La fine del Drago

L'ascesa di Alejandro Cortes è stata improvvisa e devastante quanto la sua fine: scovato dal Boca J in piena Patagonia, dove lavorava nelle immense tenute del padre e giocava a calcio nella squadretta locale, è stato subito dirottato a Buenos Aires, vincolato da una proibitiva clausola rescissoria e dal numero 9 giallo blu.
Era l'estate del 2002 e Cortes, classe 84, aveva appena 18 anni.
Centravanti potente, tecnicamente sublime e velocissimo nonostante la stazza, 1 metro e 86, non ci mise molto ad imporsi nel campionato argentino, dove il Boca vinse Apertura e Clausura, soprattutto grazie ai gol del suo gioiello, ben 29 a fine stagione.
A dispetto delle faraoniche offerte provenienti dal vecchio continente, il Boca riuscì a trattenere Cortes un altra trionfale stagione, nella quale non solo ripeté i successi della precedente annata, ma vinse anche la Coppa Libertadores, battendo in finale il Vasco da Gama in uno spettacolare 4-3 alla Bombonera, 0-0 all'andata, nella quale Cortes fu mattatore con una doppietta in pieno recupero.
La nazionale fu un passo logico, convocato a furor di popolo per la coppa continentale in Brasile, Cortes venne relegato in panchina da Crespo, fino all'epica semifinale contro i padroni di casa, storici rivali.
Entrato a quindici minuti dalla fine per gli ultimi disperati assalti, il risultato era 3-1 per i verde oro, Cortes segnò prima con un imperioso colpo di testa e mise poi, dopo uno slalom fra tre carioca, il pallone del pareggio ad Aimar.
Supplementari: il Brasile torna avanti con una punizione di Ronaldinho ma, nuovamente Cortes, fissava il punteggio sul 4-4 con un colpo di tacco alla Bettega che ammutoliva l'intero Maracanà.
Ai rigori fu il Brasile a spuntarla, ma malgrado la sconfitta, il giorno dopo, tutti i giornali proclamavano l'accensione di una nuova stella di primaria grandezza, Alejandro Cortes.
L'Europa non poteva più aspettare, Real Madrid, Juventus, Inter, Chelsea, Manchester United, tutti pronti a ricoprire d'oro il talento argentino.
Furono i nerazzurri a spuntarla, pagando ben 25 milioni di euro, nella speranza che Cortes fosse in grado di riportare a Milano quello scudetto che mancava da ben 16 anni a dispetto degli ingenti investimenti fatti alla squadra in quell'ultimo decennio (da Ronaldo a Owen).

A soli vent'anni Cortes aveva l'occasione di entrare nel firmamento calcistico, non sbagliò.
Dopo 8 partite di ambientamento nelle quali El Drago, come lo chiamavano in Argentina, segnò solo una rete, e tutti i tifosi interisti già pensavano all'ennesimo bidone, ecco che Cortes si scatena, prende a segnare come un matto, 23 reti, a offrire assist a grappoli, l'Inter conquista il suo storico 14° scudetto, Cortes ne è l'emblema, il protagonista assoluto.
La stagione successiva due sono gli obbiettivi di Cortes, Coppa Campioni e Mondiale, l'Inter ha allestito una squadra fortissima con gli innesti di Domizzi, Graffiedi ed il brasiliano Diego, nella nazionale argentina non c'è più nessuno in grado di relegarlo in panchina.
Ma Cortes va oltre ogni più rosea aspettativa, terzo in campionato con l'Inter batte il record di reti segnate in una stagione che il connazionale Angelillo aveva stabilito nel 67, 34 i suoi centri a fine stagione.
In Coppa Campioni Cortes fatica molto fino alle semifinali, due sole reti, ma l'altro sudamericano Diego lo sostituisce alla grande nel ruolo di uomo-squadra, fino alla partita di ritorno a Barcellona, nella quale Cortes si sblocca, realizza una tripletta (3-0) e l'Inter va in finale a Londra contro il Real Madrid.
Quella finale rimarrà a lungo negli occhi dei tifosi nerazzurri, già al secondo vanno in vantaggio grazie ad un autorete in mischia del madridista Pavon.
La partita si fa tutt'altro che in discesa, il Real si scatena e rinchiude i nerazzurri nella propria area per ben ottanta minuti, Portillo, Ronaldo, Raul, Robinho, Dragan sono scatenati ma ancor di più lo è la vecchia gloria Toldo, secondo portiere nerazzurro dal grande passato, titolare complice l'infortunio a Roma.
Proprio quando la diga interista sembra sul punto di cedere ecco uscire dal nulla Cortes, in ombra fino a quel momento.
Ruba palla nella trequarti nerazzurra e s'invola verso la porta avversaria, salta come birilli tutti e tre i difensori madrileni, rifilando in particolare un clamoroso tunnel a Pavon, Casillas, ultimo baluardo delle meringhe, lascia i pali per opporsi al Drago, il quale, con un chirurgico tocco di punta, gli ruba il tempo, beffandolo.
E' il tripudio, l'Inter vince il massimo titolo Europeo dopo 40 anni, Cortes a soli 21 anni viene definito il miglior centravanti della storia del calcio, meglio anche di Van Basten del quale, pur non possedendone l'eleganza, è giudicato più potente nel fisico e più abile nel dribbling.
Al mondiale in Germania l'Argentina si presenta come grande favorita, dopo la delusione del 2002 la voglia di riscatto è grande, specie se si possiede il miglior centravanti del mondo.
Nel girone i sudamericani si qualificano senza difficoltà alcuna, sbaragliando avversari come Olanda (2-0) e Messico (4-1) e rifilando una prevedibile goleada all'Arabia Saudita (6-0).
Anche gli ottavi sono una semplice formalità, troppo poco la Svezia per reggere un onda d'urto come quella argentina, 3-0 il risultato finale e doppietta di Cortes che si porta a quota 8, primo nella classifica marcatori.
Ai quarti le cose iniziano a complicarsi per l'Argentina che piega ai calci di rigore l'Italia, dopo uno scialbo 0-0 durato 120 minuti, nel quale le due squadre si sono annientate a vicenda, Cortes realizza il rigore decisivo con freddezza disarmante.
Le semifinali sono Germania-Camerun, sorpresa del torneo, e Francia-Argentina, le due grandi favorite.
Partita spettacolare quella contro i transalpini, Cortes porta in vantaggio i suoi alla mezz'ora con un discusso rigore, risponde Henry di testa da calcio d'angolo all'inizio della seconda frazione.
La partita s'infiamma, ma è ancora Cortes a decidere in favore dei sudamericani, con un azione solitaria a tagliare l'area di rigore, bellissimo colpo di tacco libera Tevez a tu per tu col portiere francese Frey, 2-1.
Finale all'Olimpiastadium di Monaco, contro il sempre più sorprendente Camerun che però non pare in grado di reggere il confronto, per i più Cortes ha già le mani sulla Coppa Del Mondo e sul Pallone D'Oro, anche perché il capitano e leader dei leoni indomabili, il difensore Sorong, è stato squalificato, al suo posto l'unico rincalzo disponibile è il diciottenne Ambam.

 

Alla fioca luce delle sei candele, lo stregone accese i numerosi incensi che lo circondavano e iniziò a salmodiare la preghiera con aria rapita ma solenne allo stesso tempo.
Si trattava di una preghiera antichissima, Vivien non l'aveva mai sentita dal vivo, anche se molte e vaghe erano le allusioni ad essa, alla sua grande potenza, alla difficoltà di controllare la divinità che evocava, spietata e sfuggente.
Lo stregone disegnò con una polvere bluastra un cerchio sul terreno, poi prese una candela ed incendiò la polvere.
Le fiamme da essa generate emanavano inquietanti bagliori violacei.
Il canto dello stregone si acuì notevolmente mentre l'uomo estraeva da una sacca un serpente nero, si trattava di una specie molto velenosa, Vivien lo riconobbe all'istante.
Eppure lo stregone lo impugnava senza timore, con entrambe le mani, lo alzò al cielo e poi lo gettò nel cerchio infiammato.
La faccia dell'uomo andava deformandosi, i suoi lineamenti le sue profonde rughe, alterandosi in quello che, secondo Vivien, poteva benissimo essere il volto della Carestia o dell'Epidemia, un volto certamente privo di umana espressione e pregno di demoniaco dolore.
Il suo canto si faceva più serrato, incomprensibile, Vivien era terrorizzato, paura assolutamente irrazionale ma violenta, lo mordeva, ma lui doveva resistere, per i suoi fratelli, per la sua famiglia, doveva salvarli e quello era il solo metodo.
Un padre fucilato davanti ai propri occhi ed un fratello morto di fame fra le proprie braccia non sono cose che si dimenticano facilmente.
Incurante degli umani turbamenti del ragazzo lo stregone continuava, imperterrito, pareva essere prossimo a raggiungere l'acme di quella folle litania.
Il serpente se ne stava immobile, assediato da quelle orribili fiamme livide.
Improvvisamente lo stregone ammutolì, calò un silenzio angosciante, un silenzio disumano, il silenzio di mille necropoli e abissi senza fine.
Vivien vide, si mise a piangere, il terrore in persona si era impossessato del suo corpo, e lui non riuscì nemmeno ad urlare, poteva solo starsene immobile a piangere, e a guardare.
Nella stanza con loro c'era qualcuno, una creatura senza forma tangibile, figlia della tenebra o forse tenebra stessa, entità eterna e malvagia, più antica dello stesso universo.
Lo stregone rideva follemente, e mentre rideva urlava un nome all'entità, quel nome.
Vivien sentì le forze, ed il senno forse, mancarli, la vista si annebbiò improvvisamente, ma prima di perdere i sensi fece in tempo a vedere il serpente contorcersi e spirare.
Damballah-ouedo aveva gradito.

 

Succede l'imprevedibile, l'Argentina non riesce a espugnare l'area degli africani, che mai come in quell'occasione dimostrarono di meritare l'appellativo di leoni indomabili, Ambam annulla Cortes con una prestazione eroica, e proprio da un pallone soffiato dal giovane camerunense al Drago riparte il contropiede della vittoria Africana, la prima nella storia del calcio, 1-0 siglato da Etoo.
Cortes esce in lacrime, e si vocifera che il fuoriclasse argentino abbia avuto dei problemi nervosi nella notte precedente all'incontro, notizia che nessuno può smentire quando, tre giorni dopo, viene ricoverato in un ospedale psichiatrico negli Usa.
Misteriosa e fulminante è la degenerazione mentale del ragazzo, nemmeno i più grandi psicologi del mondo sanno spiegare, una vera e propria psicosi generata da incubi ripetuti ed inquietanti.
Non è solo il solo cervello a risentirne, la follia di Cortes ha effetti tremendi anche sul suo forte fisico, Alejandro Cortes deperisce rapidamente e muore suicida il 7 settembre 2006, a soli 22 anni.
E' tragedia, in Argentina diventa lutto nazionale, l'Inter cambia simbolicamente gli storici colori sociali, per quella stagione, in un tetro nero uniforme.
E' stato un periodo maledetto per il calcio, in quanto pure il giovanissimo eroe del mondiale, Vivien Ambam, viene trovato in coma etilico in un bar di Marsiglia, morirà il 2 ottobre, 3 giorni dopo il ricovero in ospedale.
Anche i suoi problemi con il bere e con la droga, erano iniziati subito dopo la finale maledetta (come la chiamano in Argentina), non sono pochi i giocatori del Camerun che dicono di averlo visto "strano" dopo l'impresa.
A noi sportivi romantici non resta che il ricordo, degli occhi verdi di Alejandro e del sorriso di Vivien, ora brillano in cielo.

Marco Campaner