Percorrevo
    quella strada da tanti anni. Trenta chilometri all'andata e altrettanti al ritorno, da
    casa allo studio del dottor K. Dallo studio del dottor K a casa. Non erano viaggi di
    piacere ma un pellegrinaggio giornaliero dovuto ai miei problemi di salute. Soffro di
    gravi disturbi della memoria. La mia è quella che i medici chiamano amnesia di
    rievocazione di natura psicogena. Non c'è nulla che non vada nella mia testa, nulla di
    fisico perlomeno, eppure, nella mia memoria malferma, ci sono troppe zone d'ombra,
    frammenti del passato che non tornano.
    L'amnesia psicogena è legata al contenuto dei ricordi, a qualcosa che inconsciamente la
    mia testa non vuole far venire a galla. Dopo anni di malattia erano più i ricordi che
    rimanevano sul fondo che quelli che affioravano in superficie.
    A volte non riuscivo a ricordare delle piccole cose banali, particolari insignificanti
    come il posto in cui avevo parcheggiato l'auto o il mio numero di telefono. Altre volte
    invece, durante blackout sempre più lunghi, svanivano porzioni considerevoli della
    memoria, interi brandelli della mia vita che il dottor K era certo, prima o poi, di
    riuscire a ricucire. Il "prima o poi" era diventato un mese e il mese un anno, e
    alla fine, cancellata la parola iniziale di quella sua frase, mi ero rassegnato a
    convivere con il "poi" e con una memoria miope che non riusciva mettere a fuoco
    i ricordi.
    A questo punto vi chiederete come mai, dopo tanti insuccessi, non avessi provato a
    cambiare psicologo. La ragione è che avevo paura, paura di regredire immediatamente, di
    peggiorare e perdere quel poco di buono che avevo conquistato negli anni, in tanti anni di
    terapia col dottor K. Senza il suo aiuto il diario della mia vita avrebbe molte più
    pagine strappate.
Non era mia abitudine dare passaggi agli sconosciuti, sapete, con tutte
    le cose brutte che si sentono in giro! Mi spaventava l'idea di far salire in macchina un
    estraneo, anche per un breve tratto di strada. Lei fu la prima.
    Era ferma sotto una betulla con la mano protesa verso la strada. Il pollice sollevato
    indicava il segnale universale di chi ha bisogno di un passaggio. Non so dire cosa mi
    colpì di lei, so solo che non potei fare a meno di fermarmi. Era il giorno di Natale del
    1973.
    "Va in paese?" mi domandò sorridendo la ragazza.
    "In paese
 sì." Balbettai.
    "Le spiacerebbe accompagnarmi per un tratto
 vado nella sua stessa
    direzione."
    "Nessun problema."
    Aprì la portiera e salì in auto senza smettere di sorridere.
    "Mi chiamo Meredith." Disse, stringendomi la mano.
    Non ricordo il posto in cui l'accompagnai, non ricordo quasi più nulla di quell'incontro.
    Del tempo passato con lei non resta che l'immagine del suo viso, una delle poche cose che
    ancora m'impediscono di scomparire del tutto assieme ai miei ricordi difettati.
    Meridith scese dalla mia automobile e dalla mia vita soltanto pochi minuti dopo esservi
    entrata, pochi chilometri dopo, da qualche parte che ho dimenticato, lungo una strada che
    percorro da tanti anni.
    Avrei voluto rivederla, parlarle almeno un'altra volta per capire come mai un incontro
    così breve avesse tanta importanza nell'esistenza di uno smemorato. Il destino però
    aveva in serbo per noi percorsi differenti, sentieri diversi.
Tante volte ho ripercorso quella strada per cercare di ricordare ma non è servito a nulla. Una mattina, forse sopravvalutando le mie capacità intuitive, ho perfino provato ad appostarmi nel punto esatto in cui la conobbi, per vedere se quel posto riuscisse a suggerirmi qualcosa, anche un solo indizio. Quel tratto di strada era il solo particolare che ricordavo del mio incontro con Meredith. Rimasi lì ad aspettare senza che accadesse nulla, senza ricevere nessuna rivelazione fulminante che mi mettesse sulla giusta rotta per ritrovare la ragazza. L'ennesimo buco nell'acqua. Neppure l'istinto riuscì a colmare le lacune della memoria per guidarmi verso la meta di quel memorabile giro in macchina. Col dottor K provai anche la regressione ipnotica ma senza risultati apprezzabili. Lui diceva che era già un miracolo se ricordavo ancora il viso di Meredith.
Passarono gli anni, vent'anni trasparenti come i ricordi della mia vita
    da sonnambulo. Dopo l'incontro con Meredith, mi era capitato più volte di offrire
    passaggi agli autostoppisti. Un gesto istintivo che prima non era mai stato nelle mie
    corde. Avevo acquisito una maggiore fiducia nel prossimo ma sopratutto, in quel modo,
    speravo un giorno di ritrovare un'autostoppista che non riuscivo a dimenticare.
    Conobbi una variopinta teoria di personaggi su quel breve tratto di strada. Vagabondi in
    cerca d'avventura, minorenni senza patente finiti fuori strada con l'auto del padre e
    anche un rapinatore intenzionato a rubarmi il portafoglio. Oggi, ripensandoci, mi sembra
    che a quei tempi la mia memoria avesse cominciato addirittura a migliorare, e senza
    eccessivi sforzi da parte del dottor K. Molti approfittarono di quella mia acquisita
    generosità verso i pedoni bisognosi di un passaggio, molti ma non la donna che cercavo.
    Mi ero quasi rassegnato all'idea d'averla persa per sempre e alla fine, inaspettatamente,
    fu lei a ritrovare me, per caso come la prima volta.
    Era il giorno di Natale del 1993.
    Lei era ferma sul ciglio della strada, nello stesso posto in cui l'avevo conosciuta,
    vent'anni prima.
    La cosa più insolita, più insolita perfino delle circostanze di quel secondo insperato
    incontro, fu vedere che per lei il tempo sembrava non essere trascorso. Non una ruga sul
    suo viso, non un segno che dimostrasse il trascorrere degli anni sulla sua pelle.
    Accostai l'auto al ciglio della strada e abbassai il finestrino.
    "Ciao!" le dissi, cercando di mascherare l'entusiasmo.
    "Ciao." Rispose lei.
    "È passato così tanto tempo e tu", la mia voce tremava, "
 tu non
    sei cambiata per niente!"
    "Credo mi stia scambiando per qualcun altro", si affrettò a ribattere
    imbarazzata. "Ci conosciamo forse?"
    "Beh, sì
 una volta ti ho dato un passaggio
"
    "Mi spiace ma non ricordo." Sembrava sincera. "E poi di solito non faccio
    l'autostop
 è solo che questa mattina la mia automobile non vuole proprio saperne di
    mettersi in moto!"
    "Capisco. È passato così tanto tempo eppure, nonostante i miei problemi di memoria,
    il tuo volto non l'ho mai dimenticato
 per venti anni!"
    La ragazza arrossì imbarazzata, poi ricominciò a parlare.
    "È evidente che sta confondendomi con un'altra persona, io ho compiuto vent'anni il
    mese scorso!"
    Rabbrividii.
    Forse si trattava solo di un eccezionale caso di somiglianza, forse per un bizzarro caso
    del destino, mi ero imbattuto nella sosia di Meredith o forse
    La feci salire in macchina. In fondo andava nella mia stessa direzione.
    "È di queste parti?" domandai incuriosito.
    "No, sono in paese solo da un paio di giorni. Mia madre però viveva qui."
    "Sua madre?!"
    "Sì
" rispose. "Probabilmente è lei che ha conosciuto. Dicono che mi
    somigliasse moltissimo, si chiamava Meredith!"
    Il suono di quel nome mi fece trasalire e faticai parecchio per impedire alla macchina di
    sbandare e di uscire fuori dalla carreggiata. Non dissi niente però, tutto era così
    assurdo.
    "Precisamente dove devo accompagnarla?" le chiesi, rompendo finalmente un
    silenzio angoscioso e soffocante.
    "Se non le spiace vorrei essere lasciata nei pressi del lago. È lì che sto
    andando."
    Un altro brivido.
    Fu allora che mi accorsi delle margherite che teneva strette in un pugno.
    "Sono per mia madre." Mi disse, accorgendosi dei miei occhi che indugiavano su
    quei fiori.
    L'accompagnai dove voleva. Il lago mi metteva soggezione ed era forse per questo che non
    ci andavo da tanto tempo. Da vent'anni.
    Parcheggiai poco distante dalla riva, spensi il motore e scesi dall'auto per aprire la
    portiera alla ragazza. Lei mi ringraziò con un cenno del capo e poi, senza dire una
    parola, si diresse verso il lago.
    Fece qualche passo sulla sabbia umida e alla fine si fermò in un punto che sembrava
    conoscere bene. Dopo aver esitato per qualche istante, decisi di raggiungerla. Lei
    piangeva. Aveva poggiato i fiori ai sui piedi, davanti ad un lapide.
    "È qui che l'hanno trovata
" mi confessò commossa con un filo di voce.
    "Uccisa da uno sconosciuto, un assassino che non hanno mai preso!"
Oggi non ricordo quasi più nulla di quello che faccio, mi sveglio ogni
    mattina senza avere memoria dei fatti del giorno prima. Dimentico tutto eppure, mio
    malgrado, non riesco a dimenticare quella ragazza e quel nome sulla lapide ai margini del
    lago. Ci sono troppe cose del mio passato che non ricordo e credo sia meglio così.
    Da quel giorno non sono più in cura dal dottor K. Non do più passaggi agli
    autostoppisti.