Mantello scuro

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

Prendere il largo, sul barcone da pesca, è uno stralunato modo di alleviare il dolore. Quando si stende a prua e guarda le tenebre, il corpo di Raul si disfa, la mente si protende e lui si percepisce come una dilatata prolunga di quello spazio infinito. La sua infelicità l’abbandona e si sente pieno, rapito.
“Perchè mi hai lasciato? Perche?” sussurra alla luna, la pallida luna che ammalia i poeti.
Seduttrice assassina.
Perfida circe.
Malvagia incantatrice di serpi.
Ma l’ama ancora. L’amerà sempre. La segue ogni sera. Ha un altro.
La odia. Oggi l’ha vista per l’ennesima volta, rientrare a notte fonda. È con l’altro. Un bacio sulla bocca, un “Ciao, a presto”, un “Buonanotte, amore”, poi l’altro se ne và.
Lui l’aspetta, nascosto. Adesso sono soli.
«No! Raul ti prego, no, no...» urla.
Il grido si smorza.

Il barcone scorre sul porto canale, si allontana velocemente. L’acqua luccica, al pari di mille frammenti di specchi. Le distese di case, scure come la notte, sono ormai alle spalle.
Giunto al largo, il barcone si ferma.
La rete sale e scende, vicina e lontana.
Raul si sporge. Eccola! È lei. Le pare di vederla, riflessa nella scia di luce che proietta la luna.
Capelli biondi, il bel viso stravolto.
Immagini si affollano, lo incalzano e lo straziano.
Era tutto per lui. “Sarai mia o di nessun altro”. Le mani strette sul collo, il corpo si affloscia. Estasi pura, ebbrezza esaltata. È morta.
L’acqua è grigia, un colore scuro e forte che riflette la sua amarezza, un mantello nero che a poco a poco l’avvolge, metafora simbolica che fonde gli umori e geme, si infiltra, si spande e cola.
È un mantello adeguato, come si deve, come si conviene.
Si lancia, lo fende, si immerge.
È perfetto e l’accoglie.

Fiorenza Flamigni