Riflessi di voce

Qualcuno ti parla, dalla stanza oltre la parete.
Lo ascolti ogni notte, immobile nella tenebra del letto. Una voce sottile, che attraversa il muro come un sussurro, accarezzandoti nella solitudine della casa. Sai già che dovrà arrivare, eppure ogni volta ti coglie di sorpresa, ogni volta ti scuote dal torpore incerto del dormiveglia. Parole che sono vento ghiacciato sulla tua pelle, parole che si diffondono nell'aria buia della camera, come un profumo.
Non hanno corpo, non hanno volto: semplici suoni che popolano le tue notti, che ti impediscono di dormire. Seminano incubi nei tuoi pensieri, scuotono le ombre dietro le cose. E sono familiari, è una voce che conosci. Confusa, attutita, eppure la conosci.
Lunghe veglie, fermo nel letto, ad ascoltare il sussurro. Cerchi nella memoria qualcosa che ti possa aiutare, un indizio che ti sveli il volto nascosto oltre la parete. Appartiene al passato, lo sai, ma non ricordi altro. Uno spettro del tempo, rinchiuso in quella stanza.
Le parole non raccontano nulla. Il loro terrore appartiene alla notte, ogni loro significato esiste solo nell'oscurità. All'alba, si dissolvono come nebbia, neppure una goccia ti rimane nella mente. Ma nel buio ritornato, filtrando attraverso il muro. Le ascolti, perché non puoi fare altro, e tremi.
Non è stato sempre così, ne sei certo. Una volta le notti erano tranquille, una volta c'erano soltanto sonno e sogni a popolarle, la casa era silenziosa. Nessuno ti parlava dalle tenebre. Nessuno parlava da una camera deserta. Puoi solo rimpiangere quell'epoca, ormai.
Il giorno è rimasto così; di giorno ogni cosa sembra sempre normale. Ma neppure di giorno potresti attraversare la porta. Neppure col sole oseresti entrare nella stanza in fondo al corridoio, chiusa da troppo tempo. La stanza accanto alla tua: da lì ti arriva la voce, superando la parete che le separa.
Qualcuno vi ha mai vissuto? Non lo sai, non lo ricordi. Nella memoria, la porta è sempre chiusa, la camera abbandonata. Eppure qualcuno ci deve essere: la persona che ti parla ogni notte, in sussurri familiari e dimenticati. Vorresti smascherarla, vorresti guardare il suo volto, ma nella tenebra ogni coraggio si dissolve. Non potresti mai affrontarlo nel buio, mentre ti parla.
E così lo aspetti, ogni notte. Giaci immobile nel letto, avvolto dal nero profondo, col silenzio che ti culla. Dal vicino campanile ti piovono inaspettati i rintocchi delle ore, a scuotere il silenzio di ogni cosa. Quando il tempo ha perso ormai ogni senso, quando le cifre della sveglia non sono che graffiti di un verde pallido e smorto, eccolo che ti raggiunge. Quel sussurro, attraverso la parete.

Respiri appena, non un muscolo si contrae sotto le lenzuola. Hai paura che il più piccolo suono ti possa tradire, possa indicare alla voce la strada per arrivare fino a te. Alla voce e alla persona che ti parla. Un suono familiare, che cancella la tua coscienza, la annulla nell'oscurità.
Anche adesso la senti, parole familiari che si diffondono nel buio della stanza. Forse cercano di dirti qualcosa, ma non le capisci. Per te esiste solo il terrore, il gelo che ti ricopre la fronte e che scorre lungo la tua schiena. Non c'è nessun altro in casa, da anni vivi solo. Eppure c'è quella voce, nella camera accanto alla tua. La camera chiusa, alla fine del corridoio.
Tremante attendi l'alba, tra gli incubi a occhi aperti che ti circondano nella tenebra. Il mattino è una benedizione, che per un attimo spezza la gabbia di solitudine e di angoscia. Luce sottile che filtra tra le fessure della tapparella, per disegnarsi sulla parete opposta. Ma a sinistra non ci sono che ombre, dove il muro ti separa dalla voce.
Non parla più, non parlerà fino alla prossima notte. Incerto, nel chiarore del giorno, fai scorrere una mano insensibile sull'intonaco ruvido. Soltanto una barriera, una barriera così piccola, di mattoni e calce. Ma cosa c'è dall'altra parte?
Non lo ricordi, forse non l'hai mai saputo. Una stanza sigillata da chissà quanto, una stanza a cui non pensi mai, se non nel silenzio della notte, quando la voce ti raggiunge. Una parte di te vorrebbe entrare, vorrebbe scoprire quello che si trova là dentro. Ma non puoi farlo di giorno, perché alla luce del sole non troveresti nulla. Lo sai, lo senti. Devi aspettare la notte. E poi?
Ti appoggi stanco alla parete. Perché tanti dubbi, perché tante domande senza risposta? Hai paura. La solitudine della casa ti pesa sulle spalle, non era mai stata così opprimente e amara, in passato. Poi è arrivata la voce e ha cambiato tutto.
È stata dura la lotta con te stesso, dura e crudele. Terrore, ignoranza, angoscia, ma alla fine sei stato costretto a cedere. Aprire la porta, di notte, e affrontare ciò che ti parla dall'oscurità. Chiunque egli sia, qualunque cosa esso sia. Affrontare quella voce così familiare, quella voce del passato, e capire il motivo della sua esistenza. Capire perché il suo suono sia così tremendo, per te.
Il tramonto arriva, col suo carico d'incertezze. Le ombre si allungano nella camera, il profilo delle cose si fa incerto, il buio inghiotte ogni colore, ogni forma. E c'è silenzio. Disteso sul tuo letto, gli occhi sbarrati, attendi paziente la voce, i muscoli che tremano. Manca poco, lo sai.
Il rintocco della campana, poi più nulla. Ed è allora che il sussurro ti colpisce, trafiggendoti. Come una pietra, ascolti inerte il terrore che risveglia in te, gli aghi sottili con cui tortura la tua memoria. È pesante l'aria, vischiosa come in un incubo, si oppone a ogni tuo gesto. Eppure ti alzi, ipnotizzato, i pensieri che inseguono chissà quale miraggio.
Le gambe sono legno, tronchi rigidi che non ti appartengono più. Cammini, barcolli, nella tenebra che riempie ogni fessura. La voce è terribile, familiare e aliena, risucchia la volontà e non restituisce che orrore. Devi sapere, solo questo ti trascina avanti. Devi.
Il corridoio è una gola di vuoto, che ti guida fino alla porta. L'ultima, incassata tra le pareti, un nero riquadro nel nero della notte. Quel sussurro è ancora più forte, adesso, più nitido nel silenzio, ma le sue parole rimangono oscure, non le capisci. Sfiori il pannello di legno, le dita tremano accanto alla maniglia. Con un respiro più profondo, l'afferri.
Il metallo è gelido contro la pelle bollente. La voce ti rimbomba nella testa, qualcosa arde nella tua memoria, qualcosa di lontano, di rimosso. Cosa ti attende, là dentro? Forse lo sai già, ma tu non lo ricordi. La stanza in fondo al corridoio, che non hai mai visto aperta. Non l'hai mai vista vivere.
Sospiri. Non puoi tirarti indietro proprio ora, non ci sarebbero più strade per te, non avresti più un luogo in cui stare. Non avresti più pace. La maniglia si abbassa, trascinando con sé la tua mano. La porta affonda nell'oscurità, si apre.
La voce non parla più.
Il silenzio è uno schiaffo in pieno volto, che ti toglie il respiro. Non eri pronto, non ti aspettavi una reazione come questa. Tenebre dentro, tenebre fuori: non c'è differenza, la stanza è identica al resto della notte. L'aria è pesante, viziata, nessuno l'ha più respirata da troppo tempo. Ma una volta c'era qualcuno, qualcuno vi ha abitato. Su questo non hai dubbi, è una consapevolezza che ti esplode nel fondo della testa. Qualcuno, che tu conoscevi...
Nessun suono, nessun movimento. Pare quasi impossibile credere che, solo pochi istanti prima, una voce riempiva quella stanza, una voce che ti filtrava attraverso il muro. Con la lentezza solenne di un incubo, muovi un passo verso il buio, allungandoti oltre la soglia. Devi sapere, ne hai bisogno.
Il cuore è un terremoto, ti scoppia nei timpani, l'unico rumore che anima la tenebra. Perché quella porta è rimasta chiusa tanto a lungo? Perché quel sussurro ti ha tormentato ogni notte? Chi era a parlare? Avanzi ancora, alla ricerca di risposte. Ormai sei dentro la stanza, l'aria polverosa si posa su te come una ragnatela. Ti guardi attorno.
C'è una finestra, nella parete esterna. Due sottili fasci di luce oltrepassano le fessure della tapparella e si spengono sul muro opposto. Li osservi, incantato: ti parlano dell'esterno, delle strade illuminate dai lampioni. Vorresti essere là, in questo momento.
Con la coda dell'occhio cogli un movimento, sulla destra. Ti giri di scatto, ma c'è solo l'oscurità a ricambiare il tuo sguardo. Tremi. Un passo, un altro passo. Un profilo nel buio, incerto, forse solo un mobile. Credi di scorgere un riflesso, ma certo t'inganni. Di nuovo ti volgi al centro della stanza.
Una mano di ghiaccio ti copre la bocca, un braccio ti cinge il petto. Ti trascinano indietro, verso la parete. Davanti a te hai ancora le strisce di luce, attraverso la tapparella. Poi, c'è solo il vuoto.
E una voce che ti parla, una voce che conosci fin troppo bene. La conosci da quando sei nato.
"Ridammi la mia vita, lurida ombra. Torna al tuo posto!".
La memoria si schiude. A lungo sognasti il mondo che esisteva oltre il vetro, il mondo che potevi solo vedere, appena fuori della tua portata, il mondo di cui ogni cosa non era che un riflesso, per te. Fino a quando non allungasti le mani per strapparglielo, giocando con le sue illusioni, il desiderio di fermare il tempo. Era davanti a te, quando lo rapisti alla sua realtà, per abbandonarlo in una prigione trasparente, dove ora dovrai tornare.
E adesso lo vedi di spalle, allontanarsi verso il presente, verso la vita che è sua di diritto, lontano dal buio di questa stanza, questo abisso della coscienza che ti ha generato. Lontano dalla tenebra, in cui un giorno scambiasti la sua realtà con la tua illusione.
Si allontana da te, lasciandosi dietro una immagine nello specchio, come un rimpianto di molti anni prima.

Adriano Marchetti