Morte apparente

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

"Ditta recupero salme", dico al pompiere che apre la porta.
Entriamo, e ci lasciamo guidare in cucina. Il cadavere penzola dal lampadario, oscillando in modo impercettibile. I pompieri partono con la solfa dei dati personali della salma: nome, cognome, data di nascita. Quello che ha aperto la porta dice "era solo al mondo, non aveva parenti" e mi fissa. Si aspetta che io dica "meno male". E poi lo dico: "meno male", così lui può annuire rasserenato.
Come sempre, il capo si siede a leggere la gazzetta, mentre a me e Pato tocca il lavoro sporco. Ci mettiamo d'accordo: io sollevo il corpo; lui slega la cintura.
Do un'occhiata al suicida. Ha la pancia gonfia e tonda, come se avesse ingoiato un pallone da basket. La faccia è rossa, scura; la bocca socchiusa. Lo abbraccio frontalmente e, facendo leva sul suo sedere, lo sollevo. Succede una cosa, però. Sento il pallone da basket sgonfiarsi contro il mio petto, e contemporaneamente un fiotto d'aria fetida esce dalla bocca del cadavere, investendomi.
"Cazzo hai mangiato?" penso. Ma non lo dico, perché nello stesso istante gli occhi della salma si aprono. Urlo "MA CHE CAZZO!", e lo lascio andare di colpo. La cintura, che Pato non ha fatto in tempo a slegare, si tende nuovamente così che il corpo, ricadendo, scarichi tutto il peso sul collo. Gli occhi del tizio mostrano il bianco, mentre una noce viene schiacciata in qualche punto vicino la sua nuca. Delle briciole di intonaco mi piovono sui capelli.
"Che cavolo combini?", dice Pato.
Il capo abbassa la gazzetta e mi guarda da sopra le lenti. "Tutto a posto?" chiede.
Dico "sì, sì, tutto a posto".
"Ok, riproviamo", dice Pato.
Riabbraccio la salma e la sollevo. Dico "Oo-hissa" come un bravo boy scout: questa volta non ci saranno sorprese.

Stefano Amato