Il fiore rosso

La notte scende pietosa sul circo e sui fenomeni da baraccone, un campionario di deforme umanità, destinato all’ostentazione per occhi avidi di attrazioni. Fuggito dal suo paese dopo la guerra, Berthold ha trovato rifugio tra quella gente: col tempo, è diventato un esperto nell’allietare grandi e piccini, grazie all’accento di teutonica simpatia nel dare voce ai pelosi panni della mascotte.
Nella calura estiva indossare la pelliccia è una tortura, ma ora il travestimento giace abbandonato sul pavimento dello squallido camerino posto a qualche decina di metri dal tendone, puzzolente di rancido e illuminato soltanto dalla luce lunare che filtra dalla finestra attraverso i raggi della ruota panoramica.
L’uomo è sdraiato nudo sulle lenzuola, tutto sudato per il caldo e per la smania del momento. Atropa ha un fisico perfetto. Per effetto della luce danzante proiettata dalla lampada a olio, il colore verdastro della sue pelle è indistinguibile; ora che si è spogliata di fronte a lui e vuole farlo eccitare in ogni modo possibile, mostrandosi senza fingere un senso del pudore a lei sconosciuto, gli risulta eccitante oltre ogni limite. Voltata di spalle, offre la superba visione della schiena e delle natiche tonde e sode, poi si piega in avanti per fargli vedere la soffice peluria del sesso.
«Ti piace il mio fiore rosso?» gli chiede mentre si gira di fronte, spinge in avanti il bacino, divarica ai limiti dell’impossibile l’apertura della vulva, si infila le dita dentro con un gesto osceno ma così terribilmente eccitante.
Lui ha il pene dolorosamente turgido, un’erezione maestosa come soltanto quella ragazza è capace di procurargli. Ammutolito la guarda infilarsi le dita dentro quello che è solita definire il suo fiore rosso, tanto proibito che l’uomo non ha mai potuto assaggiarlo. «Si, mi piace» assicura sperando che almeno per quella volta gli sia concesso il piacere di affondare il membro in quelle morbide carni.
«Allora masturbiamoci insieme». Sempre quelle maledette parole, per effetto delle quali si crea una distanza insuperabile tra loro, si separano due corpi nudi e vogliosi, due bramosie insoddisfatte di sesso. Berthold ancora una volta si sente umiliato, preferirebbe aver concluso qualcosa con un’altra delle deformi creature tra quelle che avevano trovato lavoro come attrazioni del circo, magari una come la nana della biglietteria, cui pure in altri tempi avrebbe riservato un crudele trattamento. Pur aborrendo le deviazioni dalla razza ariana, trova irresistibile quella donna: starebbe ore ad ammirarla sdraiata nella teca, così fasciata da un abito aderente e circondata da rigogliosi vegetali che sembrano avvinghiarsi alle sue carni.

Ricorda per un attimo un sé stesso di altri tempi, di anni in cui era un giovane dalla folta capigliatura bionda, solito aggirarsi vestito dell’uniforme da giovane tenente in mezzo allo squallore del campo. Tra i prigionieri si vociferava di qualche residuo di umanità nell’animo dell’ufficiale nazista, che sembrava confermato quando entrava nelle camerate per dispensare sorrisi e carezze. Lui sceglieva a caso una scheletrica ragazza, offriva dolciumi fagocitati in un solo boccone di vorace gratitudine e la prendeva per mano, conducendola fuori sotto l’attento sguardo di tutti. La accompagnava verso le stalle, dove gli animali ricevevano cure migliori delle persone, ma appena richiudeva la porta la spingeva a terra, subito incombeva sopra di lei con uno sguardo carico di odio e di disprezzo, ma anche di insano appetito.

Poi torna al presente in cui persino le luride lenzuola sulle quali è sdraiato sono ingiallite dal liquido seminale, tanto questa pratica si protrae nel tempo, da quando ha conosciuto quella ragazza capace di fargli perdere il lume della ragione. Sono rare le sere in cui non si incontrano, eppure la sogna persino di notte, si sveglia con la solita erezione e si masturba pensandola. Una volta aveva confessato la turpe abitudine, con la perversa intenzione di scandalizzarla, invece la ragazza si era mostrata divertita e gli aveva chiesto con insistenza di non cambiare più le lenzuola. Sono un simbolo del desiderio che prova per lei, come gli è stato spiegato.
Quando sono insieme, l’uomo è colto dal solito, irrefrenabile quanto inappagato, desiderio di penetrarla, anzi di continuare a possederla fino al completo sfinimento di entrambi, in un’orgia di sesso incontenibile. Invece ogni volta deve soggiacere a una stupida attività masturbatoria, dalla quale soltanto lei sembra trarre un qualche piacere. Così ha deciso di ribellarsi. «Perché non ti concedi a me? Perché vuoi che continui a masturbarmi in tua presenza?».
Lei sembra rabbuiarsi, resta immobile per qualche istante in una posizione che adesso sembra più ridicola che lussuriosa al compagno. Allontanando le mani dai genitali, lascia che la pelle delle grandi labbra si richiuda morbidamente sulle carni rosee e succulente della vulva, proprio come i petali intorno al talamo. Le abili dita cessano di dare piacere alla sensibile protuberanza del pistillo, o per meglio dire del clitoride, mentre l’espressione del viso passa in pochi istanti dal godimento più sfrenato a una tristezza infinita. Nuda di fronte a lui, gli sembra adesso ancora più eccitante, per una volta vulnerabile e vicina al pianto.
L’uomo ha voglia di prenderla così e di farle male, di farla piangere davvero e di restituirle l’umiliazione ricevuta. È un pensiero crudele, ne è consapevole, eppure il membro sembra inturgidirsi ancora di più, pulsare di desiderio inappagato, chiedere di mettere in pratica il perfido proposito di violenza. Sono le innocenti parole di lei a fargli cambiare idea. «Non ti piaccio più?» gli chiede mentre due grosse lacrime scendono a solcarle le guance. «Hai deciso di rifiutarmi?».
Sono parole assurde, perché mai rifiuterebbe di fare del sesso con lei, anzi è proprio quello che continua a chiedere con insistenza. Decide di rivelare i suoi sentimenti, o quello che pensa di provare per la prima volta, così da indurla con le buone maniere a concedergli quello che gli spetterebbe di diritto.
«Allora desideri così tanto penetrare il fiore rosso? Desideri fare l’amore con me più di ogni altra cosa, più della tua stessa vita?».
E lui risponde di sì, in verità sarebbe disposto ad acconsentire a qualsiasi richiesta, purché lei lo cavalchi come nei suoi sogni, purché gli apra l’ingresso in quel regno deliziosamente proibito. E finalmente la ragazza lo accontenta. Si mette a cavalcioni, guida con una mano il pene all’interno della vulva, si lascia penetrare in profondità, quindi con un lento movimento rotatorio del bacino lo delizia con un piacere mai provato prima di allora.
Lui chiude gli occhi, assapora ogni istante di quella delizia, si lascia cullare sulle onde del godimento più sublime, si eccita ai gemiti soffocati della compagna. Riapre gli occhi soltanto quando sente un bruciore diffuso su tutto il corpo, un dolore inaudito che sembra trovare il punto di origine dai genitali. Ogni centimetro della sua pelle è ormai ricoperto di spore velenose, che aggrediscono i tessuti molli, si riproducono e si moltiplicano come parassiti. Quando comincia ad urlare, il piacere appena provato è ormai soltanto un lontano ricordo, un orrore impensabile riempie interamente gli ultimi istanti della sua esistenza.
Atropa si solleva dai resti del compagno, osservando i risultati dell’accoppiamento con cinico distacco. Ha proposto un modo diverso di raggiungere il piacere, che non fosse letale per l’uomo che diceva di amarla, ma lei porta il nome di una pianta velenosa e neppure questo accorgimento è stato sufficiente.
La masturbazione era del tutto innocua, ma Berthold le aveva chiesto con insistenza qualcosa di più, anche quando con velate parole Atropa aveva cercato di avvertirlo delle conseguenze cui sarebbe andato incontro. Eppure lui ha desiderato godere almeno una volta del fiore rosso, inconsapevole che, per essere posseduto, quel fiore proibito pretende sempre il sacrificio della stessa vita.

Gianluca Ingaramo