Black out

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

Vivo sola, nel mio attico al quinto piano di un palazzo molto antico e da sempre il mio tormento è la solitudine.
Ho quarant’anni, ma di tanto in tanto mi crea inquietudine dormire da sola.
Una sera sulle scale trovai una rivista e la presi. Giunta a casa, per curiosità la lessi; rimasi molto colpita da un articolo.
“Le premonizioni ci consentono di conoscere frammenti del nostro futuro... la dimensione del tempo inquieta... la realtà è labile...” queste frasi echeggiavano continuamente nella mia mente.
Avevo quasi il sentore, quella sera, che sarebbe successo qualcosa.
All’improvviso un black out. Rimasi al buio, terrorizzata e piena di ansia.
”La realtà è labile...” detestavo questa frase e mi resi conto che al buio, senza vedere nulla, senza sentire alcun rumore, senza il coraggio di alzarmi e di andare alla ricerca di una candela, la mia identità si stava sfracellando.

Al buio non avevo forma, non vedevo forma, non c’era dimensione e avrei potuto quasi credere che la barriera tra vita e morte fosse abbattuta. Se in quel momento fossi morta, che ne sarebbe stato di me? Sarei diventata un cadavere, un corpo gelido, pronto a putrefarsi a breve. Quella ero io, un futuro cadavere, che sarebbe marcito.
La mia sensibilità si stava alterando mentre la mia realtà scompariva.
Pur non credendo agli spettri, mi resi conto che le persone che vedo quotidianamente sono dei futuri fantasmi e che la linea tra follia e lucidità è davvero sottile.
All’improvviso la luce: una terribile tachicardia mi scosse profondamente; forse ero solo terrorizzata per essere tornata nella realtà, forse avevo solo perso di vista per qualche secondo la mia dimensione. Dannata rivista e dannati pensieri!
Com’è facile precipitare nel caos mentale e com’è difficile ritrovare la strada per risalire alla realtà.

Nicola Piteo