I tamburi

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

In lontananza si sentiva un lento crescendo di tamburi. Dodici fiaccole si accesero attorno ad un catafalco drappeggiato di velluto nero, ardenti con fiamme verdi e malsane. Abraham iniziò a riemergere dal sonno, spinto dal rombare lontano. Aprì gli occhi, perplesso.
“Ma dove...”, borbottò, mettendosi a sedere. Era un trentenne dall’aspetto sano robusto, con i capelli corti e la pelle molto abbronzata. Vedendo soltanto il buio oltre le fiaccole, la perplessità si tramutò in panico.
“Stavo andando al lavoro, poi... poi...”, disse all’oscurità.
Si rese conto dei tamburi. Un suono incessante, rombante, tanto profondo da entrargli nell’anima. Sembravano sussurrargli un messaggio segreto:
“Arrampicati, sali, ascendi...”

Arrampicarsi? Come per rispondergli, altre torce si accesero. Si trovava sul fondo di un dirupo. Scoscese pareti salivano nel buio, tanto alte da sembrare infinite. Che strano suolo, pensò... Si rese conto con orrore di trovarsi su un tappeto di cadaveri. Uomini, donne, bambini, interi, a pezzi, decomposti, mummificati. Inorridito, sbarrò gli occhi.
I tamburi aumentarono di intensità.
Che importano i morti, pensò. Devo salire, salire... Si avvicinò ad una delle pareti. Mani semidecomposte uscirono dalla terra, per aiutarlo a salire. Iniziò l’arrampicata, che sembrò durare un tempo infinito. Rinvigorito dal dolce rombare dai tamburi percorse metri su metri, fino a giungere al bordo del dirupo. Si issò sopra una stretta cornice che portava ad una caverna, bocca orrenda incorniciata dalle onnipresenti fiaccole verdastre. Sicuro, entrò. La terra si chiuse attorno a lui, su di lui. Gli entro nel naso, nella bocca, in ogni orifizio. Preso dal panico iniziò a scavare freneticamente. Trascorsero i secondi, fiori neri iniziarono a sbocciargli davanti agli occhi.
Tutto divenne buio.
Un piccolo cimitero. La terra di una tomba scavata di fresco iniziò a muoversi. Artigliando l’aria notturna, ne uscì una mano coperta di sangue rappreso. Dei tamburi in lontananza.

Flavio Graser