L'ultima notte di Ella

Quella sera Ella, così si chiamava la ragazza, in un modo o nell'altro aveva trovato ciò che cercava. Era a letto, con un sorriso rilassato sulle labbra, dopo una bella notte trascorsa con un uomo molto più grande di lei. Lo aveva conosciuto all'Holiday, un discobar della sua città. Ella non aveva mai dato troppo confidenza agli uomini, specialmente in quel periodo. In città negli ultimi mesi i giornali parlavano di numerosi omicidi avvenuti; persone tra i 20 e i 40 anni uccise probabilmente dalla stessa persona, con lo stesso modus operandi. Ella aveva un po' paura di entrare nei locali, di dare confidenza alla gente che qui incontrava. Era giovane, non aveva mai pensato alla morte. Voleva vivere. La morte era una cosa che poteva toccare solo gli altri, mai sarebbe accaduto qualcosa a lei; si sentiva quasi immortale, come lo pensa la maggior parte delle persone che non ha vissuto ancora abbastanza per invecchiare.
Ma quell'uomo l'aveva convinta, era stato molto gentile con lei; non le avrebbe mai e poi mai fatto qualcosa di male. E di sicuro non poteva essere un maniaco. Ora erano in un motel poco lontano dall'Holiday, erano stati insieme e a lei era piaciuto. Non era stato solo sesso, credeva di aver sentito quella sensazione di complicità che non è facile ottenere con uno sconosciuto. Ella era stata coccolata da lui, accarezzata, baciata. Era davvero un uomo gentile, molto gentile.

Si era infine addormentata tra le sue braccia, come un neonato cullato dalla propria madre. Ed ora era sveglia, con quel sorriso che non avrebbe voluto perdere mai. Avrebbe voluto ricominciare la nottata tutta da capo, con quell'uomo che, dopotutto, non conosceva e di cui non ricordava nemmeno il nome. Si voltò verso la parte del letto in cui egli dormiva, per baciarlo, per sentire il suo calore, ma al posto suo c'erano solo le lenzuola sfatte. La porta del bagno era socchiusa e la luce accesa rischiarava una parte della stanza da letto. Ella sentiva ancora il bisogno del suo corpo virile e maschio, voleva di nuovo sentire la sua pelle. Così si alzò, e si incamminò verso il bagno, rischiando di inciampare sui propri vestiti che giacevano sparsi sul pavimento, quando poche ore prima l'impulso sessuale era irresistibilmente alto. Sporse soltanto la testa sulla porta del bagno, con quell'aria soddisfatta e sognante, diretta conseguenza dei bei momenti passati con lui, ma il suo volto si corrucciò in meno di un secondo in una maschera di orrore.
Nel bagno c'erano schizzi rossi di sangue dappertutto. Essi colavano dalle pareti fino quasi a toccare il pavimento formando come delle lunge e raccapriccianti stalattiti. Per terra, in una scura pozza di sangue, c'era il corpo nudo dell'uomo, con il cranio sfondato e diversi tagli sul corpo. In particolare sul petto c'era uno squarcio molto lungo e profondo. Non capì il perché, ma ad Ella venne da paragonare il petto dell'uomo, il quale sembrava non distinguersi dal rosso profondo di cui era colorato il pavimento, con le divise mimetiche dei marines che si confondono nella selva. Cacciò via subito quell'inutile pensiero e si sforzò, dopo pochissimi istanti, di controllarsi e di non urlare. Se l'assassino fosse stato ancora nei pressi, sarebbe stato estremamente pericolo farsi sentire. Per una infinitesima frazione di secondo Ella si stupì di se stessa per essere riuscita a ragionare razionalmente senza entrare nel panico dopo uno spettacolo così atroce. Ma il suo corpo non era della stessa idea. Non sapeva di essere diventata bianca come un cadavere per la paura, né di avere le lacrime agli occhi, e nemmeno di essersi orinata addosso. Adesso aveva un solo pensiero. Scappare via da lì. Voleva essere lontana anni luce da quel posto, da quel sangue, ma soprattutto dall'assassino che poteva ancora essere lì vicino. Prese il suo soprabito e fece per uscire, così com'era, nuda, senza nemmeno pensare alla sua borsa, ai suoi documenti. Si infilo il soprabito e senza pensarci mise una mano in tasca. Qualcosa in quella tasca le ferì il dito, tolse quell'oggetto e lo mise davanti alla luce per osservarlo meglio. Era un grosso coltellaccio sporco di sangue, il sangue di quell'uomo, pensò. Si chiese cosa diavolo ci facesse nella sua tasca, perché l'assassino lo aveva messo lì; forse per far cadere la colpa su di lei. Ma invece di sorvolare e scappare finalmente via da lì, si soffermò a guardarlo. Quel coltellaccio le ricordava qualcosa di famigliare. Quel qualcosa la portò a pensare a suo padre. Nella mente di Ella si aprì per un lungo istante la porta dei ricordi. Pensò a papà, a quando era una piccola e dolce bambina e trascorreva i pomeriggi nel parco di casa sua con lui. Le piaceva stare con suo padre, le prestava sempre attenzione. Spesso lui giocava con la piccola Ella. Era un uomo gentile, molto gentile. Suo padre era il suo eroe, il suo uomo, mai lui avrebbe potuto farle del male, le voleva bene. Ricordò le sue carezze, le sue carezze intime. Ella faceva tutto quello che papà le diceva di fare, lei voleva essere a sua volta gentile con lui. Un giorno, però, Ella aveva provato dolore; il nuovo gioco di papà faceva male alla piccola bambina, perché suo padre era troppo grande per lei. Non voleva più giocare col papà, ma lui si arrabbiava se la piccola e tenera bambina si rifiutava, specialmente se lei ne parlava con mamma. Si arrabbiava molto. Per anni fu costretta a giocare a quei giochi che in fondo piacevano solo a papà e che a lei facevano solo male, fino a quando un giorno fu attirata dallo scintillio di una lama. Era un grosso coltellaccio che le ricordava il pugnale dei marines, anche suo padre era del corpo dei marines. Il pugnale era bello, era grande. Un giorno si mise in testa di giocare col padre e fargli capire quello che provava lei quando qualcosa di grande la penetrava. Allora Ella fece conoscere il pugnale dei marines al cuore di papà. Era stato un uomo gentile, troppo gentile, suo padre; e troppa gente in quella città aveva fatto lo stesso con lei. In quel motel, quella sera, Ella ricordò ancora una volta. Ricordò il frantumarsi di quel bel vaso cinese, trovato in quella stanza, sulla testa dell'uomo che giaceva nel bagno. L'istinto animale induce i predatori a portare le prede nella propria tana. Anche nell'uomo quest'istinto primordiale induce ad identificare il locale più intimo di una abitazione con la propria tana, dove trasportare le proprie prede. Ad Ella piacevano gli animali, le piaceva veder i documentari e scoprire i comportamenti di queste creature. Era affascinata soprattutto dagli insetti, in particolare da un insetto: la mantide religiosa. Quell'insetto il cui soggetto femmina, dopo essersi accoppiato con il maschio, lo uccide. Le piaceva attribuirsi quell'appellativo: Ella, la mantide. Sembrava quasi il titolo di un film. Così la mantide si rivestì, si pettinò e tornò sulle strade di quella città.

Matteo Boaretto