L'anello

Non allarmatevi perché la morte
tutto livella, tutto assopisce.

 

Durante la cerimonia non accade nulla. Le statue dei santi rimasero immobili, così pure i ceri, i quadri della Via Crucis ed il Cristo appeso all’altare. Don Alfio sembrava in preda ad una strana apprensione. Nel benedire gli anelli, che Samuele gli porgeva, si ritrasse come punto da uno spillo nei glutei. Accelerò la celebrazione e con un freddo saluto si ritirò in sagrestia. Samuele rise di sadica soddisfazione.
Tutto ciò l’avrei capito all’indomani, quando era troppo tardi per porvi un rimedio.
La mattina dopo cadde l’elefantino di pezza da sopra il comò, poi vomitai quanto avevo mangiato la sera prima al Cologone. Ossia una quantità incredibile di ravioli, lasagne, carni di ogni tipo rigorosamente locali, innaffiati con generosissimo vino di produzione familiare e non ricordo quanti amari per digerire il pantagruelico pasto. Si usava così, dopotutto ci si sposava una volta sola all’anno o anche di meno, come stavano a dimostrare le numerose presenze di separati, conviventi e divorziati. Avevamo deciso di rimandare il viaggio di nozze a primavera: era appena successo il tragico fatto delle Torri Gemelle a New York e la paura collettiva del volo aveva preso anche noi.
La nausea perdurò fino a sera e rimasi accanto alla mia mogliettina come un salame con tanto di spago e sigillo metallico. L’elefantino era finito sotto il letto che Pizzarro, il siamese, avrebbe portato in cortile facendone delle stelle filanti. Poi cadde una statuetta di terracotta appesa all’ingresso.
<<Ma l’avevi fissata bene?>> Chiese mia moglie ripulendo il pavimento dai cocci.

Esaminai il chiodo e l’attaccatura ch’erano rimasti intatti.
<<Forse una corrente d’aria improvvisa - dissi senza importanza - la ricomprerò.>> Poi mi ricordai della bottiglia di brandy caduta dallo scaffale mentre sorseggiavo il Campari e risi ricordando la scena. Due signore di mezza età si trovarono i rispettivi vestiti macchiati inevitabilmente dagli schizzi e ripiegarono su abiti di fortuna forniti dal ristorante. E risi ancora di più. La più anziana pareva arlecchino, con un vestito a quadri, corto e scolorito. L’altra ci stava dentro tre volte, in una sorta di tenda, e faticava a contenere il superfluo che gli si allungava oltre il dovuto.
<<Un duo di pagliacci – dissi a mia moglie – la cosa più divertente dell’intera serata.>>
<<Già, uno spasso, ma Samuele, quel tuo amico, non è rimasto alla cena?>> Osservò lei mentre estraevo il chiodo. Mi avviai in cucina. La prendevo con calma, mancavano ancora una decina di giorni al rientro in ufficio.
<<Sai com’è fatto, si annoia terribilmente alle feste. Coltiva altri divertimenti.>> Dissi soprapensiero.
<<Un po’ mi fa paura, hai notato lo sguardo? Sembrava un altro, diverso dal solito.>>
<<Le va una pizza stasera Signora Lutzu?>> Dissi per sviare il discorso, ormai potevo nominarla col mio cognome. Sorrise e si abbandonò languidamente sul letto. Quel che seguì fu simile al quattro luglio, giorno dell’Indipendent Day americano, il venticinque aprile giorno della liberazione in Italia, e la festa di Sant’Antonio coi fuochi artificiali in paese. Recuperai, con gli interessi, quanto avevo perduto la notte di nozze.
Prima di entrare in pizzeria decidemmo per una passeggiata sul lungo mare Eleonora D’Arborea, tonificandoci i polmoni col fresco maestrale che muoveva le palme del litorale.
Non avevo voglia di mangiare la pizza e optai per degli spaghetti al burro senza formaggio ed una minerale naturale. Che, poi, poteva trattarsi della normale acqua potabile di rubinetto non ci avrei scommesso nemmeno un capello. Mia moglie si accontentò della pizza quattro stagioni, un calzone, un fritto misto e due birre Ichnusa. E manteneva una linea perfetta a dispetto di quel mangiare. Che avesse il verme solitario, mi chiedevo spesso. Ma forse ero soltanto un marito fortunato. Così credevo fino a quel momento.
Davanti a noi un'altra coppia, lei piccolina, chioma corvina, lineamenti nuragici, e lui un marcantonio, biondo, occhi azzurro mare, e parlava il tedesco. Discutevano animatamente, forse un po’ arrabbiati. Subito dopo entrò una torma di ragazzini, una scolaresca senz'altro, allegri, chiassosi, seguiti dalla maestrina tipo inglese dell'ottocento. Il titolare del ristorante si fregava le mani.
Sentii che l’anello stringeva l’anulare sinistro. Una sensazione provata nel Cologone poco prima che cadesse la bottiglia dallo scaffale, ed in casa per la caduta del quadro di terracotta e dell’elefantino di pezza. Dapprima scosse lievi poi sempre più forti.
Il pannello del condizionatore si staccò dai fissaggi e cadde sopra un tavolo, posto al di sotto, fortunatamente senza clienti.
La sala si zittì, come fosse stato tolto il volume da una televisione, e si volsero tutti verso quel che restava del pannello. Due cameriere ed un cliente si avvicinarono esterrefatti con la paura dipinta in volto. Amilcare, il titolare, superato il primo istante di sbigottimento andò in escandescenze, incazzato nero.
<<Mi sentiranno, imbecilli, incompetenti e figli di puttana.>>
Mi si stava spaccando la testa come un anguria. I neuroni impazzivano cozzando tra loro in un turbinio crescente di sensazioni.
“La causa ero io, e l’anello regalatomi da Samuele, ne ero terribilmente certo o quasi.”
<<Non c’è più la serietà professionale di un tempo. Le ditte lavorano esclusivamente per la pecunia, senza un minimo di passione, ci mandano gente inesperta, accadono le disgrazie e ci scappa il morto.>>
<< Spero tu abbia ragione: un accidente fortuito, ma non è così.>> Lo dissi piano.
<< Come?>>
<<Nulla cara, una mia divagazione.>>
<<E sulle strade? - aveva voglia di parlare dopo una birra - tremila i morti l’anno passato. Si predica bene e si razzola male. E la causa non è sempre del conducente. Non c’è sicurezza né in casa né fuori. Se il pannello fosse caduto sopra i bambini eh?>> M’interrogava come fossi il colpevole. Rabbrividii. L’anello stringeva, stringeva, stringeva…
“Sotto la ruota del carro appesa al muro. Sant’Iddio fa che non succeda.” Mi ritrassi come una tartaruga spaventata nel guscio. Sudavo palesemente.
<<Tutto bene Pasquale?> Mia moglie rimase con la forchetta in aria assai preoccupata.
<<Sì, sì, un leggero malessere.>> E guardavo con gli occhi sbarrati i bambini vocianti che si scambiavano i posti a sedere. Un biondina riccia, più spiritosa degli altri spintonava il compagnetto dagli occhi azzurri e l’accompagnatrice sorrideva divertita alle loro giocose manovre.
<<La pizza, la pizza! Gridavano ignari un gruppetto che si appressava verso la biondina riccia.
E successe. La ruota cadde e fece poltiglia della bambina riccia e del compagnetto dagli occhi azzurri.
Urla, raccapriccio, un fuggi fuggi e la maestrina svenuta.
<<Usciamo presto.>> Dissi strattonando mia moglie, e fuori a respirare l’aria salmastra che sembrava veleno. Inebetita mi seguiva con lo sguardo perso lontano.
Il mare mosso da una leggera brezza autunnale si muoveva in lunghe onde piatte senza increspature accarezzando appena il bagnasciuga. Le palme ondeggiavano in un dondolio impercettibile attraversate dalla luce gialla dei lampioni che si riflettevano sulla superficie marina. In lontananza l’abbaiare di cani in branco rompeva il silenzio serale.
Percorremmo il lungomare, in silenzio, schiaffeggiati dal vento. In lontananza iniziò l’intermittenza del faro di San Giovanni e si riaffacciò la giovinezza spensierata, ai primi degli anni sessanta: lontani quei giorni a cercare lumache in mezzo alla macchia.
Giungemmo al bar della torre ma non volli entrare. Sedetti su una panchina e Luisa si prese la testa fra le mani, singhiozzando. Per un attimo la terribile realtà mi si affacciò nella mente e riandai alla cerimonia del matrimonio. Fissai la fede d’oro all’anulare sinistro e vidi il ghigno di Samuele mentre le infilavamo. Era stato lui a regalarcele: vecchio amico di gioventù e cultore di magia nera. Così, per gioco, diceva e non mi erano sfuggite le sue attenzioni verso Luisa. Me lo confessò in un pomeriggio d’estate. Non farci caso, mi disse un po’ alticcio, tutto si aggiusta in questa vita. E rise strano.
“Sì, tutto coincide, l’anello, Samuele, la sua risata infernale e gli oggetti che cadono.” Pensai.
L’involucro di un lampione cadde fracassandosi in mille schegge.
<<Pasquale ho paura, tanta paura.>> Mi si accucciò sulla spalla come un gattino indifeso.
I pensieri turbinavano disordinatamente dentro la mente. Tentai di sfilare la fede inutilmente. Sapevo, anzi ne ero consapevolmente certo che se l’avessi buttata in mare sarebbe finito il sortilegio. Samuele si era vendicato di me e di Luisa che, lui, avrebbe voluto per sé.
Fissavo l’antica torre pisana sopra il parcheggio.
<<Passerà, è tutto un brutto sogno.>> Le dissi e fui il primo a non crederci. L’anello non si sfilava e stringeva molto più forte del solito fino a farmi male.
“Un altro avvertimento”.
Terrorizzato vidi mia moglie avviarsi verso la macchina.
<<Luisa!>> Gridai terrorizzato. Troppo tardi: infilava la chiave nella portiera. La sporgenza raffigurante il leone cornuto cadde sopra di lei. Il cervello schizzò sulla trachite, sull’asfalto e sopra la carrozzeria della Golf. Il suo corpo giaceva imobile e inutile sul marciapiede, ed il mondo smise di girare intorno a me, e volevo scendere. Fosse l'inferno, l'abisso cosmico, qualunque fermata, non m'importava. Alzai lo sguardo e mi parve che Samuele guardasse da sopra la torre, ridendo. L’anello si sfilò facilmente dall'anulare sinistro, rotolò fino ad un tombino, e scomparve.

Giovannino Serra