Perdonami

Non so decidermi.
- Scusi e... quello bianco, là in fondo? E’ stupendo, potrei regalarle quello!
- Beh, a dire il vero non credo sia il più adatto. Perlomeno come cadeau di San Valentino! - sogghigna il pacioso fioraio - Sa, quello è un crisantemo, e nel linguaggio dei fiori simboleggia la morte. Forse è meglio se sceglie qualcos’altro.
In effetti non potevo presentarmi a Caterina con un emblema di morte! E’ un mese che non la vedo, a causa di quella dannata trasferta a Torino cui il boss mi ha obbligato. Farà bene a te e al tuo conto in banca, mi aveva detto, con la sua risata così piena e arrogante. Qualche centinaio di euro in più mi gonfiava il portafoglio, questo era vero. Ma ora, per scusarmi con Caterina, mi apprestavo già a spenderli tutti in regalini da innamorato. Avevo già acquistato in pasticceria una confezione di cioccolatini: era rossa, a forma di cuore, con un pomposo fiocco rosa a cingerla dolcemente. La commessa mi aveva assicurato che sarebbe bastato un leggero movimento della mano per scioglierlo. E’ romanticissimo!, aveva aggiunto.
Per me, poi, avevo acquistato un vestito elegantissimo, uno smoking bianco neve con tuba, in ‘Offerta San Valentino!’. Per lei, invece, un abito da sera nero, tutto pizzo e merletti. Un incanto di per sé, figurarsi indosso al suo esile corpicino.
- Non ha ancora deciso?

Mi ero distratto. Il fioraio mi invita con lo sguardo a scegliere un fiore. Immagino debba chiudere. Il mio orologio segna le 22.36.
- Se permette, vorrei consigliarle io un acquisto. Guardi questo!
Mi porge un fiore voluminoso, un candido avvolgimento di petali bianchi. Sembra panna montata!
- E’ una camelia. E' un pegno e un impegno ad affrontare ogni sacrificio in nome dell'amore. Le sembra adatto alla sua Caterina?
Annuisce. Mi fido, e annuisco a mia volta. Non conosco i mille significati dei fiori, ma questo ha sicuramente un aspetto meraviglioso!
- D’accordo allora, li prendo tutti! Può avvolgerli in questo, e magari fissarli con un elastico colorato?
Gli porgo il velo bianco che avevo comprato appositamente, e lui sorride. Sarò ben lieto, mi dice.

 

E finalmente sono pronto. Smoking indosso, camelie e cioccolatini nella mano sinistra, abito da sera nella destra. Mi perdonerà, certamente, ne sono sicuro. C’era stato uno spiacevole incidente, due mesi fa. Avevamo litigato: io desideravo dei figli, agognavo costruire una famiglia insieme a lei. Ma Caterina no, non era dello stesso parere. E’ un impegno troppo grande per noi, diceva. E’ meglio aspettare quando saremo pronti, quando saremo maturi. Ha cominciato ad urlare, mi ha fatto infuriare. Allora ho preso il coltello da carne che era sul tavolo, e glielo ho conficcato nel ventre. Ma è stato un incidente, e lei lo sa. Mi ha insultato, ha detto che mi avrebbe fatto arrestare. E’ comprensibile. L’ho medicata, le ho promesso di stare con lei. Ma sono dovuto partire per Torino. Sa bene che il lavoro ci è indispensabile, che non potevo rifiutare quella trasferta. Caterina infatti è stata licenziata. Era commessa in una pasticceria, adorava quel lavoro. Mi ricordo ancora quel giorno in cui era tornata a casa con un leggero sbuffo di panna su una guancia. Ecco perché i tizi sulla metropolitana mi guardavano straniti, mi aveva detto. Ne abbiamo riso tantissimo!
Poi, un mese e mezzo fa, ricevetti quella lettera dal capo di Caterina. Ci spiegava che il licenziamento era dovuto alle numerose assenze ingiustificate; o meglio, al fatto che la ragazza non si era mai presentata da due settimane a quella parte. Chiesi spiegazioni a Caterina, ma lei non mi rispose. Anzi, mi guardò imbronciata, e tenne quel broncio per tutto il giorno, e per il giorno seguente. Lo stesso, identico, invariato broncio. E non ci parlammo più per due settimane, nonostante lei continuasse a vivere in casa mia. Poi c’era stata la trasferta.
Smanio per la voglia di chiederle scusa, di parlarle di nuovo, di sfiorarle ancora le guance, di ridere con lei, di baciarla.
Sulla scia dei pensieri nemmeno mi sono accorto di quanta strada ho percorso: sono già arrivato a casa.
- Allora sei tornato, eh Francesco?
La signora Teresa, la mia vicina di casa. Una vecchiettina simpatica, sempre pronta ad impartire i più disparati consigli ai giovani che le capitano a tiro.
- Oh, come è fortunata la signorina Caterina. Avessi quarant’anni di meno, eccome se ti farei la corte giovincello! Vai, vai, non farla aspettare.
Non me lo faccio ripetere due volte.
- Caterina?
La chiamo, ma non risponde. Forse è ancora arrabbiata con me.
Ah, no eccola. E’ sdraiata sul letto. Forse dorme.
No, le palpebre sono spalancate.
- Ti sono mancato, Kat?
Non risponde. Forse devo fare io il primo passo. Apro la finestra, poi mi siedo sul letto, accanto a lei. Il broncio è scomparso, perlomeno. A dire il vero, sono le labbra ad essere scomparse.
Ma io ti amo lo stesso, Kat.
Dalle guancie smunte, qualche lembo di carne raggrinzita svolazza spinto dal vento.
- Dai, Kat, vuoi perdonarmi o no? Mi sono pentito, mi dispiace. Lo sai che non volevo farti del male. E infatti guarda, la ferita non sanguina più!
Slego le bende dal suo ventre, a fatica. Sembrano appiccate alla pelle, che viene via assieme ad esse.
Lei non guarda, continua a fissare il soffitto con sguardo vuoto.
- Hai visto cosa ho comprato, Kat? I cioccolatini che ti piacciono tanto!
Infilo con disinvoltura un dito tra le circonvoluzioni del fiocco, e con un lieve tocco lo sciolgo, lasciandolo cadere soffice sulle coperte del letto. E’ vero, è romanticissimo!
Caterina mi ignora.
- D’accordo Kat, allora ti imbocco io, va bene?
Prendo un cioccolatino tra il pollice e l’indice, e lo avvicino alla sua bocca, ancora spalancata, spalancata ormai da due mesi a questa parte.
Comincio a temere che si sia presa un brutto malanno.
Speriamo possa guarirne in fretta...

Stefano Vignati