Sera d'autunno

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

La stanchezza fa brutti scherzi. Al primo velo di notte, tra riflessi e neon sbiaditi, ho colto negli occhi di un distinto signore uno sfolgorio d’intenso rubino. Lo incontro spesso alla fermata, suppongo lavori allo studio Bramanti. Tossisce, si volta e guarda l’ora nel cerchio bianco sopra di sè. L’autobus è in ritardo.
Tra le colonne del portico una donna grassa e sua figlia. La bambina si gratta energicamente una crosta sulla guancia. Continua a scavare, fino ad affondare le unghie nella carne. Un rivolo frettoloso corre giù nella camicetta, mentre lei comincia a grattarsi il collo. Sua madre è distante qualche metro, trema, è scossa da conati.
Una coppia di cinesi vicino a me è intenta ad osservare un rospo morto sul marciapiede, lo fanno rotolare a pedate, ridacchiando.
Mi allontano dalla fermata, cammino lungo i platani del freddo viale. Dai giardini in ombra giunge un rumore sommesso, regolare, basso. Come un lento masticare. Accelero il passo, per strada ci sono poche auto. Nei pressi dell’Arco c’è stato un incidente, due uomini controllano i danni alle vetture.

Il rumore nei giardini aumenta. Osservo i due automobilisti dell’incidente che si stanno azzuffando, mentre l’autobus mi supera. Lo inseguo fino alla pensilina, rallentato da improvvisi colpi di tosse. Salendo ritrovo le persone in attesa alla fermata. La bambina pallida piange, tiene un fazzoletto premuto sulla guancia.
Cerco un posto sul fondo dell’autobus, ho voglia di arrivare a casa. Mi fermo ad obliterare. La testa della timbratrice è inclinata. Quando fuoriesce, il biglietto è coperto di inchiostro nero coagulato. Sorpreso, lo sollevo per controllare quando intravedo la nuca della bambina. Tra i capelli castani a baschetto, due vividi occhi rossi. Alzo le braccia e le mani per coprire quello sguardo feroce. Non riconosco le mie dita, divenute adunche, ossute, coperte di setole.

Antonio Maestrelli