Sette ognuno

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Mi avevano sempre detto di lasciar stare i capelli bianchi, perché a toglierne uno ne sarebbero cresciuti sette. Eppure, per quanto io disobbedissi di nascosto al monito dei miei genitori, ogni volta che me ne staccavo uno sentivo un anomalo dolore che dal capo scendeva giù verso la trachea e poi, con una svolta improvvisa, raggiungeva il cuore, quella zona di me che tutti reputavano morta dalla nascita.
Soffrivo di una malattia sconosciuta. Non ero capace di provare nessun tipo di sofferenza, dicevano i dottori, né nel mio fisico né nell’animo che pulsava ebbro di una sostanza plumbea. Questo a fronte di un invecchiamento precoce che rendeva improbabile ogni mia velleità di arrivare a trent’anni.
Quel rito era per me il più naturale. Cercare una sensazione, qualunque essa fosse, di fronte a quel morbo al cui cospetto un’intera equipe di specialisti si inchinava servile.

Un giorno mi resi conto che qualcuno aveva rubato l’astuccio dove avevo raccolto tutti i miei capelli bianchi, riposti assieme ai denti perduti a soli diciotto anni.
Lo cercai per tutta la casa, fino a quando scoprii che Loredana, la mia sorellina, ci stava giocando seduta sul bordo della vasca da bagno. Per sbaglio aveva lasciato cadere dallo scarico quei miei piccoli candidi frammenti, testimonianze preziose del fatto che anch’io non ero poi così diverso dagli altri, e che potevo gioire e soffrire come tutti.
Per una volta mi sentii trascinare da una forza nera, che irresistibile mi guidava verso gli anfratti più bui del mio organismo. Le strinsi il collo con forza, lei mi guardava con gli occhi sbarrati, incapace di reagire. Quando la lasciai esanime sul pavimento, il corpo rigido ed inespressivo, mi parve strano percepire uno spontaneo singulto del mio cuore, che indicò la prima vera emozione della mia vita.

Piero Babudro

Classe 1978. Studente universitario, vive, legge, ama e sogna ad occhi aperti sotto il cielo di Monfalcone, la città dell’amianto. Adora il cinema di David Lynch, la musica dei Mogwai e dei Tool, i libri di Jonathan Coe. Di rado sorride. Cerca di vivere intensamente. O almeno ci prova.