Il lago

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Primavera. Una bella giornata di sole. Decido di fare una passeggiata in campagna. Lascio l'asfalto. Prendo una strada sterrata. Verde, alberi, sole. Mi fermo. Esco dall'auto. Vedo un casolare abbandonato. Entro. Una scala di tufo. Al primo piano, metà della costruzione è crollata. Sullo sfondo, calmo, un lago. Acque argento. Tutt'intorno, colline verde blu corrose da una nebbia improvvisa che stagna sul lago. Non una massa compatta, una sorta di fumo mobile, una nuvola sfilacciata che s'addensa e si disfa. A momenti, si dirada e rende visibile l'intero lago. Metallico, silenzioso, immobile.
Qualcosa m'attira verso quelle acque. Raggiungo la sponda. Cammino per un sentiero che accompagna il lago per un buon tratto, poi svolta nel fitto della vegetazione. Non c'è anima viva, eppure da ogni lato sento provenire un brusio sommesso, un'animazione segreta.

Mi guardo intorno; nessuno.
Nell'aria persiste un palpitare continuo, un leggero ansimare, un palpitare di migliaia di ciglia. Non un alito di vento increspa la superficie del lago. Tranquillo sfuma nella nebbia. Mi fermo. Rimango all'ascolto. Nessun canto d'uccello, nessuna eco di voce umana, di motori lontani. Solo quell'impercettibile, continuo brusio. Quell'ansimare discreto di cosa? Di... chi? Eppure il sole splende, la vegetazione è d'un verde vivo, brillante. Il lago, quelle nebbie... Deve provenire da lì, quel sospiro senza nome. Deve nascondersi tra le acque e quei brandelli di fumo che i raggi del sole non riescono a cancellare.
Scendo per un pendio verso un'insenatura del lago, laddove la nebbia si raccoglie, s'infittisce. Sciabordare calmo delle acque. Una foglia cade, tocca la superficie e resta, lenta, a galleggiare. Una mano stretta ad un ramo, l'altra protesa nel vuoto, nel fitto della nebbia. L'agito. Il fumo vortica, si scompone, ricompone. Lascio la sponda e torno tra gli alberi. Pochi passi e raggelo: è là, di fronte a me...

Giovanni Buzi