Marti

Marti si era svegliato molto presto quella mattina, aveva un lavoro da compiere un GRANDE lavoro: GIUSTIZIA... Lentamente si era alzato dal letto, e come di consueto negli ultimi tre mesi aveva iniziato a fare le sue 150 flessioni mattutine, anche se dire mattutine era un po' azzardato; dato che erano appena le 4:30 di un mercoledì di settembre. Aveva pensato per 3 mesi a quel giorno, la preparazione era stata durissima, l'attesa estenuante, ma lui aveva resistito, lui aveva un obiettivo: GIUSTIZIA...
Per chiarire le cose dobbiamo fare qualche passo indietro, diciamo 5 mesi fa, quando Marti era ancora un giovane ventitreenne felice e senza problemi. Ebbene un bel (o forse brutto) giorno Marti decise di uscire con la sua amatissima fidanzata Eva, aveva deciso che era giunto il momento di trasformare il loro fidanzamento in qualcosa di più, era felice ed eccitato e non sapeva che tutto sarebbe cambiato di lì a poco... Marti aveva incontrato come di consueto Eva e si erano baciati a lungo prima che lui le potesse dire qualche parola (erano veramente innamorati, come quelli delle fiabe!), e che parole aveva da dirle!
MARTI: "Eva mi vuoi sposare?!"
EVA: "Ti amo!"
MARTI: "Ma mi vuoi sposare?"
EVA: "Sì... Ti amo!".
Erano felici, talmente felici che ballavano quasi mentre entravano in quel caffè, si misero a progettare la loro vita futura assieme, ridevano colle bocche e coi loro occhi, si amavano. Ma quello fu un brutto giorno per loro e ora saprete perchè... Marti ed Eva uscirono dal locale e si incamminarono nella calda aria di maggio, calda come il loro amore. Purtroppo il guidatore che sopraggiungeva a tutta velocità sulla sua nuovissima berlina BMW non era della stessa opinione... Falciò Marti ed Eva ad 80Km orari... Marti passò 18 giorni di sofferenze in quel letto di ospedale, aveva riportato diverse fratture nell'impatto con l'auto pirata, ma quello che più gli doleva era il cuore, era rimasto un nero vuoto, era rimasta solo la coscienza della sua infelicità e della morte di Eva.
In seguito Marti venne dimesso e scoprì con un misto di stupore e di rabbia che il bastardo che aveva per sempre distrutto la sua felicità era rimasto quasi del tutto impunito, fatta esclusione per una multa per eccesso di velocità e per la sospensione della patente... Incredibile! Eppure era la cruda realtà...

Marti, che non potè partecipare al funerale della sua piccola Eva, il suo piccolo fiore strappato dalla umana crudeltà, decise di posare una piccola rosa sulla sua tomba.
Era una calda giornata di inizio giugno, avrebbero dovuto incontrarsi come sempre, ridere, baciarsi, pensare al loro futuro, ma gli era rimasto il niente...r iempito di una rabbia che andava lentamente tramutandosi in furia...
Fu così che Marti prese la sua decisione: VENDETTA o meglio: GIUSTIZIA per lui e per la sua piccola Eva; massacrata nel fiore della sua dolcezza... Sapeva molto del suo "obbiettivo": nome, abitazione, lavoro, orari... tutto in poche parole. Gli era bastato così poco per fare le sue indagini, era bastato avere le copie dei verbali della polizia stradale e dell'ACI, poi era passato a prepararsi... tre mesi... La pianificazione meticolosa era tutto, preparazione psicologica, fisica e tattica. Tre mesi passati a fare più di 500 flessioni al giorno, correre e tenersi occupato per non impazzire.
Purtroppo il suo obbiettivo non era una persona comune, era un'alto funzionario amministrativo e l'edificio in cui Marti doveva penetrare era a adiacente ad una caserma di carabinieri... Ma Marti non aveva più niente da perdere, era questo che lo contraddistingueva, lui poteva fare TUTTO, non aveva una vita alla quale tornare!
E così torniamo a quella mattina di settembre, Marti aveva preparato tutto il suo equipaggiamento: una tuta tattica nera, anfibi, giubbetto antiproiettile a livello di protezione IIIA (garantiva un buon assorbimento dello shock da impatto, lo aveva imparato durante il servizio militare), un passamontagna, un fucile Franchi SPAS 15 calibro12 (lo aveva comprato per andare a caccia, ma non aveva mai ucciso niente con quell'arma), 6 caricatori, 50 cartuccie 00 a forte penetrazione e un coltello Fox Defender da combattimento.
Marti era armato e preparato per quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo atto, un atto dimostrativo contro una società insensibile che sa dare solo violenza a chi vorrebbe un po' di amore e rispetto.
Scese in macchina come ogni mattina delle ultime 3 settimane (lo faceva in pieno assetto da guerriglia, dato che aveva la scusa della licenza di caccia, che tirava fuori con ogni pattuglia di polizia o carabinieri che lo fermava) in cui provava il tragitto fino all'ufficio del bastardo che gli aveva ammazzato la sua piccola Eva.
Il tragitto quella mattina fu breve, o forse sembrò così solo a Marti, che era sovraeccitato e al culmine della sua furia vendicatrice; aveva aspettato troppo tempo per avere una buona occasione.
Posteggiò la macchina in divieto di sosta esattamente davanti all'entrata dell'edificio in cui lavorave la sua futura vittima, indossò il passamontagna, prese la borsa delle munizioni, il fucile (accuratamente imbustato per non dare nell'occhio) e si incamminò verso l'entrata.
Per la testa di Marti passò fugace un pensiero, e cioè la preoccupazione che dentro l'atrio ci fosse già una moltitudine di clienti, "No! - pensò tra sè - non deve morire nessun innocente, solo lo Stato deve pagare per quello che mi ha fatto!".
Ma per fortuna era ancora presto, c'erano in tutto solo 5 persone che aspettavano ai diversi sportelli che un impiegato ancora insonnolito si guadagnasse come tutte le mattine lo stipendio....
Marti si bloccò per un istante davanti alle porte scorrevoli, sapeva che all'interno vi era un metal detector che non gli avrebbe permesso di entrare armato, con una fluidità di movimenti che stupì lui stesso estrasse il suo SPAS dalla sacca e tolse la sicura. Il primo colpo sfondò le vetrate, spargendo frammenti di vetro blindato e pallettoni in tutte le direzioni, il bossolo fumante non era ancora uscito dalla camera di scoppio che immediatamente partì il secondo colpo in direzione del piantone che crollò a terra più morto che vivo (aveva anche lui un giubbino antiproiettile ma non gli servì a molto, dato che i palllettoni gli avevano maciullato lo sterno a causa del forte impatto).
Marti restò colpito dagli effetti che quelle esplosioni avevano prodotto sugli astanti, non c'era paura sui loro visi (o almeno non ancora!), era come se la scena si fosse congelata per sempre in quel momento, nessuno si muoveva o faceva alcunchè. Ma durò poco, Marti "sentì" qualcosa che gli passava vicino alla tempia sinistra e successivamente ebbe la percezione di una macchia blu in fondo alla sala: "Una guardia - pensò Marti - una guardia giurata di merda!". Ma la guardia, che aveva voluto provare a fare l'eroe, non fece in tempo a tirare fuori dalla canna della sua Beretta M98 un secondo colpo; la scarica di pallettoni di Marti gli trapassò l'addome ed il torace sdraiandolo a terra.
Marti si avvicinò velocemente ma senza correre al tutore dell'ordine morente e disse sorridendo: "Non è niente di personale, è solo che DEVO punire lo Stato ingiusto che tu ed i tuoi compagni proteggete, quindi penso che mi scuserai se ti finisco velocemente e passo ad altro, eh?!".
Marti sparò il quarto colpo dritto in faccia alla guardia, la cui testa esplose come un frutto troppo maturo, lasciando, stupita e indenne, la sola mandibola inferiore. A questo punto - pensò Marti - bisogna fare VERAMENTE in fretta, entrare nell'ascensore e premere il tasto numero 5.
L'ascensore arrivò velocemente a destinazione e Marti uscì più rapidamente che potè non appena le porte scorrevoli dell'elevatore si aprirono sul corridoio, l'ufficio del funzionario assassino era la terza porta a destra. Un funzionario (non era quello che Marti cercava) uscì dal suo ufficio e rimase atterrito nel vedere quella specie di soldato col volto coperto da un passamontagna che avanzava verso di lui, cercò di voltarsi indietro e di scappare, ma cadde pesantemente a terra perdendo i sensi. Marti arrivò sulla soglia dell'ufficio dell'odiato funzionario, "G.D." lesse sulla targa di ottone vicino all'uscio, la sua furia montò e in un attimo abbattè la porta con un calcio ed entrò.
GD era seduto dietro la sua scrivania a compilare i moduli di valutazione dei dipendenti (coi quali sperava di far salire di grado quell'impiegata del 2° piano, che a tempo debito lo avrebbe ringraziato del favore...), quando fu investito da una marea di schegge di vetro e legno; la sua porta che andava in frantumi per effetto del calcio di Marti. GD cadde all'indietro urlando di terrore mentre Marti lo fronteggiava e col fucile tracciava una linea immaginaria dalla canna alla sua testa.
Il funzionario, dimenticando immediatamente tutta la boria che gli conferiva la sua posizione di comando, iniziò a pisciarsi addosso e a piangere per lo spavento facendosi scudo con le braccia come a volersi vanamente difendere...
GD: "Chi sei?! E' una rapina?! Cosa vuoi? Io sono solo un'impiegato, non ho fatto niente!".
Marti rispose alle sue patetiche parole sfondandogli gli incisivi con la punta dell'anfibio destro e dicendo: "Tu... bastardo! Come puoi dire di non aver fatto niente?! Tu me l'hai uccisa bastardo figlio di puttana! Era fatta per vivere con me, era dolce, era il mio amore, la mia bontà e tu l'hai distrutta!".
GD scuoteva il capo, non ricordava ancora, quand'ecco che un lampo gli attraversò il viso ormai sconvolto dal terrore e dalla consapevolezza che la sua vita era ormai giunta al termine.
Marti ebbe un momento di incertezza, chiuse gli occhi, dopotutto era un essere umano anche quella patetica massa davanti a lui, ma il pensiero di Eva e della sua tragica morte lo scosse facendolo ritornare in sè.
Prese la mira ed iniziò a serrare forte la mano sull'impugnatura dello SPAS e fece una sola domanda: "Tu razza di verme, hai un cuore o sei solo un'accozzaglia di cavi e carne? Qual è il principio fisico che tiene assiema la tua infima materia? Sai che stai per morire e questa è solo giustizia, rispondi: chi sei per avermi potuto fare quello che hai fatto?!".
GD non rispose, non riusciva più a dire una sola parola o a muovere un qualsiasi muscolo, continuava a fissarlo attonito, fu allora che Marti gli scaricò le ultime tre cartucce del fucile addosso... Quello che era rimasto dopo l'assalto dei pallettoni era ben poca cosa, una massa sanguinolenta che a fatica si sarebbe potuto dire il corpo esanime di un uomo.
Marti si sentiva strano, l'odore penetrante della cordite pervadeva l'aria e si sentiva stranamente leggero, senza più pensieri, senza più angosce; aveva compiuto quello che DOVEVA. La voce stentorea del maresciallo Mazzilli ruppe la pace effimera dell'ufficio: "Arrenditi, non fare pazzie, non puoi uscire dall'edificio, abbiamo bloccato tutti gli accessi e c'è almeno una dozzina di agenti qui fuori, arrenditi subito prima che qualcun'altro si faccia del male! Hai capito?! Mi hai sentito?!".
Marti, ritornato come per incanto alla realtà, realizzò che non aveva più via di uscita, la sua missione era compiuta e poteva lasciarsi andare... Inserì un nuovo caricatore nel fucile e mise il colpo in canna... Uscì correndo dall'ufficio, ma non fece in tempo a puntare l'arma su una di quelle divise nere, che fu colto in pieno petto da una raffica di mitraglietta, quasi perse l'equilibrio ma con le forze residue reagì prontamente sparando tutti e sei i colpi del fucile all'impazzata correndo verso il fondo del corridoio ed entrò nell'ultima stanza.
Marti era ridotto male, non come i due carabinieri che ormai erano stesi in un lago di sangue nel corridoio, ma il sangue gli sgorgava copiosamente dalla bocca e dal naso, il ginocchio sinistro era maciullato a causa di un proiettile di rimbalzo...
I carabinieri continuavano a sparare alla cieca nella stanza, demolendo i muri e l'arredamento a suon di proiettili 9 parabellum. Fu allora che Marti vide fuori nell'aria limpida di settembre Eva che lo chiamava sorridendo dolcemente come faceva sempre quando si incontravano, aprì la finestra salì sul davanzale e aprì le braccia per stringerla forte a sè.
In quello stesso istante i carabinieri fecero irruzione nella stanza e il maresciallo Mazzilli iniziò ad urlare: "Scendi da lì, scendi dal davanzale! Non fare stronzate! Arrenditi!". Marti lo guardò con un sorriso dolcissimo e disse le sue ultime parole: "Non la vedi, è lì, è il mio amore e aspetta solo me, lei sa che io sono suo per sempre. Addio.", e così si lasciò cadere nel vuoto e cadendo sorrideva e spargeva nell'aria lacrime di gioia prima di schiantarsi al suolo...

Giuseppe Di Vita

Sono Giuseppe di Vita, sono nato ad Agrigento il 6-1-1980 ma sono residente ad Asti dal 1987, frequento l'università e mi piace moltissimo leggere e  scrivere. Adoro i filoni letterari hard-boiled, poliziesco, splatter-horror e cyberpunk; conditi da dosi massiccie di musica dark e punk! Per scrivere questo racconto mi sono ispirato a fatti di cronaca (il giornalismo è un'altra mia grande passione!).