Il bambino nella botola

La mamma mi vuole tanto bene. La mamma è solo un po’ nervosa, ma è sempre colpa mia, la faccio inquietare. A volte sono così stupido. Dico delle cose senza senso. Come quando ho detto alla suora che la mamma mi lascia tutti i pomeriggi da solo con il signore alto con gli occhiali, che abita nell’appartamento vicino al nostro.
La mamma è nervosa perché papà a volte beve, e diventa violento. Però quando è sobrio, io mi diverto tantissimo a giocare con lui. Ci rincorriamo per il corridoio, facciamo la lotta e io sono un leone della foresta, il re degli animali. Come quello del cartone animato.
Papà si lascia colpire dai miei pugni, ma non devo mai fargli male alla schiena, perché papà tanti anni fa è stato operato e gli hanno inserito una specie di computer sotto la pelle che gli fa funzionare tutti gli organi interni. Pare che il cuore di papà sia molto malato. Forse è un po’ pigro, come me. A me piace guardare la televisione tutto il giorno sdraiato sul divano. E la mamma, quando è felice e papà non la picchia, mi porta la merenda. La mia merenda preferita è: succo di frutta alla pesca e un panino con la Nutella.
Le descrizione di mia mamma è: capelli rossi – tinti, però non glielo dite, che ci resta male – camicie colorate e gonne molto corte. Dice che se le mette perché ha delle belle gambe. Papà invece le urla che è una puttana. E che io non sono suo figlio, ma lo sperma cariato di qualche cliente. Anche il vicino di casa – quello alto con gli occhiali, sempre lui – papà lo chiama cliente. E il cliente ha sempre ragione, no? Hahahahaha.
Io sono come Bart Simpson. Quello con i capelli a spazzola che va sullo skate board. Quello che fa sempre gli scherzi e va male a scuola. Infatti all’inizio di ogni puntata lui è in punizione e scrive sulla lavagna sempre cose diverse. Spesso la suora mi mette in castigo, ma non ho mai dovuto scrivere niente alla lavagna. Di solito io sto dietro, alla lavagna. Che poi è fatta di ardesia. Questo lo so. L’ho studiato. Quindi non sono proprio un asino come Bart.

Io credo che nella mia vita vada tutto bene. Non mi capitano cose brutte come al bambino nella botola. La botola in cantina.
È andata così: io prima avevo paura ad andare in cantina, era sempre così buia. Poi un giorno la mamma mi ci ha rinchiuso dentro perché ero stato cattivo con il vicino alto con gli occhiali. Ho pianto per tanto tempo, forse per dieci ore. Poi ho capito che nella cantina non c’era niente di cattivo e che invece il cattivo ero stato io. Perché il cliente ha sempre ragione, no? Hahahahaha.
La descrizione della cantina è: una scala di legno, tutta piena di tarli e che scricchiola ogni volta che ci poggi un piede sopra. Una puzza incredibile di vino. Perché, mi ha detto papà, il nonno ci faceva il vino, quando intorno a casa nostra non c’erano i palazzi, ma tante vigne. Ed erano tutte di nonno. Ora nonno non c’è più, e neanche le vigne. Ma è rimasta la puzza di vino. Quando esci dalla cantina te la senti sui vestiti e nei capelli. Come l’odore di fritto quando esci dal ristorante cinese. Prima papà ci portava al ristorante cinese Il Drago di Giada, e ogni volta la cameriera regalava alla mamma un bicchierino per il sakè – che è una bevanda tipica –, o delle bacchette per mangiare, o una sciarpa. La cameriera non parlava bene in italiano, però diceva sempre che la mamma era la più bella di tutte.
Quel giorno che rimasi venti ore nella cantina, conobbi (è il verbo giusto?) il bambino nella botola. Batteva da sotto. All’inizio mi ha spaventato. Poi sono andato ad aprirgli.
La descrizione del bambino nella botola è: capelli un po’ lunghi sulla fronte, lisci a caschetto. Denti davanti sporgenti – mi ha confessato che la mamma ha deciso di fargli mettere l’apparecchio, di quelli brutti, però, quelli d’acciaio che ti fanno la bocca come quella del cattivo di James Bond. Lentiggini impertinenti. Lo so che sono impertinenti perché le ho anche io e tutti mi dicono così. Deve essere un modo di dire, come il cliente ha sempre ragione. Hahahahaha.
Il bambino nella botola mi ha confessato che ha due genitori cattivissimi. Va a scuola dalle suore, anche lui, e spesso lo mandano dietro la lavagna perché picchia i compagni e sputa sui libri. La mamma dice che è indemoniato. Che vuol dire quando uno ha il diavolo dentro.
Io credo che il bambino nella botola viva in un’altra realtà. Come in quel telefilm de Ai confini della Realtà, dove c’è un mostro sotto il letto del protagonista, che lo difende da quelli che lo prendono in giro. Forse il paragone non è proprio calzante. Però quell’episodio è bellissimo. Mi ricordo che dopo che l’ho guardato non sono riuscito a dormire. E allora mamma mi ha accarezzato la testa e mi ha raccontato tante belle storie che mi hanno fatto calmare. Mamma dice sempre che ho i capelli troppo lunghi sulla fronte e che il taglio a caschetto non mi sta tanto bene. Però quando vado dal barbiere gli dico sempre di tagliarli così, perché a me piace. E mi dà l’idea di avere scelto il mio taglio di capelli. Come quelli che bevono il caffè al vetro o fumano una marca di sigarette sconosciuta.
La mamma del bambino nella botola lo lascia sempre da solo con un amico di famiglia. E’ alto, e allunga le mani. Lo tocca. E a volte fa anche altre cose, solo che il bambino nella botola non vuole mai raccontarmele. Dice che il padre prende dei soldi dall’amico di famiglia. Non ha capito ancora perché, ma gli sembrano un sacco di soldi. Quando chiede al papà se è per la compagnia che lui fa all’amico di famiglia, il padre gli risponde di stare zitto e che se lo racconta a qualcuno lo ammazza.
L’altra sera sono sceso in cantina di notte. Fuori c’era vento e un po’ di neve si spiaccicava contro i vetri, come i moscerini sul parabrezza della macchina di papà. Ho fatto pianissimo. Il pavimento gelato, per poco non precipitavo dalle scale. Dalla camera dei miei genitori nessun rumore. Ogni tanto mio padre russava, poi si girava dall’altra parte e le molle del letto cigolavano. Ho attraversato il corridoio trattenendo il respiro. Mi girava la testa. Mi andava di parlare con il bambino nella botola, volevo sapere se anche a casa sua nevicava. E infatti nevicava anche da lui. Le realtà si sovrapponevano (è giusto?).
Il bambino piangeva. Diceva che la mamma lo aveva picchiato sulla testa e sulla bocca. Mi toccai la crosta fresca sul labbro superiore e cercai di calmarlo. Pare che la suora avesse detto ai suoi genitori che voleva chiamare la polizia. Che c’era qualcosa di strano nel suo comportamento. Sempre colpa delle suore, gli ho detto. Sono cattive e non vogliono che i nostri genitori ci amino come sanno fare. Vogliono rinchiuderci in collegio, vogliono comandarci a bacchetta. Questo lo so perché me l’ha detto la mamma. Le suore parlano con le dottoresse che ti analizzano il cervello e decidono di allontanarti dai tuoi genitori. Questo perché sono invidiose. Loro non hanno figli. E allora vogliono quelli degli altri.
Io avevo tanto freddo, però continuavo a rincuorare il bambino nella botola perché mi faceva tanta pena.
Dal collegio te ne puoi andare solo quando hai compiuto diciotto anni, gli ho detto. Tanto tempo. Da solo, a pregare. Io per esempio non prego mai. E neanche il bambino nella botola, mi ha confessato.
Dopo un po’ si è calmato. Non piangeva più. Diceva che gli faceva male la testa. Anche a me, per poco non svenivo quando mamma mi ha colpito con il mestolo sulla tempia.
Però la mamma mi vuole tanto bene. E’ solo un po’ nervosa, ma è sempre colpa mia, la faccio inquietare.
Dalle suore non ci vado. La mamma dice che se provano a portarmi via, lei dà fuoco alla casa e ci ammazza tutti.
Papà era ubriaco, dormiva in poltrona e non ha sentito. Meno male.
Mi fa così male la testa.

Danz