Jacob

Jacob, al frastuono proveniente dalla strada, si svegliò imprecando. Ancora una volta il sogno meraviglioso che continuava a ripetersi ogni notte da quasi due anni si era interrotto, strappandolo a quella sensazione indescrivibile di estrema gioia che esso gli infondeva.
Ma quando, dopo il brusco risveglio, si fece ordine nella sua mente intorpidita ancora dal sonno e i pensieri affiorarono nitidi dalla nebbia in cui erano stati avvolti per tutta la notte, all'istintiva delusione subentrò un senso di soddisfazione: nonostante tutto, quello che iniziava sarebbe stato il giorno più importante della sua vita, anche se l'ultimo. O meglio, l'ultimo della sua vita reale.
Ormai il pensiero del suo sogno lo assillava, non lo lasciava un istante.
Stiracchiandosi sul letto e ritardando volutamente l'odioso momento in cui avrebbe dovuto alzarsi, ripensò ancora una volta a ciò che sognava da due anni.
Trovava piacevole addormentarsi la sera, sapendo che di lì a poco gli sarebbe apparsa in sogno la ormai familiare sala, dove, tra lo sfavillio di migliaia di luci e di gioielli, egli faceva il suo ingresso durante un'imponente festa da ballo. La sala, molto grande, era completamente priva di porte e finestre, ma non aveva nulla di asfissiante poiché era decorata con una sfarzosità tale da dare l'impressione di essere infinita. In questo scenario meraviglioso, quasi fiabesco, ricchi signori e splendide donne si divertivano, mentre la sala si riempiva di una musica soffusa, quasi innaturale, suonata da un'orchestra che però non si riusciva a scorgere.
Tra tanta bellezza Jacob faceva il suo ingresso, biondo, alto, era il più bello tra tutti i presenti; ed al suo apparire tutti si voltavano estasiati a guardarlo. Addirittura tutte le donne abbandonavano i loro compagni e si dirigevano verso di lui con un'espressione in viso che lasciava trasparire il loro stupore e la loro ammirazione.
Ma a questo punto, proprio quando stava per essere attorniato da centinaia di bellissime donne, e già assaporava le loro dolci carezze, il sogno ogni notte s'interrompeva.

Fece per alzarsi, quasi dimentico della sua condizione, ma una fitta lancinante alla gamba malforme lo fece ricadere supino sul letto.

Pensò con dolore, quasi con rabbia, a quanto fosse stata dura vivere con una gamba storpia fin dalla nascita. Ma, con un pò di fortuna, anche questa sofferenza sarebbe terminata quel giorno.
Facendo più attenzione ai movimenti che compieva, con non poche difficoltà riuscì ad appoggiare i suoi piedi storti per terra, e messosi a sedere sul letto si piegò in cerca delle pantofole, soffrendo terribilmente per la gobba spropositata che campeggiava sul suo dorso. Sollevandosi su una delle due stampelle che lo sorreggevano nei suoi spostamenti, si alzò dal letto e si avviò verso il bagno; la specchiera sopra il lavabo riflesse per l'ennesima volta il suo viso spaventevolmente devastato da cicatrici riportate in un bombardamento durante la guerra. La sua mano con tre dita si protese per prendere il sapone.

Dopo essersi vestito si diresse, animato dall'impazienza che lo invadeva, verso il suo mini-laboratorio attiguo alla cucina, nel quale passava la maggior parte della sua giornata.
Per Jacob quello era il giorno della verità: la sua miracolosa pozione poteva ormai considerarsi pronta.
Pensò, mentre apriva la porta della stanza in cui compiva i suoi esperimenti, che forse il suo era un gesto folle, non meditato, ma il dubbio lo abbandonò immediatamente quando alla mente riaffiorò il ricordo della sua esistenza, vissuta tra patimenti, delusioni e crudeli umiliazioni. Nessuno aveva mai cercato di capirlo; tutti badavano solamente al suo aspetto esteriore, senza cercare di comprendere ciò che provava, i suoi sentimenti, le sue aspirazioni.
Immaginava il biasimo di chi non aveva i suoi problemi e credeva di avere il diritto di giudicare il suo operato; per costoro egli sarebbe stato solo un vile, perché "non aveva avuto il coraggio di affrontare la vita in ogni suo aspetto, bello o brutto che sia". Ma era vita, la sua?
Non aveva mai avuto un amico né una persona con cui confidarsi, a cui dire ciò che provava. In quel modo la vita non aveva alcun senso, era assurdo questo lento morire.
Jacob avanzò deciso verso il suo tavolo di lavoro.
Con la sua pozione in mano, si guardò per l'ultima volta intorno. Di lì a qualche secondo avrebbe abbandonato questa vita meschina, grazie alla pozione che gli avrebbe permesso di vivere per sempre in quel sogno meraviglioso. L'idea gli era venuta alcuni giorni dopo l'inizio della dolce visione notturna; vivere come egli viveva non aveva senso, quindi perché non inventare una "magica bevanda", sulla falsariga degli alchimisti medievali, che gli permettesse di restare per sempre imprigionato nel sogno che lo allietava ogni giorno?
Era finalmente giunto il momento tanto agognato, e lui non voleva prolungare ulteriormente l'attesa. Bevve tutto d'un sorso.
Cadde quasi subito in un sonno profondo, e dopo un pò di tempo, che avrebbe potuto essere un'eternità o un solo istante, si ritrovò nella sala dei suoi sogni.
Tutto era uguale a come l'aveva lasciato poche ore prima, l'atmosfera sfarzosa e fantastica era la stessa dei sogni precedenti.
Al suo ingresso tutti si voltarono, come sempre, a guardarlo estasiati, ed anche la musica s'interruppe per qualche attimo. La moltitudine di donne si avviò lentamente nella sua direzione, ognuna con quella bramosia tipica del sogno.
Quelle meravigliose creature erano ormai vicinissime; Jacob, il bellissimo Jacob, biondo, alto, ormai attorniato, chiuse gli occhi in attesa dei primi baci, delle prime carezze della sua vita.
Il primo morso gli arrivò alla spalla.
Lo sbranarono in pochi secondi.

Toni Ciancio