrise divertita, lui stesso la stava spingendo fuori.
Anche questa volta nessun problema. Salutò ed uscì di corsa.
Dall’altra parte della strada la aspettava Gloria.
Salì in macchina, la salutò rapidamente, tirò fuori la borsetta del trucco ed i vestiti dalla borsa.
Dopo pochi minuti la timida cassiera aveva lasciato il posto ad una inquietante creatura della notte, con le labbra nere, la pelle color cenere e due occhi di ghiaccio.
Entrarono nell’arena affollatissima, facendosi largo a fatica. Un gruppo di ragazzi le afferrò abbastanza violentemente per le braccia, offrendo loro qualcosa da fumare. Loro sorrisero ed accettarono volentieri.
Dopo qualche minuto il buio calò sull’arena.
Una debole luce rossa apparve puntata verso il palco.
Illuminava debolmente una figura più simile ad un grosso pipistrello che ad un essere umano.
Il silenzio calò tra il pubblico, pronto per essere infranto dall’inizio del primo pezzo, più simile ad un esplosione che a musica.
Barbara era in delirio. Quell’iniezione di energia l’aveva mandata in estasi: si agitava confusamente, si lasciava toccare dai ragazzi, a tratti scoppiava in un riso che aveva del folle.
Rimase in quello stato per tutta la durata della prima parte.
Quando la musica si arrestò cadde a terra priva di forze.
I ragazzi si chinarono su di lei continuando a palpeggiarla, finché Gloria non si fece largo distribuendo schiaffi qua e là, e quando la raggiunse la aiutò a rialzarsi.
Quando riprese il controllo sentì di aver bisogno di un po’ d’aria: senza uno sguardo per Gloria cominciò ad allontanarsi barcollando.
Imboccò uno dei corridoi interni dell’arena, venne urtata innumerevoli volte ma riuscì a fatica a restare in piedi, gli occhi le bruciavano da morire.
Vide un ragazzo ed una ragazza uscire da una porta sulla sinistra, avevano sicuramente fatto del sesso. Il bruciore agli occhi cominciava ad annebbiarle seriamente la vista. A fatica trovò la porta ed entrò.
Si trovò in una stanza completamente buia. Portò la mano destra indietro e trovò l’interruttore.
Accesa la luce si rese conto che non era un bagno, era uno spogliatoio, probabilmente per gli operai della manutenzione.
Fortunatamente vi era un lavandino con un piccolo specchio proprio di fronte a lei, vi si lanciò come una lepre.

 

***

 

Si lavò prima le mani, quindi si chinò per sciacquarsi finalmente gli occhi, facendo attenzione a non rovinarsi il trucco.
Quando rialzò la testa c’era un uomo alle sue spalle.
Aveva un’aria familiare ma aveva il viso semicoperto dai lunghi capelli in disordine. Stava cercando, nonostante la vista ancora un po’ annebbiata, di esaminarlo meglio, quando lui la colpì con un pugno in piena faccia.
Lei cadde per terra, stordita ma non svenuta. Lui la trascinò per i capelli verso una porta dalla parte opposta rispetto all’ingresso.
Aprì la porta e butto dentro Barbara a calci. Accese la luce e chiuse la porta dietro di sè.
Barbara cominciava lentamente a riprendersi, era seduta per terra, capì di trovarsi in una specie di sgabuzzino, capì di essere in pericolo, anche se guardando quell’uomo in piedi di fronte a lei istintivamente era portata a non farlo.
Si convinse definitivamente quando lui estrasse il coltello.
Lei gridò e lui la colpì con un calcio sotto il mento. Stavolta cadde svenuta sul freddo pavimento.
Si riprese pochi minuti dopo, grazie ad un secchio di acqua gelida, ma se ne pentì immediatamente.
Cominciava ad immaginare l’orrore che la attendeva.
Si trovava ancora seduta sul pavimento, piangeva, tremava di paura, gemeva per il dolore al mento. La schiena era appoggiata al muro e le mani per terra. Con la rapidità di un gatto lui le schiacciò la mano con il tacco dell’anfibio. Barbara gridò, e mentre urlava il suo sguardo si posò su di lui.
Stava sorridendo, godeva a sentire quelle urla, i suoi occhi erano pieni di odio, di violenza, di follia. Barbara capì di essere sul punto di svenire di nuovo, e se lo augurò. Lui l’avrebbe uccisa, ne era certa, e forse l’avrebbe prima violentata. Lei desiderò abbandonare il suo corpo.
Quel corpo che le stava provocando quegli atroci dolori, ed era ora in balia di un folle maniaco che lo avrebbe usato per i suoi scopi perversi per poi annientarlo.
Le forze le mancavano, la lucidità le stava venendo meno; sorrise un istante rendendosi conto che stava per perdere i sensi.
Lui non glielo concesse.
Una coltellata di taglio alla guancia destra la riportarono immediatamente alla realtà. Gridò di nuovo. I suoi occhi erano pieni di sangue, la sua mente pervasa di terrore. Non riusciva più a vedere l’uomo, ne sentiva i gemiti di piacere a percepiva qualche luccichio del suo coltello.
Lui la pugnalò al ventre, girando più volte il coltello, ma senza andare troppo in profondità. Voleva godere di quell’atto, il più a lungo possibile, come una persona quando fa l’amore e cerca di prolungare il proprio piacere. Le puntò il coltello poco sotto la spalla sinistra, lo affondò qualche centimetro e lo abbassò, tagliando i vestiti e la carne fino a sotto il seno. Barbara non gridava più, gemeva debolmente, piangeva con le poche forze rimaste.
Lui si rese conto che il suo orgasmo era finito: prese Barbara per i capelli e le squarciò la gola.

 

***

 

L’uomo era in ginocchio, con le palme delle mani immerse nella pozza di sangue di Barbara. Sollevò le mani imbrattate e se le appoggiò sulle guance dopo averle annusate. Gli piaceva quell’odore.
Uscì dalla stanza e si diresse furtivamente verso l’area riservata dell’arena, quella in prossimità del palco. Le guardie lo fecero passare.
Oltre le transenne c’erano un paio di gradini, li salì e si voltò a guardare il pubblico. Avrebbe voluto ucciderli tutti, trasformarli in un mucchio di cadaveri ed ascoltare il silenzio della morte invece delle loro urla sguaiate, guardarli negli occhi mentre affondava il suo coltello nelle loro viscere.
Sorrise. Pensò a Barbara, rivisse mentalmente la sua morte, ed ebbro della violenza appena goduta risalì sul palco e ricominciò a cantare.

Alessandro Martellotta