Il tunnel

Non so cosa sia. Non so dove sia. Se sia una cosa che mi circonda o se sia dentro di me, da qualche parte. Non chiedetemi dove, non chiedetemi come. Non so nemmeno dove sono, e fatico pure a ricordarmi chi sono. Credo di poterla chiamare sensazione, anche se con i sensi non ha molto a che vedere. Sento il dolore, la testa mi scoppia. In mezzo al buio più totale che mi circonda sento solo il freddo e l’umido sulla pelle. Sento l’odore pesante dell’aria, spessa e invisibile davanti al mio volto. Sento l’urlo di ferro, acciaio e lamiere che crollano da qualche parte sopra la mia testa.

 

Ma è diverso. Anzi, è diversa, quella che ormai ho deciso di chiamare sensazione e che mi accompagna sempre più insistente mentre cerco di avanzare. Verso dove? Inconsciamente devo aver pensato che dal momento che non vedo niente tanto vale andare in una direzione qualsiasi, e tenerla il più diritta possibile. Da quanto ho ripreso i sensi? Forse solo da qualche minuto, forse da più di un’ora. Finora mi è andata bene: niente ostacoli sulla strada, a parte qualcosa che ogni tanto urto col piede e mi fa sobbalzare. Un paio di volte ho sentito qualcosa muoversi. La seconda era molto vicina. Ho mosso bruscamente la gamba e l’ho sentita fuggire via sibilando. Non ho avuto nemmeno il tempo di riprendere fiato che sono stato invaso dalla disperazione dei muscoli indolenziti che si sono contratti nel movimento improvviso.

Di nuovo. Stringo i denti quando un’altra fitta lancinante esplode da qualche parte nella mia testa. Quando riapro gli occhi mi sembra di poter vedere qualcosa. Forme indistinte, deformate dal dolore. Forse non mi sono risvegliato da molto. Forse non è proprio del tutto buio. Forse mi sono messo in cammino solo da pochi minuti, e la mia vista comincia solo ora ad abituarsi all’oscurità. Mi fermo, mi concentro, stringo gli occhi sul nulla che mi sta davanti.
Della luce in fondo al tunnel ancora non c’è traccia.

 

Dove sei? Sono combattuto tra la speranza che tu sia sana e salva ed il desiderio di averti qui, accanto a me, nonostante il buio. A farmi forza. A modo tuo, come facevi di solito, con il suono della tua voce e la bellezza delle tue parole. Ripenso a quel giorno sulla scogliera, al sole che ci inondava, al vento che accarezzava il tuo volto sereno e ti scompigliava i capelli. Non ho mai dimenticato quello che mi hai detto quel giorno. Non ti ho mai detto abbastanza quanto quelle tue parole siano state importanti per me. Mi sembra di risentirle. Mi sembra di riuscire ad ignorare il frastuono metallico che odo in lontanza e di risentire il frangersi dei flutti che quel giorno sottolineava i tuoi silenzi.
Ma adesso ho paura. Ho paura di non riuscire piu’ a vederti abbassare lo sguardo come facevi quando avevi finito di
dire quello che mi dovevi dire. Ho paura di non sentire più il calore del tuo abbraccio. Ho paura di non vederti più.

 

Sono caduto. Mi sono rialzato. Qualcosa mi è caduto addosso dal soffito. Non ho capito cosa fosse, credo sia rotolato da qualche parte alla mia destra, ma non lo posso vedere. Il colpo è stato forte, ma sembra non ci sia niente di rotto.
Devo proseguire. La sensazione mi spinge.

 

Me ne ero reso conto subito, che non c’era nessun altro. Tra tutti i rumori che avevo sentito, nessuno sembrava avere qualcosa a che fare con un essere umano. Me ne rendo conto adesso, in maniera definitiva, quando le mie mani tremanti incontrano quelle gelide dell’essere umano in cui sono inciampato. Mi paralizza il pensiero di quanti ce ne possono essere, tutto intorno, nascosti dalle tenebre. Quanto mi sento solo, in questo momento. Talmente solo che decido di afferrare quel corpo per quello che sembra il colletto di una giacca e di avvicinarlo al mio volto. Voglio vederlo, anche se non so come in mezzo a questo buio. Per un momento penso che forse non è una buona idea, che forse non voglio veramente vedere quello che non posso vedere. Ma non importa. Il peso di quel corpo mi fa barcollare, ma lo tengo diritto davanti a me. E lo vedo. Probabilmente credo di vederlo, ma ad ogni istante che passa mi rendo conto che effettivamente lo sto vedendo. E’ giovane, forse più giovane di me, ed ha una parte del viso coperta di quello che sembra sangue rappreso. Ma non lo so. Adesso non lo vedo più. E’ stato un bagliore a permettermi di vederlo. Un bagliore che veniva da lì, dove ora mi sembra di vedere qualcosa. Forse solo il baluginare della fiamma di un fiammifero, o la fioca luce di una lampadina in lontananza. La sensazione mi dice che forse quella è la luce in fondo al tunnel.

 

Spero di essere stato abbastanza delicato nel riappoggiare a terra il corpo. Non ce l’ho fatta a portarlo con me. Ho fatto molta fatica, ma alla fine ci sono arrivato, in fondo al tunnel. Mentre mi avvicinavo, ho avuto sempre più paura di quello che temevo ci potesse essere oltre quella luce, che vedevo crescere intorno a me assieme al rumore assordante. Ho paura di quello che vedo adesso che sono fuori.

 

E’ strano, come ci rimani quando ti accorgi che quelle che erano le tue peggiori paure si sono avverate. Mentre sollevo il tuo corpo esanime tra le braccia fatico a rendermi conto che ti ho veramente persa. Penso a come mi sarei aspettato di cadere in preda alla disperazione. Di piangere.

 

Mi perdoni se non piango? Sono stanco di cadere, sono stanco di piangere. Mi guardo attorno e vedo solo mura che cadono, fiamme che urlano, persone che piangono. Io, invece, non trovo di meglio da fare che sorridere. Sì, sorridere. Proprio come facevi tu anche nei momenti più difficili. Sorrido quando il bagliore mi acceca e l’esplosione ci avvolge, facendoci volare nel suo urto devastante. Sento il sangue incandescente, le forze che mi abbandonano. Ma l’odore della carne che brucia non è nulla in confronto al soffio della sensazione di libertà che mi pervade lo spirito.

Devis Contarato

Mi chiamo Devis Contarato e sono nato a Padova nel 1975. Attualmente vivo ad Amburgo, in Germania. Scrivo nel tempo libero, anche se con intermittenza. Ho scoperto il vostro sito, ed ho pensato di ripescare questo racconto da me scritto nel 2001, ma che considero tuttora il più "noir" della mia (piccola) produzione.