Straordinaria follia

Quando Anna affondò il colpo, nel preciso istante che il coltello penetrò la pancia di suo marito, pensò a due cose. Primo, non avrebbe mai creduto che fosse così facile farlo, nel senso che non pensava avrebbe avuto il coraggio. Secondo, non avrebbe mai creduto ci volesse così tanta forza per penetrare la pancia di un uomo. Se fosse stato un tipo obeso, uno di quei chiattoni con il grasso trasbordante la cintola, forse, avrebbe messo più vigore. Invece, il primo fendente penetrò la pelle per pochi centimetri nonostante lei pensasse di aver spinto con tutte le sue forze. Allora si rese necessario estrarre il coltello, la lama non era affilata, avrebbe dovuto farle fare il filo, avrebbe potuto nei giorni scorsi. Ma non l'aveva fatto e così doveva arrangiarsi, come sempre. Quindi provò di nuovo e questa volta usò anche il peso del suo corpo. Per un momento benedisse il fatto di non essersi messa a dieta, ironia della sorte. Era stato proprio suo marito a proibirglielo. Diceva «Che devi fare? A chi devi sembrare bella? Ti devi mettere la minigonna forse?» e giù botte, sulla testa, per non lasciale segni evidenti sulla faccia. Mentre affondava i colpi guardava fisso negli occhi quell'uomo che una volta aveva amato tanto.

Quell'uomo che un giorno ormai lontano le giurò amore eterno, quello stesso uomo che dopo pochi mesi di matrimonio l'aveva segregata in casa, l'aveva costretta a licenziarsi, a perdere il posto di segretaria che aveva ottenuto da ragazza. Adesso lo guardava dall'alto mentre sgranava gli occhi, con quell'espressione di stupore mista a dolore e paura di crepare. Il porco, l'aveva sgamato più volte andare a mignotte. L'aveva beccato con le ricevute dei ristoranti in tasca, degli alberghi, dei negozi. Lui, che non le comprava un vestito da anni, lui, che non le comprava trucchi, profumi, gioielli. Lui, che finalmente avrebbe pagato per i suoi torti. Avrebbe lasciato la sua vita per sempre. Adesso lo guardava arrancare, strisciando, con le mani sporche di sangue, il sangue puzzolente e n'omm e' mmerda.
«Che fai non parli? Non dici niente? Non hai la forza di darmi le botte?» diceva la donna con un ghigno agghiacciante, un barlume di lucente follia negli occhi furenti. Ad un certo punto gli tirò un calcio, in faccia, sul naso, ma non gli fece niente. Ciro, suo marito, biascicò qualcosa, un sibilo sottile, una successione di consonanti incomprensibile. Poi provò ad opporre resistenza con le ultime forze che aveva in corpo, cercò di estrarre il coltello dal petto, cercò di afferrare la mano di Anna senza riuscirci. La vita lo stava abbandonando. Così con un rantolo aprì la bocca cercando di respirare, avidamente, aveva bisogno di un po' di ossigeno, stava soffocando, il sangue gli aveva invaso i polmoni e fra poco lo avrebbe ucciso, avrebbe fatto davvero una brutta morte. «Maledetto, sei sempre stato una merda fumante, finalmente stai morendo.» disse Anna lasciandosi andare a terra, con le spalle appoggiate alla credenza. Poi, guardandosi allo specchio della camera da letto, si aggiustò una ciocca di capelli. Pensò di essere ancora bella.
Ciro, dal canto suo, si era piegato in due dal dolore ed afferrava il coltello che aveva conficcato nella pancia. Troppo dentro per poter essere sfilato senza provare un dolore tremendo. Poi le forze erano diventate poche, nulle, aveva capito che non ce l'avrebbe mai fatta. Così, si stese supino con le braccia aperte guardando il soffitto. Adesso respirava meglio anche se aveva l'affanno. Allora si girò dalla parte di Anna cercando il suo sguardo poi, con cenno di sfida, la guardò fisso nei suoi occhi azzurri. Anna ci lesse il solito orribile odio con il quale la picchiava quasi tutti i giorni.
«Ti ricordi quando mi costringevi a fare quelle cose orrende a letto? Mi facevi male, io piangevo, tu mi venivi dentro. Ho dovuto abortire tre volte. Non hai mai voluto figli. Maledetto. Poi, quella volta che, stirando, ti bruciai la camicia buona, ricordi? Fu un incidente ma non volesti sentire ragioni. Mi picchiasti talmente forte da spaccarmi un dente. Eccolo, vedi? E' ancora rotto dopo tanti anni. Mi facesti dire di essermelo fatto cadendo dalle scale. Che vigliacco, lo sei sempre stato. Mi hai sempre picchiato, sempre maltrattato. Già dal primo giorno. Potrei continuare all'infinito sai? Le tue violenze, è una vita che le subisco. Mi hai sempre ferito, mi hai sempre fatto male dentro. Le botte, ad un certo punto ho imparato ad incassarle. Non mi facevano più niente. Le tue parole invece, mi hanno sempre stracciato l'anima a'pietto. Adesso io ti ho strappato la lingua, nel sonno, mentre stavi dormendo. Non te ne sei neanche accorto. I sonniferi hanno fatto effetto. Adesso ti starai chiedendo perché sto facendo le valigie, ora, proprio mentre ti sto parlando. Ebbene parto, con tuo fratello, Antonio, il tuo gemello. Andiamo in Jamaica, abbiamo già fatto i biglietti. Quando si accorgeranno che sei morto, noi saremo già arrivati a destinazione. Non c'è l'estradizione in Jamaica, quindi, anche se ci accusano di omicidio, chi se ne fotte. Io mi rifaccio una vita e lo faccio con lo stesso sangue tuo. Sono anni che ti tradisco. Con Antonio. Lui è diverso. Lui mi ama, mi considera la cosa più bella al mondo.»
Ad un tratto il campanello. Anna si fece prendere un po' dall'ansia. Si avvicinò furtivamente alla porta, guardò fuori utilizzando lo spioncino. Tutto liscio, era Antonio che aspettava fuori trepidante.
Aprì la porta e lo fece entrare.
«Presto entra, non diamo nell'occhio. Come ti senti? Hai una faccia sofferente.»
L'uomo la guardò per qualche istante poi disse: «Non ho dormito, ho fatto solo brutti sogni.»
Anna lo abbracciò forte poi lo baciò sulle labbra. Dopo un attimo si ritrasse, velocemente. Qualcosa non quadrava, qualcosa non stava andando come previsto. Guardò Ciro che si contorceva a terra, si stava sforzando di dire qualcosa. Poi fissò Antonio. Adesso l'uomo le si era parato davanti, sotto la luce del lampadario di cristallo, aveva la faccia bianca come un cencio. Non aveva notato il neo sulla guancia, tale e quale a quello che aveva Ciro, d'altronde erano gemelli. Certo! Che cosa andava pensando. Si chinò sul corpo ormai senza vita del marito e gli girò la faccia. Il neo era sparito, ora che ci pensava bene, Antonio quel neo non l'aveva mai avuto. Eppure avrebbe giurato di averlo visto. Ma quando? Allora realizzò di aver commesso un errore tremendo, il cuore le stava scoppiando, andò in panico. Le mani cominciarono a tremare, le venne un conato di vomito e si sentì mancare.
Antonio adesso stava ridendo. «Ciao amore mio bello, credevi davvero che ti saresti liberata di me così facilmente? Bravi, bravi tutti. Che tu fossi una troia, lo sapevo da un pezzo. Ma con mio fratello, con il mio gemello! No, cazzo, non lo accetto!» disse Ciro che si era spacciato per Antonio.
«Non è possibile, tu stavi dormendo nel nostro letto, ti ho dato il sonnifero ieri notte. Poi ti ho tagliato la lingua stamattina per non farti parlare. Le tue minacce mi avrebbero spaventato, non avrei trovato la forza di fare tutto questo. Dai Antonio, non scherzare, dimmi che mi stai prendendo in giro, per piacere.» Adesso Anna lo stava supplicando.
«Che sciocca, lo sei sempre stata. Io e mio fratello ti abbiamo sempre usata. Ti scopavamo a turno. Non te ne sei mai accorta. La Sorte poi ha voluto che a crepare, oggi, fosse proprio Antonio, il mio fratello gemello.» Così dicendo Ciro si mise a ridere di gusto. Anna invece stava piangendo a dirotto, stava a terra, in una pozza di sangue, quello di Antonio, e stava scalciando.
«Stammi lontano, non mi toccare» Adesso gridava forte.
«Lo sai che quando alzi la voce mi fai andare in bestia» disse suo marito. Allora l'uomo si sfilò la cinta e cominciò a picchiare con tutta la forza che aveva in corpo contando i colpi che andavano a segno. «E uno, e due, e tre... e sette…» e via dicendo.
«L'erba cattiva non muore mai, dovresti saperlo.» E giù colpi pesanti sulla faccia e sulla testa.
La donna si era rannicchiata in posizione fetale ed incassava le cinghiate urlando aiuto. Aveva dei segni sulle braccia dai quali usciva parecchio sangue. Ad un certo punto Ciro fu esausto. Si fermò un attimo per riprendere fiato. Anna sembrava aver perso i sensi. Quindi si avvicinò alla donna, la prese in braccio e fu in quel preciso momento che Anna gli diede un morso, potente, che gli staccò un lembo di pelle.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ciro lasciò cadere la donna e prese la cinta poi gliela strinse forte attorno alla gola legandola alla maniglia dell'armadio. Adesso Anna era immobilizzata contro la porta disegnando un angolo di 45 gradi con le gambe piantate in terra. Cercava di mantenere una posizione eretta e, con la forza della disperazione, provava a sfilarsi la cintura dal collo. Ad un certo punto Ciro le si avvicinò sorridente, aveva una spranga di ferro, probabilmente quella del bastone delle tende che avevano in bagno. Con questa picchiò forte sulle gambe della donna fino a spezzargliele e mentre lo faceva sembrava sadicamente contento. Il dolore per Anna fu forte, atroce, insopportabile tanto che si lasciò cadere e, così facendo, la cinta si trasformò in un cappio. Tutto durò pochi secondi, interminabili sia per Anna che per Ciro che, immobile, si stava godendo il macabro spettacolo. Quando fu sicuro che la donna fosse veramente morta, andò in cucina, prese i biglietti dell'aereo, poi i vouchers con i documenti di Antonio, la sua patente, il passaporto. Lo vide morto a terra e, nonostante fosse suo fratello nonché compagno di merende, non disse niente, neanche una parola e passò oltre. Allora aprì la porta e girandosi per l'ultima volta indietro disse: «Jamaica sto arrivando» ed andò via lasciando il rubinetto del gas aperto.

Vincenzo Carriero