Il capo del capo

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003

Fa un caldo infernale, quel tardo pomeriggio d'agosto. Venerdì, ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. Gabrielle, la donna delle pulizie, incrocia i ragazzi dell'ultimo piano. Sono allegri, vivaci, felici. Lei, ormai anziana, sola come una cagna, sciancata, piena di acciacchi e rimpianti. Sale sulle scale, con quel suo grembiulone pieno di patacche, madida di sudore, trascinando la scopa, il secchio, i sacchetti, l'alcool: tutte le armi del suo meschino mestiere. Il capoufficio non le piace. Potrebbe essere suo figlio, ma ha quella faccia da nazista che ti manda al forno crematorio con un sorriso. E per di più è schifosamente pieno di forfora. Non capisce come i ragazzi facciano a sopportarlo. Già: ma fino a quando lo sopporteranno? Anche il caldo è insopportabile, giungono zaffate d'afa, sembra di essere in un porcile con il riscaldamento a mille gradi.

Ancora pochi, sudici gradini, per arrivare all'ultimo piano. Silenzio. In ufficio, solo il capo è rimasto a lavorare, con i suoi occhialini pieni di ditate di fronte a quell'odioso computer.
Entra, aspettandosi il solito gelido saluto: "Ciao, vecchia!". Ma non c'è nessuno alla scrivania, il computer frigge in beata solitudine. Meglio così.
Gabrielle comincia a svuotare i cestini dell'immondizia. Il primo è proprio quello del capo, come sempre. Nel cestino trova il capo del capo. Proprio così. La testa. Mozzata, di netto. Solo la testa. Il capo del capo. Fa ridere, pensa.
C'è del sangue. Fa schifo, ripensa. Gli occhi sbarrati e la forfora nei capelli. E' immondizia.
Apre il sacchetto e ci mette dentro la testa. Poi apre anche la finestra. Venerdì, l'ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. Fuori sente le voci dei ragazzi dell'ultimo piano. Sono allegri, vivaci, felici. Vivi.

Cristiano Tassinari