Daemon

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003

Dalla fessura delle imposte penetrava un filo di luce, proiettato da un’alba pallida e primaverile.
Il dolore la fece arricciare su se stessa fino a toccarsi le ginocchia con le mani per poi abbandonarla a fitte penetranti all’altezza dei reni.
Quando la coperta si scostò, scalciata via nella foga dell’ennesimo dolore lancinante, da una delle gambe esili della donna sdraiata nel letto, una pancia segnata da meridiani e paralleli di cellule pigmentate si defilò gonfia e fremente. Le mani artigliavano le lenzuola quando una nuova contrazione arrivava a scuoterle il fisico, mentre gemiti di disperazione le uscivano dalle labbra socchiuse e inaridite dallo sforzo.
Lo vedeva ancora nitidamente davanti a sé, in uno dei pochi ricordi coscienti che le era rimasto da quella maledetta sera. Lui che le cingeva i fianchi e la fissava con quegli occhi neri ed irreali, mentre le sue pupille acquisivano una profondità inquietante e la tuffavano in un mondo fatto di fiamme dai colori iridescenti. Un mondo dal quale lei avrebbe voluto fuggire, ma nel quale lui l’aveva ingabbiata con quello sguardo satanico. Due settimane dopo il medico aveva confermato la gravidanza in atto, e in pochi giorni l’essere aveva cominciato a farsi sentire, violento e indomito dentro al ventre.

La pelle tesa si muoveva ad ondate spinta da una forza sottostante che la spostava, la strattonava, la maltrattava. Improvvisamente si lacerò, tutto intorno all’ombelico, trasformandosi prima in segni rossastri e poi in vere e proprie ferite, che, lacerate, sanguinavano e pulsavano.
Il grido attraversò la stanza, ma nessuno la sentì. Non la sentirono invocare aiuto, né urlare di dolore quando gli artigli sottili perforarono e dilaniarono la muscolatura addominale per farsi largo all’esterno, né udirono il gemito diabolico dell’essere, che liberatosi dal bozzolo di quel corpo umano, prendeva confidenza con il mondo.

Stefania Costi