Ciò che tu non sei e non sai

Nelle terre di Val Turcania, tra boschi di faggi e lecceti, si racconta, specie nelle fredde serate invernali, nel chiuso delle stalle del villaggio, la storia di Edipo Coastagi e della sua smania di vagar di notte per la foresta, andando alla ricerca del tesoro di Ugone dei Prometei.
Fu il dì della battaglia di Roncisvalle, quando la Durlindana cadde dalle valorose ma ormai esauste mani del prode Orlando e vano il suono dell'olifante si spandeva per lo spazio, che Ugone dei Prometei fuggì a cavallo recando con sè un sacco d'oro. Lo nascose tra le grotte di Val Turcania affidandolo alla custodia degli spiriti del bosco. E questo, tanto per chiarire, possiamo considerarlo l'antefatto oppure, usando il sofisticato linguaggio degli psichiatri e dei sociologi, potrebbe essere stato l'elemento scatenante, oppure il cosiddetto pathos. E infatti Edipo Coastagi, un po' per avidità e un po' per i tormenti che gli infliggeva Elettra, una femmina bionda dalle lunghe affusolate gambe color del bronzo, andava, su e giù, come trascinato dal vento della bufera, lungo le valli, le pianure, i villaggi e i borghi di Val Turcania...

Era il mese di novembre dell'anno 1743 e le brumose nebbie dell'autunno, come in un gelido abbraccio cadaverico, avvolgevano, con la loro umida voluttà le case dello sperduto borgo di Lemmox. Quattro case e un campanile dopo il torrente al di là della Vetta Azzurra. Si usava, allora come oggi, celebrare in quel periodo l'ottavario dei morti. E Il vecchio curato, don Ivan, preso dal fervore per il sacro rito non si risparmiava nel sollecitare i buoni paesani. La campana, nel suonare il mattutino, chiamava ognuno alla preghiera per il suffragio delle anime dei poveri defunti. Diceva Don Ivan: "Ogni vostra preghiera allevierà le pene del Purgatorio a quelle povere anime sante". Ma nessuno riuscì mai a capire, nè don Ivan lo spiegò mai, perchè quelle anime dovessero essere povere, sante e condannate alle fiamme del Purgatorio.
"Quel curato è un impostore" andava dicendo Edipo Coastagi.
"Quel tale è peggio di un pubblico concubino. Il suo calcagno è il cibo preferito del 'serpente' e Lucifero ha da tempo allungato le sue adunche mani sulla sua anima. Guai a lui!" Diceva don Ivan da pulpito. E tanto era il vigore e la potenza di quelle parole che ogni fedele, trito, compunto e con lo sguardo a terra, si faceva un segno di croce.
Arrivò l'estate di San Martino. Le nebbie si diradarono un pochino. Il sole, fedele alla tradizione, con i suoi tiepidi raggi riscaldò gli uomini e i tini del vino nuovo... La campana suonava il mattutino...
Edipo, il quale in fondo in fondo del curato aveva un certo timore, ancora con gli occhi pieni di sonno, la bocca impastata e il corpo infreddolito per la lunga passeggiata notturna, si avviò verso la chiesa.
Dopo la curva dei quattro cipressi se la trovò davanti. L'esterno dell'edificio era illuminato. Molto illuminato! Tuttavia non vedeva candele accese, non vedeva lucerne. Edipo scrollando le spalle continuò a camminare. Le luci non erano affar suo. Arrivò sul sagrato. La folla delle persone gli sbarrava il passo.
"Che strano", pensò Edipo, "quanta gente, non conosco nessuno e che avranno da guardarmi così ?"
Entrò in chiesa. Venne assalito dal caldo di mille ceri. La folla dei fedeli continuava ad osservarlo.
Edipo si avvicinò ad una donna. Costei si voltò fissandolo negli occhi. Ma i suoi occhi erano vuoti ed Edipo, attraverso quei vuoti buchi, vide la statua dell'Arcangelo Gabriele.
"Sei peggio di un pubblico concubino" - gli sussurrò la vecchia e il suo soffio sapeva di fuoco. "Non ti vergogni? Sai chi è la donna che con te convive e ti concede i suoi laidi amplessi? Perchè hai avuto l'ardire di venire in mezzo a noi che fummo un dì ed ora più non siamo? Scappa e pentiti perchè da vivere ti resta poco. Corri! Devi uscire dalla chiesa prima che le altre anime ti catturino".
"Ma tu chi sei?" Chiese Edipo Coastagi con voce flebile e il viso terreo.
"Sono ciò che tu non sei e non sai". Rispose la donna alitando fuoco...
E fu così che Edipo Coastagi sparì nel nulla. Nessuno lo vide più. "La foresta di faggi lo ha mangiato" dicevano a Lemmox. "No", rispondevano gli altri della valle, "Di notte spesso si sentono le sue urla; cerca il tesoro nelle grotte: il tesoro di Ugone mentre, pieno di orrore e d'ira, implora Elettra per conoscere chi non è e cosa non sa.

Cesare Placida