Occhi di lamia

Che strane creature sono le madri: prima ingoiano, poi ci masticano su.
Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?
Così ansimava una splendida cagna nera dagli occhi di giada con voce di torrente che travolge. Si aggirava a tentoni per le cieche gallerie di una caverna. Al buio usava una coda serpentina come bastone e in breve tempo trovò un comodo giaciglio dove trascorrere la notte. Annusò l’aria (odore di funghi) e si distese, ricoprendosi di foglie secche. Poi spalancò gli occhi.
Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?
Sono occhi cerchiati d’invidia
scavati da un’insonnia non voluta
su un viso smagrito
che sa rigenerarsi.
- Sai quando la notte abbaiano i cani? - disse a se stessa, leccandosi il fulgido pelo - (Chi sei? Perché mi chiami?). E’ l’ora in cui senti scricchiolare le ossa dei piedi, quando, scalza, riempi di te il buio della tana e per non svegliare il tuo cucciolo ti rannicchi in un angolo del letto. E aspetti. Che ti prenda il sonno. Finalmente. Non viene (Che vuoi da me? Io lo so: sei tu che ancora lo ignori). Allora neanche ti rialzi e ti metti prona. Le mani si fanno zampe e il tuo incedere assomiglia a uno scatto felino (Di’ la verità: hai aperto il mio scrigno? Ci hai trovato i tuoi occhi e ora inserisci gli umidi bulbi in orbite cave, come fossero lenti. E mi evochi. Cosa vedi?).
Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?

Una madre serena, distesa su un lettone, con un bimbo accanto ascoltava. Le palpebre le erano diventate pesanti, ma gli occhi riuscivano ancora a reggere l’ennesima maratona notturna senza arrossarsi. Occhi rassicuranti. Occhi di castagna.
Con amorevole cura sollevò il piccolo e lo depose nella culla... dove deve stare!
Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?

- Ninna nanna, ninna-ò, questo bimbo a chi lo do. Se lo do all’uomo nero... (Il vaso è vuoto. L’ho aperto. Non c’era nessuno a frenarmi le mani. A strapparmi la fame dagli occhi. Ero sola. Sono ancora sola. Come sempre). Ninna nanna...
- Dove sei? Cosa vedi? Canta la mia nenia e ti riconoscerò.
- Vedo me stessa cullare un bambino (il mio?), sussurrargli parole di miele. Lo rassicuro, lo accarezzo, lo bacio, lo volto e lo rivolto nel lettino, ma non riprende sonno. Non vuole darmi pace. Pare provarci gusto, farlo apposta. Non capisce!
- Avrà fame?
- Penso di sì.
- Sete?
- Forse.
- I dentini?
- Pure.
- Paura?
- Non so.
- Otite?
- Possibile.
- Coliche?
- Come ogni notte.
- Alzati e preparagli il latte!
- Mi alzo e gli preparo il latte. Come ogni notte.
- Ripeti: Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?
La madre sentì l’eco di quei versi prima martellarle le tempie, poi esploderle dentro, attraversarle il corpo e squarciarle la bocca:
- Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?

Le voci si sovrapposero. La cagna dagli occhi di strega uscì dalla caverna e piombò nel corridoio a reclamare il suo pasto. Raccolse i capelli arruffati con un fermaglio di teschio; i seni le divergevano penduli. Ancora affannata per il lungo balzo si nascose dietro una porta a osservare la scena familiare, ma un continuo ondeggiare di culla la nauseò e le fece imbrattare il pavimento di viscido vomito. Ingurgitò il tutto e si riprese. Un piedino incastrato tra le sbarre del lettino la fece salivare. Seguì la madre premurosa lungo il corridoio, sfiorandone le generose curve e allungando le zampe per afferrarle i capelli, sfigurarle il volto. Creò un leggero vento. Alito di morte. Il debole suono di un carillon la eccitò e si acquattò sulla soglia della cucina. Si toccò lo sterile ventre e si sfiorò più volte il sesso.
La madre scaldava il latte a bagnomaria mentre reggeva il figlio in lacrime. Con voce roca la lamia le sussurrò: - Che fai?
- Chi sei? - rispose sorpresa la donna.
- Non mi riconosci? - squittì l’avida creatura.
- Io non ti ho chiamata! - urlò spaventata la madre.
- Sì che lo hai fatto! Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?

L’acqua bolliva e arroventò la bottiglina di vetro. La madre la prelevò a mani nude con i gesti meccanici di sempre, ma il biberon traboccò di sangue e le cadde di mano. Senza esitare la lamia saltò nella stanza e cominciò a leccare il gustoso umore, ferendosi più volte la lingua. Ma non bastò per placare le sue voglie, anzi. Fu un attimo. Il mostro ripugnante strappò dalle braccia della madre quel pezzo di tenera carne, gettandolo a terra. Lo morse. Le piacque. Soddisfatta se ne corse via, scuotendo la testa per meglio spolpare la preda. Il sangue schizzava ovunque, ma la madre non si accorse di nulla e continuava a cullare le braccia ormai libere. Solo quando chiuse gli occhi cominciò a strepitare come impazzita: - Dove sei? Dove sei? Ritorna qui! Squartami il ventre e restituiscimi mio figlio!
- Altea! - l’accusò una voce impercettibile.
- ...
- Medea! - fu l’ultimo nome che accettò la debole madre dai rassicuranti occhi di castagna.
Prima di sparire la lamia le graffiò il cuore. Lo scrigno era di nuovo pieno, ma la culla vuota.
Un fruscio di coda le rimbombava nelle orecchie unito alle parole di quella canzone che le sfumava dentro: Tu li chiudi, io li apro.
Tu li apri, io li chiudo.
Dimmi, madre: di che colore sono
i tuoi occhi?

Marcella Testa