Solo nel buio

Gocce di pioggia tintinnano fitte contro i vetri, colando lungo la loro superficie come lacrime copiose.
Il bambino si allontana rapidamente dalla finestra; il suo viso denota una forte preoccupazione.
Proviamo a curiosare tra i suoi pensieri, per capire che cosa lo tormenta.

 

L'hanno fatto di nuovo. Sanno che ho paura di rimanere a casa da solo, specialmente in una notte come questa, flagellata dalla furia del temporale.
I miei genitori se ne infischiano dei miei timori. Sono stati invitati ad una festa e non hanno pensato neanche per un momento a rinunciare oppure a portarmi con loro.
Mi hanno dispensato le solite raccomandazioni: "Mangia quello che ti abbiamo lasciato in frigo, guarda la televisione e vai a letto presto".
Facile a dirsi; non riuscirò assolutamente a dormire.

Il rombo di un tuono squarcia il silenzio della casa: il bambino corre a nascondersi sotto il tavolo del salotto, rischiando nella foga di mandare in frantumi alcuni preziosi cimeli disseminati nella stanza. Per alcuni secondi il suo corpicino è scosso da tremiti, accompagnati da singulti strozzati.
Lentamente inizia a calmarsi e una nuova espressione si fa strada sul suo volto.

 

Ho ancora tanta paura, ma mi rendo conto anche di qualcos'altro: il mio stomaco brontola, nonostante abbia finito di mangiare pochi minuti fa.
E' tutta colpa di mio padre, il solito ingordo. Prima di uscire si è rimpinzato del suo cibo preferito, sapendo quanto piaccia anche a me.

 

Distratto da questa nuova esigenza, il bambino non si accorge che il temporale è scemato d'intensità.
Le stelle ammiccano maliziose, attorniando una misteriosa quanto affascinante luna piena.

 

Sento sciogliersi in me la tensione che mi attanagliava.
Faccio un po' d'ordine nei miei pensieri; non è sicuramente consigliabile uscire di casa, con questo buio. Rischierei di perdermi, visto che la mia abitazione è molto isolata dal resto del paese.
All'improvviso ho un'illuminazione: come ho fatto a non pensarci prima?
Sollevata la cornetta compongo rapidamente un numero: che cosa c'è di meglio di una buona pizza per placare i morsi della fame?
Mi accomodo in poltrona, in attesa di ricevere l'ordinazione. Le mie palpebre si fanno pesanti, ma io lotto per vincere il sonno.

 

Un flebile ronzio aumenta man mano d'intensità. Ora è più nitido ed è impossibile non riconoscerlo: è il rumore di una moto.
Passi pesanti rimbombano sul tappeto di foglie morte che conduce al vialetto d'ingresso.
Il suono prolungato del campanello s'insinua a fatica tra le pieghe del sonno.

 

Accidenti, mi sono addormentato!
Mi precipito ad aprire la porta, sentendo già l'acquolina in bocca.
Davanti a me un uomo alto e ben messo, con l'impermeabile ancora zuppo d'acqua.
I miei genitori si sono raccomandati più volte affinché non lasci entrare estranei a casa, ma questo è un estraneo particolare: tiene in mano la mia pizza!
L'uomo accenna un sorriso di scusa. "Scusate, ci ho messo molto tempo prima di trovare l'indirizzo giusto."
"Abitiamo fuori mano, è vero. Meno male che è arrivato: ho una fame!"
"Hanno dato a te i soldini per pagare oppure chiami qualcuno?"
Gli rivolgo un'occhiataccia, visibilmente offeso. "Guardi che sono capace di badare a me stesso, e poi non c'è nessun altro a casa."
Porgo il denaro al fattorino, ritirando l'involucro fumante della pizza.
L'uomo, rivoltomi un veloce saluto, fa per allontanarsi.
Mi affretto a richiamarlo. "Aspetti!"
Si volta, meravigliato.
"Per favore, non si metta a ridere per quello che sto per chiederle."
"Dimmi, piccolo". Ha fatto dietrofront, osservandomi incuriosito.
Abbasso il tono di voce, ora un semplice sussurro. "Se non le dispiace, potrebbe rimanere qualche minuto con me, per tenermi compagnia? Devo ammettere che ho un po' paura a stare da solo."
Mi sto comportando come uno sciocco: quest'uomo potrebbe essere un pericoloso serial killer per quanto ne so, e io lo sto invitando a entrare.
Il suo sorriso si allarga, mentre muove qualche passo verso l'ingresso.
"Avrei altre consegne da fare, ma possono aspettare".
Le sue scarpe lasciano tracce fangose sul tappeto persiano del salotto. Immagino già gli strilli della mamma al suo ritorno.
"Vuoi che ti racconti una favola?"
E' proprio un brav'uomo; tenta in tutte le maniere di tranquillizzarmi.
"Mi prendi in braccio, per favore?" La richiesta mi sgorga spontanea dalle labbra.
"E va bene, ometto, ma poi devo proprio andare."
Le sue robuste braccia mi sollevano in aria, facendomi atterrare all'altezza del suo viso.
Osservo le guance rasate, che emanano un leggero profumo di dopobarba, unito al piacevole calore del suo abbraccio.
Appoggio la testa sulla sua spalla, socchiudendo gli occhi.
Finalmente rilassato, avverto tutta la stanchezza accumulata in queste ore.
Quando ormai sto per addormentarmi, un fremito improvviso mi scuote fin nelle viscere.
Mi spaventa quest'onda interiore che tenta di sopraffare la mia volontà.
Allo stupore si sostituisce la consapevolezza, non appena inizio a ricordare.
Il mio nome.
La mia stirpe.
La mia fame.
Riapro gli occhi, alla ricerca del suo collo, nel quale affondo con delicatezza i miei dentini aguzzi.
Lui emette un gemito di sorpresa.
Io incomincio a bere.

Enrico Arlandini