Le voci dell'ultima notte

Lo guardai allontanarsi sfrecciando veloce su quella sua vecchia auto che slittava paurosamente sulla carreggiata lucida di ghiaccio, lo osservai mentre si lasciava alle spalle le mie cupe montagne spruzzate di neve per la "bassa" ovattata di nebbia, lo seguii con lo sguardo mentre mi abbandonava sola sulla banchina di quel marciapiede cosparso di cumuli di neve sporca.
Lo guardai allontanarsi simile all'ultima inquadratura di un vecchio film e le lacrime che cominciarono a colare sulle mie guance bianche come madreperla si trasformarono in rivoletti di ghiaccio e scivolarono lungo il mio viso come le scie danzanti di due fate gemelle che si avvicinavano al punto di rottura del mio cuore spezzato.
Ma non si muore per amore - così mi avevano sempre detto- e anche stavolta sopravviverai; così mi dissi e allora mi voltai verso l'ultimo raggio violetto del crepuscolo che sfiorava le cime dei monti argentei di neve.
Lassù, da qualche parte, verso quelle montagne avrei forse trovato la pace per inseguire il mio sogno d'amore, quel sogno che a me sembrava così impossibile da realizzare.
Credevo che l'amore sconfiggesse ogni male, che esistesse realmente quella passione, in cui due persone erano unite e niente poteva separarle, neppure l'oceano e le montagne.
Eppure bastavano un po' di chilometri, un po' di problemi, poca voglia di crescere insieme e conoscersi per spezzare quella che a me era sembrata una vera Passione.
Eppure, per molti istanti sarei ancora stata convinta che lui mi avesse amato veramente e che, in qualche modo, mi amasse ancora anche se mi aveva abbandonata sul marciapiede in quel gelido crepuscolo invernale.

Era la notte di San Silvestro. Quella sera gli amici mi avevano invitato a una festa da uno di loro che possedeva una casa in montagna. La solita cena, qualche petardo e magari concludere la nottata in qualche discoteca sull'Appennino modenese per rientrare poi a giorno fatto, stanchi e infreddoliti. Non avevo voglia di andarci, ma non avevo molte alternative; non intendevo stare in casa a piangere su un amore finito e disperso nel vento, dovevo alzare la testa e lanciare il mio sognante sguardo color di giada oltre il confine delle oscure nontagne che ammantavano la mia anima. Lui non sarebbe tornato da me, ne ero certa, eppure avevo scorto una parvenza di lacrime in quei suoi occhi d'ambra e nocciola come la folle promessa di un domani migliore.
Ma quella notte non avevo la forza di sperare.

 

La serata si dimostrò monotona e noiosa. Dopo la cena e il brindisi non si sapeva più cosa fare quindi qualcuno propose di andare a ballare. Io non ne avevo voglia, volevo starmene in pace quella sera e fu così che solo una parte andarono a ballare; io, con altri tre ragazzi rimanemmo a casa. Era rimasta con me una coppia che si scambiava tenerezze davanti al camino acceso e il padrone di casa che strimpellava la sua chitarra seduto sul vecchio divano di velluto della sala.
Infastidita e tormentata non mi restò che recarmi sul balcone per sfuggire per un istante a quelle piacevoli scene che mal si accordavano col mio animo in tumulto.
Fuori faceva molto freddo - circa 4 o 5 gradi sotto zero - e io non indossavo che una camicetta e un cardigan azzurro cielo. Mi strinsi le braccia attorno al corpo. La notte era limpida e fredda; la luna tesseva ricami d'argento sui rami degli abeti e la neve sembrava un manto di candido broccato cosparso di diamanti. Le stelle inargentavano il manto oscuro e vellutato della notte.
Animali notturni occhieggiavano dai loro ripari cavernosi e lanciavano i loro acuti richiami - era un lupo, questo? - che si perdevano nella notte.
Avrei tanto desiderato che lui si fosse trovato con me in quel momento, averlo accanto che mi stringeva fra le braccia e che lodava i miei occhi che tanto lo avevano colpito "I tuoi occhi nella notte sono grigi con tracce azzurre e verdi come l'oceano in burrasca".
Spiai la notte e sentì d'improvviso un dolce calore attorno a me come se davvero lui fosse stato lì n quel momento… e lui apparve!
Alto, sottile, dinoccolato, con quella sua andatura inconfondibile, quel suo viso strano dal fascino esotico, quei suoi occhi scuri come marmellata di castagne, quel suo timbro particolare della voce… Era lui, era tornato per me.
Non disse una parola. Si avvicinò alla baluastra del balcone, e guardandomi a lungo nei miei occhi, di nuovo colmi di lacrime, mi porse la mano. La afferrai come se fosse ancora di salvezza e scesi i pochi gradini che ci separavano. E fui tra le sue braccia…
… Mi trascinò verso il bosco innevato, laggiù dove fate e folletti ci spiavano fra le fronde inargentate di neve e il freddo non pareva più scalfire il mio cuore, non lo avvertivo più; sentivo solo un'immensa felicità mentre il bosco si animava di leggendarie creature e si illuminava a giorno facendoci piombare anni luce da quel luogo, all'interno di una misteriosa fiaba celtica in cui gli unici protagonisti eravamo noi due e il nostro amore.
Fu come vivere un dolce sogno, quegli istanti vissuti insieme…

 

Seppi in seguito da un amico comune che, colpevole il ghiaccio del manto stradale e, forse, un po' anche per i sensi di colpa, mentre tornava a casa nel pomeriggio aveva sbandato nei pressi di una rotonda e si era schiantato contro un albero. La morte era sopraggiunta sul colpo, non aveva sofferto.
Era il 31 dicembre dell'anno xxx…
Quella notte che salutava il nuovo anno era riuscito a giungere fino a me per farmi capire che mi aveva sempre amata ma, che a volte, ci sono persone che, per un capriccio del Destino, non sono destinate a stare insieme.
Era tornato a salutarmi, per specchiarsi ancora un'ultima volta nei miei occhi prima di gettarsi per sempre nella misteriosa infinità del silenzio.

Rossella Bucci