Il buio dopo il risveglio

Quando le mie palpebre si sono aperte nel buio, una gelida oscurità, dalla quale non filtrava neanche un barlume di luce, mi avvolgeva. La notte era calata sulla mia persona e sembrava non volermi abbandonare più. Mi sentivo intorpidito, il respiro affannoso, gli arti indolenziti; soprattutto al braccio sinistro avvertivo un acuto dolore, come provocato da un lungo e sottile aculeo. Anche la mia mente era preda dell’oscurità, solo ricordi vaghi e fulminei si intersecavano in essa, dei lampi remoti e improvvisi.
In uno stato di incoscienza avevo udito la voce di Raffaele, mi chiamava forse. A distanza di quanto tempo mi era sembrato di sentirla? Forse di un’ora... o di un giorno? E perché mi chiamava? Non ricordo, sono poche le cose che rammento, c’è solo il buio attorno a me. Non sentivo solo lui però; percepivo la voce di mio padre, di mia madre, di mia sorella. Altre voci poi, che io non conoscevo, parlavano in termini a me poco comprensibili. Mi era parso di essere riuscito a cogliere, tra una miriade sterminata di vocaboli, una parola. Mi era rimasta impressa nella mente, perchè quella parola era “coma”.
Così mi ero reso conto che l’incidente che avevo avuto non era frutto della mia immaginazione. Mi ricordo ancora adesso qualcosa riguardo a quell’episodio. Raffaele era al volante, io di fianco a lui nel sedile del passeggero, le casse collocate nel retro dell’auto sprigionavano musica a tutto volume, lungo un serpeggiante e scosceso sentiero di montagna. I finestrini completamente abbassati, il vento fresco che ci sfiorava la pelle. Lui che continuava ad accelerare, io visibilmente agitato gli avevo detto di diminuire la velocità. Non mi ascoltava, o forse neanche mi sentiva, cantava a squarciagola e la sua voce era più stridula del solito. L’odore dell’alcool si sentiva in tutto l’abitacolo nonostante i finestrini spalancati. Raffaele aveva alzato troppo il gomito e ciò lo aveva reso euforico, troppo euforico. Io al contrario non lo ero, sia perchè non mi è mai piaciuto bere, sia perché avevo paura che succedesse qualcosa. Me ne ero accorto da subito del suo stato di ebbrezza, avevo insistito perchè lasciasse guidare a me, ma lui me lo aveva negato in bruscamente dicendomi che non ci poteva essere nulla da temere.
Mi ricordo ancora di quella curva affrontata in malo modo, successivamente il buio...

Di nuovo, adesso, dopo un lasso di tempo indeterminabile, sento nuovamente qualcuno che parla, tante altre voci. Le loro parole mi provengono soffocate, opache, lontane e vicine allo stesso tempo. Mi è quasi impossibile comprendere la natura di tali voci, gemiti e singhiozzi ne accentuano in maggior misura l’incomprensibilità. Chi piange? E perché?
Quelle angosciose manifestazioni di sofferenza mi spaventano, ma allo stesso tempo mi attirano, non ne conosco il motivo, ma dentro di me avverto l’irrefrenabile desiderio di voler raggiungere la fonte di quei lamenti disperati.
Cerco di muovermi, mentre faccio questo mi domando per quanto tempo i miei muscoli sono rimasti immobili e inutilizzati. Mi sollevo a fatica, poggiando con cautela le mani nella superficie rigida e scomoda sulla quale mi trovo
per non so quanto tempo con la pancia all’insù. Faccio forza con le braccia, ma appena sollevo la schiena la mia fronte cozza su qualcosa di duro. Cerco di aiutarmi col tatto per poter comprendere meglio cosa abbia impedito il mio movimento, sollevo le mani con i palmi rivolti verso l’alto, cerco di spingere, non c’è niente da fare, è come se poco al di sopra del mio viso si trovi una consistente barriera che mi impedisce di potermi alzare. Il mio scarso vigore non mi aiuta. Provo a sollevare le ginocchia semi-intorpidite, ma anch’esse incontrano resistenza. Allargo le braccia, ma anche ai miei lati ci sono dei duri impedimenti, facendo scorrere le mani mi accorgo che delle pareti poste lungo i miei fianchi mi rendono impossibile anche il movimento più elementare. Non voglio credere a ciò che mi si presenta in questo momento, sono rinchiuso, imprigionato senza apparenti vie d’uscita.
Mi trovo in uno spazio così limitato che una sensazione claustrofobica mi afferra lo spirito e il corpo, facendo sì che la velocità del mio respiro aumenti in maniera esponenziale. Sento chiaramente le gocce di sudore percorrermi la fronte e scendermi giù per le tempie, entrarmi nelle orecchie, pizzicarmi gli occhi. L’incredulità iniziale lascia spazio ad un profondo e sfrenato panico, cerco di battere sulle pareti della mia prigione oscura fino a farmi male. Lo spazio, così ridotto, proibisce alle mie braccia di poter imprimere una forza adeguata. Riesco ancora a sentire il mio nome tra pianti e gemiti ovattati, come se qualcuno mi stia dicendo che solo io posso levarmi da questa situazione. Un attimo dopo avverto chiaramente che qualcosa si muove, io mi muovo. La sensazione che una forza misteriosa mi stia sollevando non è un’illusione, passano pochi secondi, un tonfo smorzato mi avverte di essermi bloccato. Ancora altri secondi, avverto dei flebili rumori, piccoli sussulti sordi e indecifrabili si susseguono. Sento i rintocchi di piccoli oggetti che si abbattono poco al di sopra di dove mi trovo, con un fragore strozzato simile ad un crepitio. Che cosa sta succedendo attorno a me?
Man mano che il rumore si affievolisce il peso su di me pare gravare irreversibilmente. Provo ancora a battere e a gridare invocando aiuto fin quando i miei polmoni lo permettono. Non sento più niente, tutto è inutile, qualsiasi mia speranza sembra vanificarsi. Ogni cosa è inesorabilmente inondata dall’eterno buio che mi assale.
Però, per un istante, per non più di un infinitesimo di secondo mi balza alla mente un pensiero, ciò che produce il mio pensiero non mi piace per niente, mi terrorizza più di ogni altra cosa che il mio cervello possa concepire. Poco prima che la mia vita venga meno lasciando che l’oscurità prenda per sempre il sopravvento comprendo, comprendo il perché di quei pianti incessanti, comprendo dove sono, comprendo perché è così buio e stretto il luogo in cui mi trovo. Mi trovavo in coma, chissà per quanto tempo ci sono rimasto, non mi sono più risvegliato, o almeno, non l’ho fatto nel momento giusto. Ora, chiunque sta piangendo, non può sentire le mie grida di disperazione, non può, perché crede che io sia morto, e riversa lacrime di dolore, mentre vengo seppellito di terra per l’eternità.

Roberto Usala