La missione

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2012 - edizione 11

All’inizio fu un po’ dubbioso, ma in breve tutto si dimostrò meno difficile del previsto. E anche divertente, proprio come gli era stato detto.
Il bello era che così tutti i problemi erano risolti: i conti in rosso, creditori e altre spese. Sua figlia non avrebbe più speso un centesimo per i vestiti nuovi, e avrebbe smesso di lamentarsi che le sue amiche vestivano capi firmati mentre lei faceva la stracciona.
Anche i suoi genitori sarebbero stati più contenti: niente più medicine disgustose da ingoiare o inalare, niente più paura di un cancro al minimo dolore, niente più attese negli ospedali.
E tutto perché aveva pregato.
Gli atei non capivano nulla, non erano nulla. In molti l’avevano chiamato fanatico quando aveva passato giorni interi sui banchi di chiesa a lanciare suppliche, altri lo avevano etichettato come sfaticato.
Ma alla fine Dio lo aveva ascoltato. Dio non era insensibile a chi credeva in lui, e gli aveva teso la mano.
Qualcuno bussò alla porta.
«Polizia, c’è nessuno?» gridarono dall’esterno «i vicini hanno sentito urlare, va tutto bene?».
Poi i colpi alla porta divennero più forti, come se stessero tentando di sfondarla.

«L’ora è giunta» gli disse Dio in un orecchio «come fece un tempo il vecchio Abramo, hai eseguito il tuo dovere, ma la parte difficile deve ancora venire. Tu hai fede?».
L’uomo si alzò. Tirò via con uno strattone l’ascia dal cranio di sua figlia, spargendo pezzi di cervello e capelli biondi sul tappeto. Ammirò i corpi maciullati e senza vita dei suoi anziani genitori, mano nella mano, proprio come avrebbero voluto.
«Apra per favore, altrimenti sfonderemo la porta!» gridarono gli agenti fuori.
Guardò il suo Dio, ricevendone la benedizione e un ghigno sottile.
Brandì la scure e si preparò a diffondere il messaggio ai suoi nuovi ospiti.

Riccardo Leo