CAPORETTO, 23 Ottobre 1917 (il giorno prima della disfatta)
Avevo
    freddo. Paura e freddo. Mi sentivo solo, abbandonato nonostante lo stretto contatto che la
    trincea ci obbligava ad avere l'un l'altro... Ma che ne sapevo io della guerra, di
    munizioni, di assalti, di ordini da eseguire con "sprezzo del pericolo ed amor
    patrio"... Cosa ne potevo sapere di tutto questo!... Avevo solo vent'anni!
    Ricordo solo di territori da riprendere agli austriaci; campi da coltivare e da far
    fruttare: solo un contadino come me
    conosceva l'importanza di un pezzo di terra! Ma ci avevano raccontato un sacco di bugie.
    Solo inutili favole per poveri ignoranti!
    In due anni di fronte avevo visto orrori di ogni genere. Avevo perduto un fratello più
    piccolo, un cugino e tanti, tanti amici. Anche loro semplici fanti come me, povera carne
    da macello che ingenuamente aveva creduto ad una guerra breve... guerra "lampo"
    come la chiamavano i generali e coloro che hanno studiato.
    In quei giorni ci dissero che i russi si erano ritirati e i tedeschi passavano ad aiutare
    gli austriaci; eravamo terrorizzati da quello che poteva succedere... Ma cosa potevamo
    fare? Non potevamo scappare altrimenti ci fucialavano per diserzione!
    Aspettare... non ci restava che aspettare, immersi nel fango delle trincee, con i topi e i
    pidocchi che ci divoravano a poco a poco.
    Ero un fante. Terza compagnia, seconda armata. L'estate era volata via mentre combattevo
    sull'Isonzo e da due mesi eravamo confinati tra questi monti sperduti e cattivi. Tutti
    speravamo in una licenza ma il Generale Cadorna aveva deciso diversamente...
    "Già! Il generale Cadorna, quel cane, tiranno schifoso!... Quell'ottuso animale che
    per conquistare cento metri di terra manda a morire intere divisioni! Non lo sopporto come
    non sopporto queste montagne grigie e fumose!... E non sai mai se quei fumi sono nebbia o
    gas asfissiante! I signori generali invece no! Stanno più indietro riparati nelle loro
    baracche!... Loro non assaltano e non stanno in fosse coperte di neve in inverno o ad
    arrostire sotto il sole in estate! Loro decidono e comandano! Sanno solo mandare avanti
    noi fanti in goffi assalti, spesso senza l'ausilio dell'artiglieria! E che massacri... Mio
    Dio!... Quando finirà tutto questo?"
    Stavo in silenzio di vedetta, rimuginando con ira tutti questi pensieri, quando ci fu il
    cambio di turno. Finalmente potevo muovermi un po'.
      Il cielo era plumbeo e un lieve vento gelido ci faceva rabbrividire. Su tutto un silenzio
      fermo, pesante, quasi d'attesa.
      Da lontano intravidi le baracche degli ufficiali. Loro erano in giro ad ispezionare le
      altre trincee ed i vari osservatori,
      mentre i miei commilitoni non badavano a me. Pensai allora di andar a vedere come se la
      passavano i signori comandanti, con tutti i loro agi e privilegi... Era una curiosità che
      da tempo volevo togliermi!
      Camminai chino, attento e guardingo perchè i cecchini austriaci erano sempre in agguato.
      Arrivai proprio alla baracca dei generali. Nessuno si era accorto di me. Entrai e fui
      subito accolto da un'intenso odore di sigaro: ci doveva essere stata una riunione
      importante visto che sul tavolo, in mezzo alla stanza, stava una grande mappa dov'era
      riportata l'intera dislocazione della I, II e III armata. Mi accomodai sulla sedia del
      generale Cadorna (era quella a capo tavola) e, appoggiati i gomiti sui braccioli, rimasi
      ad osservare quell'insieme di righe e puntini disegnati sulla cartina. Pensai con amarezza
      che quei puntini eravamo tutti noi... Poveri disgraziati, ormai demoralizzati, costretti a
      combattere una guerra sempre più assurda e spaventosa... Quanto desideravo tornare a
      Siena a lavorare nei campi con mio padre e i miei fratelli! Rivedere mia madre e le mie
      sorelle ed anche i miei amici, l'osteria, il mercato cittadino, i boschi e le rive del
      fiume dove andavo a passaggiare con Virginia... Per un attimo provai a chiudere gli occhi
      pensando a casa e all'odore del grano falciato in giugno ma, improvvisamente, accadde
      qualcosa di strano, di incredibile!
      Intorno a me tutto diventò rosso fuoco mentre davanti mi apparve uno sterminato campo di
      battaglia. Ovunque sangue, cadaveri, feriti che si contorcevano nelle proprie viscere e
      volti di disperati che, piangendo, allungavano le braccia implorando aiuto. Corpi mutilati
      e straziati mi si avvicinavano da ogni parte mentre il suono terribile delle
      mitragliatrici e di tremende esplosioni dilaniavano l'aria.
      Istintivamente mi gettai a terra con le mani sulla faccia cercando riparo. Riuscivo appena
      a respirare: l'odore di polvere da sparo mista a carne bruciata era insopportabile!
      Tremavo come una foglia, volevo scappare ma una poltiglia viscida di terra e sangue mi
      impediva ogni movimento. Tentai allora di aggrapparmi a qualcosa per tirarmi su, ma quello
      che afferrai era un pezzo di braccio umano rimasto attacato al filo spinato di una
      trincea. Mi sentii perduto e presto sarei morto anch'io... Ma com'era possibile una cosa
      del genere!...
      Fu in quel momento che accade un altro evento stupefacente: nonostante l'infuriare della
      battaglia, i boati, gli spari e le grida d'improvviso si quietarono mentre una specie di
      nube bianca, luminosa e tremula apparve lontana. Galleggiò veloce su tutto quel mare di
      morte. Quando mi fu a pochi metri, si scompose assumendo sembianze umane.
      Sembrava una ragazza dai lunghi capelli biondi, con una veste candida e un volto soave...
      Stava piangendo lacrime di sangue e mi guardava fisso:
      "Signor generale, la prego, la scongiuro mi ascolti!... Domani all'alba una possente
      armata austrotedesca vi atteccherà a sorpresa fra Plezzo e Tolmino proprio nel punto di
      congiunzione tra la I e la II armata! Riusciranno a sfondare il fronte qui a Caporetto e
      tenteranno di aggirare la III armata, così..."
      "Generale?! No, aspetta!..." -interruppi terrorizzato- "Io sono
      solo...."
      "GENERALE LA PREGO!!... MI ASCOLTI, LA IMPLORO!!" - gridò disperata
      l'apparizione avvicinandosi di qualche palmo mentre i fragori della guerra ricominciavano
      ad essere più intensi.
      "I suoi reparti non avranno scampo!... Sta sbagliando a disporre le sue divisioni.
      Siete troppo spiazzati rispetto al punto di attacco! La prego, per l'amor del cielo
      generale! Pensi a tutti questi poveri ragazzi!... A quanto sangue risparmiato!"
      A quelle parole fui preso dalla disperazione e, gettandomi verso quella creatura, gridai
      con quanto fiato avevo in gola:
      "Nooo!! Aspetta!!... Non sono il..." - Un pesante schiaffo mi riporto' alla
      realtà.
      Caddi a terra malamente, trasciandomi dietro anche la sedia. Mi guardai attorno confuso,
      impaurito e solo allora mi accorsi che davanti a me troneggiava l'imponente, tragicomica
      figura del Generale Cadorna. Accanto a lui altri due ufficiali e tre reali carabineri.
      "Soldato! Come ti sei permesso di entrare! Cosa diavolo fai qui!... Sai che potrei
      farti fucilare per questo!" - sbottò 
      Cadorna livido di rabbia.
      "Generale, aspetti... Ho delle informazioni importanti da riferire!... Possiamo
      salvarci se domani all'alba..."
      "Taci cane!..."- m'interruppe isterico -"Capitano, faccia in modo che
      domani questo pusillanime si trovi in prima linea 
      con i reparti d'assalto! Al primo sgarro o tentativo di fuga lei è autorizzato a
      fucilarlo sul posto! E' un mio ordine!
      Questo vale anche per voi, militi!"
      "Signorsì!" - ribatterono subito il capitano e i tre carabinieri. L'ufficiale
      mi fulminò con uno sguardo terribile.
      Subito fui afferrrato e scaraventato fuori dalla baracca. Ma non mi arresi: "Aspetti!
      Aspetti, mi faccia parlare!
      Corriamo un rischio tremendo! Domani..." - fu tutto inutile. La porta fu chiusa
      violentemente ed io mi ritrovai di nuovo nel freddo delle trincee. Fuori una piccola folla
      di commilitoni era accorsa per vedere cosa fosse tutto quello sbraitare. Più tardi, un
      caporale mi comunicò che l'indomani il comando generale avrebbe deciso se deferirmi alla
      corte marziale per insubordinazione. Non m'importava niente... Mi sentivo già morto!
      Nella mia mente solo il ricordo di quel volto evanescente, di quella voce supplichevole e
      di quell'immane massacro... Ma io ora sapevo... Sapevo cosa sarebbe successo! Ma nessuno
      mi ascoltava!... Anche i miei compagni mi risero in faccia invitandomi a berci su un
      grappino... Ero ormai solo e disperato, custode di un segreto più grande di me!
...
Arrivò la notte e per me cominciò una sofferenza atroce. La paura mi
    attanagliava al punto che quasi non riuscivo a 
    respirare. Di tanto in tanto il mio sguardo si posava sui miei amici addormentati:
    riuscivo a vedere solo cadaveri!... Ma io avrei potuto salvarli da quel terribile destino!
    Tutti avrei potuto salvare! Loro e me!... Ma nessuno mi credeva! Nessuno voleva ascoltare
    un povero, semplice fante!... Cosa sarà stata quell'apparizione: un fantasma, una fata,
    un angelo? Non lo so.
    Non capivo più niente! La mia mia mente era annientata dal terrore... Erano già le tre
    di notte, il vento ricominciava a soffiare gelido e crudele mentre un buio spaventoso
    sommergeva tutto e tutti come un grave sudario di morte...
...
Tutto andò come doveva andare!... Ci fu un pauroso cannoneggiamento che ci colse alla sprovvista. Non facemmo in tempo ad organizzare una benchè minima reazione e fummo spazzati via come topi in trappola. Quanto sangue e quanta morte! Sembrava la replica dell'apparizione! Poi... Poi, cosa successe? Non so, non rammento... Forse una specie di lampo, una grande nube e le montagne e le trincee d'improvviso lontane...
...
Adesso stranamente mi sento quieto, quasi felice. Non avverto nè
    freddo, nè paura, nè dolore! Le ferite al volto e alle braccia sono sparite... Mi
    sorprendo a ridere!
    Rivedo i miei campi con la mia famiglia intenta a lavorare e respiro a pieni polmoni il
    profumo del grano falciato di fresco.
    Su tutto una gran pace!
    Rivedo con gioia anche il fiume, i boschi e Virginia che, salutandomi, mi corre incontro.
    Anche lei è felice. Mi volto poi verso casa mia che troneggia dal poggio tra gli alberi
    d'ulivo: tra le fronde, mosse da una tipida brezza, riconosco la figura della visione:
    anche lei, svanendo a poco a poco, mi sorride con grazia...