Questa vecchia città che è la mia da sempre
    qui sarà ancora dopo di me.
    East side west side, come ti sei ridotta
    ma ancora ti conservo nelle ossa
    (The Michael Stanley Band)
"TU NON MORIRAI. C'È QUALCOSA CHE DEVI FARE PRIMA DI POTER
    RIPOSARE IN PACE."
    Quella voce gli rimbombò nella testa.
    Era sdraiato sulla terra nuda, i suoi vestiti lacerati. Stava piangendo.
    Non capiva più niente, né tanto meno perché si trovasse lì, in un cimitero, nel cuore
    della notte.
    Le lacrime gli scendevano giù per le guance.
    "TU SEI IL MIO ANGELO STERMINATORE, IL MIO MIETITORE DI ANIME" di nuovo quella
    voce.
    Gli sembrò che provenisse da ogni luogo, ma forse era solo dentro la sua testa. In quei
    momenti era disperato, e non ragionò affatto su quella voce, e sull'inquietante
    significato di quelle parole.
    Nella sua mente in frantumi apparve una figura. Il volto di una donna, i capelli nerissimi
    e gli occhi di un azzurro scintillante. Non sapeva chi fosse e, in quelle condizioni, non
    era certo in grado di riflettere molto. Ma in qualche modo lo intuiva.
    Qualcosa gli brillò nella mente. Un'immagine. Gente, molta gente. Lo osservavano. Una
    luce intensa, un dolore penetrante. Poi più niente.
    A quest'immagine un acuto urlo, disumano, fuoriuscì dalla sua bocca.
    Cercò di alzarsi in piedi, ma riuscì appena a mettersi in ginocchio che ricadde
    pesantemente a terra.
    Si trascinò per alcuni metri con le mani. I suoi occhi percepivano molto bene l'ambiente,
    nonostante fosse notte fonda, e riusciva a vedere con una chiarezza come se fosse giorno.
    Fece un nuovo tentativo, e, con molta fatica, riuscì a mettersi in piedi. Tentò qualche
    passo, barcollando. Stava riacquistando un po' di lucidità. Si diresse verso l'uscita del
    cimitero.
    Scavalcò la pesante cancellata di ferro e fu sulla strada. Un pipistrello si avvicinò a
    lui, svolazzandogli intorno. L'uomo si ritrasse, all'inizio ne ebbe paura, ma solo
    all'inizio. Lo riconosceva, come qualcosa di familiare.
    Aveva iniziato ad abituarsi a camminare. Stava iniziando a piovere, ma lui non parve
    curarsene. Continuava a vagare per strada, senza meta, tremante per l'intenso freddo di
    dicembre. Si accorse che i suoi abiti erano lacerati e strappati.
    Accadde qualcosa che accese di nuovo la sua mente, una scintilla di memoria, un barlume di
    lucidità improvvisa. Una nuova immagine. Degli uomini. Ma non erano proprio uomini,
    avevano qualcosa di strano. Sangue. Urla. L'immagine svanì. L'uomo si lasciò cadere a
    terra, sotto la pioggia sferzante.
    Si rialzò. Un grosso orologio attirò la sua attenzione. Segnava anche la data. La
    guardò con occhi sgranati. <<27... dicembre... 1992>> la sua voce era poco
    più che un sibilo. <<Quattro anni... sono passati quattro anni.>>
      Con un'andatura più veloce si avviò in uno stretto vicolo. Dopo alcuni minuti arrivò
      davanti ad una casa di periferia, disabitata. Non fu difficile scardinare la serratura
      arrugginita, e non si preoccupò di richiudere la porta alle sue spalle. Entrò.
      Oltrepassato il salotto, salì per le scale. Conosceva benissimo quel posto. Era stata la
      sua casa. Andò subito in camera da letto. Osservò lo specchio. La sua immagine riflessa.
      Non è vero che gente come lui non si riflette negli specchi, sono tutte dicerie.
      Il suo volto era totalmente sfigurato. Subito sotto gli occhi, e giù fino al mento la sua
      pelle era tutta cicatrici e graffi. Si toccò la carne con la mano. Notò che era
      irregolare e secca. Restò davanti alla sua immagine riflessa per alcuni secondi, prima di
      essere colpito da una fotografia incorniciata. Lo ritraeva abbracciato ad una donna, con
      una bambina di alcuni mesi tra le braccia. La sua famiglia. Davanti a quell'immagine
      ricordò tutto.
      Era successo tre anni prima, durante la notte di Capodanno. Lui e sua moglie avevano
      festeggiato l'arrivo del nuovo anno insieme con alcuni amici. Erano circa le tre di notte
      e dopo la grande euforia di mezzanotte, stavano rincasando. Li assalirono. Avevano
      spranghe di ferro e coltelli. Ma non erano le loro armi a fare paura. Erano i loro
      denti... i canini...
      Nessuno di loro sopravvisse. Quei bastardi li uccisero tutti, anche la loro figlioletta,
      che non aveva ancora compiuto due anni.
      L'ultima immagine che ricorda è quella di uno di quei mostri che affondava i denti nel
      suo soffice collo. Poi il nero più assoluto.
      Una figura vestita di nero apparve ai suoi occhi. Indossava una tonaca scura, il capo
      coperto da un cappuccio. L'uomo capì chi era.
      IO SONO...
      La figura si tolse il cappuccio.
      LA VITA!
      E sotto il copricapo apparve di nuovo il volto di quella donna bellissima, quasi...
      magica. Era sicuro di non averla mai vista prima, ma era come se la conoscesse da sempre.
      E adesso si rese conto di ciò che era diventato. Era come loro. Era...
      "Un vampiro" gli suggerì la mente. A quel pensiero si lasciò cadere per terra,
      ed iniziò di nuovo a piangere...
      <<No... No... Nooooooo!>> Urlò. Fu allora che capì cosa doveva fare. Con uno
      scatto felino si alzò. Premette il pulsante dello stereo, e una musica dai ritmi metal
      uscì dalle casse, il volume al massimo.
      Il non morto (non si poteva definire altrimenti) andò in bagno, e infilò la testa sotto
      la cannella. Si passò l'acqua tra i lunghi capelli corvini, ripulendoli dallo sporco, e
      dai residui di terra. Scosse la testa più volte, come per asciugare i capelli, schizzando
      d'acqua le pareti.
      L'heavy metal continuava a rimbombare nella stanza. "I have constant fear that
        something's always near" cantava Bruce Dickinson, mentre la chitarra elettrica
      risuonava acuta nella stanza.
      L'uomo si tolse la giacca strappata e lacera e la gettò per terra. Si tolse anche la
      camicia, e rimase così a torso nudo. Aprì l'armadio in camera, e scelse una maglia
      aderente, interamente nera, per niente adatta al pungente freddo invernale.
      Have you run yours fingers down the wall
      Si sfilò le scarpe bagnate e si sbottonò i pantaloni. Li tolse. Allungò la mano verso
      l'armadio, e prese un paio di pantaloni texani, in pelle e se li infilò.
      Have you ever been alone at night
      Afferrò un paio di stivali neri, di cuoio, con la fibbia metallica e li calzò.
      Adesso era pronto.
      No, non ancora. Gli tornò alla mente ciò che aveva visto nello specchio.
      The unknown troubles on your mind
      Da un cassetto dell'armadio estrasse una sciarpa nera, e, situatosi davanti allo specchio,
      lentamente, quasi facesse parte di uno strano rituale, se la legò dietro il collo,
      lasciando scoperti solo gli occhi azzurri e la fronte, e coprendo la parte del suo viso
      sfigurata, da sotto gli occhi, e giù, fino alla gola.
      Prese un impermeabile di pelle dall'attaccapanni, e lo indossò.
      You sense, and suddenly eyes fix
      Era lui il fantasma. Il fantasma vendicativo, che agisce nascosto, in agguato nella notte,
      ma che lascia sempre dietro di sè una traccia del suo passaggio.
      Aveva bisogno di un nome. Non era più l'uomo che era stato, era qualcosa di nuovo. Il suo
      pseudonimo non sarebbe servito come nome di battaglia, né per nascondere la propria
      identità. Semplicemente per cancellare il passato, per iniziare da capo.
      Aveva già scelto il suo nuovo nome.
      Adesso era deciso, pronto per la sua missione. Si avvicinò alla finestra e scrutò la
      notte, le stelle.
      Fear of the dark, fear of the dark
        I have a phobia that someone's always there!